Torino, 08 apr. - La politica è sovente una questione di stile e, al limite, di estetica. Il mondo intero si sintonizza su Washington quando il Presidente degli Stati Uniti si cimenta nel discorso sullo State of the Union dinnanzi al Congresso in sessione congiunta. È il "comandante in capo" della nazione-guida dell'Occidente che riflette sull'anno appena concluso e detta le linee di indirizzo per il futuro; nel caso di Barack Obama l'effetto di trascinamento è talmente intenso da indurre paragoni e reazioni in mezzo mondo.
Con molta meno risonanza internazionale, a marzo è toccato alla Repubblica Popolare Cinese celebrare un momento importante di "tagliando" rispetto alla propria attività di governo. Si è riunita, come ogni anno, la sessione plenaria dell'Assemblea Nazionale del Popolo – l'ANP, il parlamento cinese –, a norma della costituzione cinese il più importante organo del potere statale in Cina (questo dossier). È questa l'occasione in cui i 2.987 deputati eletti indirettamente da province, regioni autonome, municipalità, regioni amministrative speciali e forze armate approvano gli atti legislativi proposti dalla leadership del Partito Comunista Cinese, da cui proviene oltre il 70% dei deputati medesimi (i rimanenti non hanno affiliazione diretta o fanno capo agli otto partiti nominalmente "democratici", che sono in realtà interamente sottoposti alla "guida" del PCC).
A differenza di quanto capita negli USA, nel caso della Cina non c'è un "capo" a cui fare riferimento, in cui identificarsi o da criticare in quanto fautore di una linea politica che potrà in futuro essere sconfitta da propugnatori di idee diverse. Quella cinese è infatti una oligarchia burocratica fondata su pervasive (e opache) alleanze inter-personali, orientate a generare un perimetro di consenso politico al di fuori del quale i singoli leader cinesi non si avventurano pressoché mai. Per questa ragione è pretenzioso ritenere di vedere nei frequenti riferimenti alle riforme politiche espressi dal Premier Wen Jiabao una piattaforma programmatica sostanzialmente alternativa a quella – ad esempio – del più sanguigno Wu Bangguo, Presidente del Comitato Permanente dell'ANP medesima. Si tratta, al massimo, di interpretazioni differenti di un medesimo tema, che ha come elemento dominante la stabilità socio-politica della Cina intorno al monopolio del potere politico e militare da parte del PCC.
Il compito a cui era chiamata questa 4a sessione plenaria dell'ANP era appunto approvare le linee-guida operative del governo per i prossimi anni, contenute nel nuovo Piano quinquennale (il 12°). L'orizzonte è complesso, giacché – come sottolineato dallo stesso Premier Wen Jiabao durante i lavori dell'Assemblea – restano numerosi gli scompensi in ambito economico, nonostante i successi evidenti di una gestione che ha permesso alla RPC di superare sostanzialmente indenne le forche caudine della crisi finanziaria ed economica globale. Le nove linee d'azione focalizzate per il 2011, in particolare, impegnano il Consiglio di Stato (il governo) diretto da Wen a rafforzare i meccanismi di controllo dell'inflazione (già a doppia cifra nel delicato comparto alimentare), espandere la domanda interna (con l'obiettivo di una crescita del PIL attorno all'8%, da ridursi ulteriormente al tetto massimo del 7% entro il 2015), creare le condizioni per il sostegno del reddito rurale (tuttora fortemente penalizzato rispetto all'urbano, mediamente tra le 3 e le 4 volte più elevato), accelerare la ristrutturazione industriale (migliorando la competitività delle imprese), ridurre le emissioni nocive e migliorare l'efficienza energetica; migliorare i servizi pubblici e i "meccanismi di amministrazione sociale" (a partire dall'accesso alla sanità pubblica, da cui si stima quasi metà della popolazione sia di fatto esclusa), rinnovare gli sforzi per superare le difficoltà economiche e "accrescere l'impeto e la vitalità dello sviluppo economico e sociale", espandere la cooperazione economica internazionale (lottando contro il protezionismo).
