SOGNAVO DI MANGIARE RISO “Il traffico delle mogli” dalla Corea del Nord alla Cina

Traduzione a cura di Giovanna Tescione

 

 

Roma, 30 set. – Arrivano in Cina in cerca di una vita migliore, in fuga dalla fame della Corea del Nord. È la storia di molte giovani nord-coreane vittime del "traffico delle mogli": vendute a contadini cinesi, forzatamente o con il loro consenso, con la promessa di una vita più serena. Costrette a subire percosse o abusi, secondo gli attivisti sono migliaia le donne nord-coreane che vivono in queste condizioni in Cina. Molte decidono di scappare di nuovo, spesso in Corea del Sud, lasciando però dietro di sé anche la loro seconda vita e i figli che ne fanno parte.

È questa la storia di Kim, 35 anni, raccontata dall'Association Press, scappata dall'oppressione del regime nordcoreano e data in moglie a un contadino cinese di Longjing, nella Cina nord-orientale. Kim ha attraversato il confine da sola nel 2002, si è nascosta in un frutteto per giorni fino a quando non le è stato proposto di sposare un uomo cinese 14 anni più grande. La giovane racconta di come ha scoperto di essere stata venduta per saldare un debito di circa 6mila yuan (circa 800 euro) e di come veniva picchiata almeno una volta al mese. Ma la paura di essere denunciata alla polizia e di essere rispedita nel suo paese d'origine l'ha spinta a scappare di nuovo, questa volta verso la Corea del Sud, lasciando la figlia, di appena 4 anni. "Il mio cuore si è spezzato", racconta Kim riferendosi al momento in cui ha dovuto separarsi dalla bambina. Ma Kim, che ora è sposata e ha due figli, non ha mai smesso di pensare alla sua prima figlia, e oggi, dopo 10 anni dal giorno in cui ha deciso di scappare per la seconda volta, ha deciso di parlare e raccontare la sua storia.

Simile nelle dinamiche anche la storia di Park, oggi 44 anni, fuggita dai suoi aguzzini, ai quali si era avvicinata volontariamente, nel 2000. Picchiata con bastoni di legno al suo primo tentativo di fuga.  "I trafficanti – racconta – non considerano le donne nord-coreane degli esseri umani, ma solo prodotti da vendere". "Sognavamo di mangiare riso" - spiega – "avevamo sentito che in Cina anche i cani mangiavano riso".

Come lei sono tre le donne che ad ottobre tenteranno la carta delle Nazioni Unite nella speranza di poter ottenere il supporto della comunità internazionale. Tra loro anche Kim Jungah, 40 anni, oggi attivista in Corea del Sud. Kim era incita quando fu venduta ad un uomo di Shenyang, nella Cina nord-orientale per 20mila yuan (meno di 2700 euro). Obiettivo vedere riconosciuto quel "diritto parentale che ogni coppia nel mondo ha", afferma Kim Jungah, che guiderà il gruppo tra Washington e New York.

Ma l'impresa di riuscire a essere ascoltate non sembra facile, nemmeno per gli esperti, che sottolineano come le autorità cinesi non siano propensi ad accettare casi di questo tipo, con donne spesso illegali e matrimoni non legalmente riconosciuti. "Per la Cina queste sono donne che avrebbero dovuto essere rimpatriate", spiega all'AP Yoon Yeo Sang, co-fondatore del Database Center for North Korean Human Rights, un'associazione non-profit della Corea del Sud, che aggiunge come nessuna di queste donne abbia mai registrato il proprio matrimonio su suolo cinese, "mi chiedo se la Cina potrebbe mai accettare il loro status coniugale di fatto e prendere le misure legali necessari", conclude.

Esploso a metà degli anni '90, quando povertà e carestie aveva messo in ginocchio la Corea del Nord, il traffico delle mogli è un "mercato ora molto indebolito, ma che vede però ancora molte donne nord-coreane vivere in Cina". D'altra parte, si legge nell'articolo, "la Cina ha sempre patito una grande disparità numerica tra uomini e donne, squilibrio ancora più evidente nelle zone rurali a causa di una migrazione delle donne verso le grandi città in cerca di opportunità economiche migliori".

Secondo alcune stime la maggior parte dei nord-coreani scappati dal proprio paese si trova proprio in Cina, nel 2012 erano circa 200mila. Una popolazione di invisibili che, se scoperti, rischiano di essere rimpatriati, nonostante la certezza che nel loro paese andrebbero incontro alla pena di morte.

 

 

30 SETTEMBRE 2016

 

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