Il compito che i leader cinesi hanno dinnanzi a sé nel 2011 e per il prossimo quinquennio è chiaramente titanico, anche senza contare i possibili shock esogeni, di natura economica (la crisi in USA e nell'area-Euro non è finita) o politica (si vanno preparando le elezioni negli Stati Uniti, in Russia e a Taiwan in questi mesi). Il teatro maghrebino e mediorientale è poi caratterizzato da un fermento che trova echi – seppur deboli – nella società cinese. Giornalisti e attivisti dei diritti civili sono oggetto di varie forme di intensificazione dei controlli di sicurezza di cui anche i più veterani in Cina non ricordano l'eguale da molti anni a questa parte. Le rivolte in Tibet e Xinjiang del 2008 sembrano aver ampliato i margini di azione delle agenzie governative impegnate nel controllo dell'informazione e, nei casi più critici, nella repressione del dissenso, anche potenziale. L'arresto del noto artista cinese Ai Weiwei (questo articolo) il 3 aprile scorso non è che l'ultimo di una serie di episodi inquietanti, che rischiano di compromettere gli sforzi che altri settori della burocrazia cinese compiono per accreditare un'immagine benevola del paese, specialmente all'estero.
In questa lotta per la stabilità sociale e politica del paese – vera chiave di volta per il prosieguo dello sviluppo economico da cui dipende la sostenibilità dell'intero sistema-Cina – la popolazione sembrerebbe tuttora in larga misura favorevole alla 'grand bargain' offerta dalle autorità, ossia crescita economica in cambio di una compressione dei diritti civili e politici individuali. Secondo dati inediti diffusi dal Pew Research Center's Global Attitudes Project, ancora nel 2010 circa l'87% dei cinesi intervistati sosteneva di essere soddisfatto circa l'andamento delle cose nel proprio paese, contro un mero 28% degli egiziani, ad esempio, la cui stragrande maggioranza riteneva il paese incamminato sul sentiero sbagliato (queste cifre si sarebbero tradotte in rivoluzione pochi mesi dopo). Percentuali analoghe possono essere citate circa la fiducia nell'andamento dell'economia nel prossimo futuro. È vero che il campione intervistato in Cina è prevalentemente composto da uomini residenti in città (67%, rispetto a una media della popolazione urbana pari al 45% su scala nazionale nella RPC), con totale assenza di abitanti delle province "critiche" di Tibet e Xinjiang. Ma è comunque evidente che il PCC continua a godere presso la società cinese di un certo margine di manovra. La domanda è se il progetto di Cina che il Partito ritiene di voler propugnare sia compatibile – nel lungo periodo – con quello di una società civile che si va irrobustendo. Se il nuovo Piano quinquennale sarà amministrato con successo da una nuova leadership cinese (post-2012) meno oscurantista dell'attuale, la 'grand bargain' potrà tenere. Viceversa, le contraddizioni non potranno che moltiplicarsi, rischiando di persuadere la società cinese della impossibilità di lavorare "nel sistema" per migliorare la performance politica della nazione.di Giovanni Andornino
Giovanni Andornino è docente di Relazioni Internazionali dell'Asia Orientale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino e la Facoltà di Scienze Linguistiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore; è Vice Presidente di T.wai, il Torino World Affairs Institute.Dal 2009 Visiting Professor presso la School of Media and Cross Cultural Communication, Zhejiang University Hangzhou (PRC), Giovanni è Fellow della Transatlantic Academy del German Marshall Fund of the United States per il 2010.Giovanni è General Editor del portale TheChinaCompanion (www.thechinacompanion.eu), specializzato in politica, relazioni internazionali ed economia politica della Cina contemporanea. Dal 2007 coordina TOChina, l'unità di lavoro sulla Cina attiva presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino.
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Giovanni Andornino cura per AgiChina24 la rubrica di politica internazionale.
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