Raggiunto l'accordo quadro sull'AIIB; la crisi greca vista dalla Cina. Intervista a Alberto Forchielli e Michele Geraci

Radio Radicale e AgiChina
 
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Conduce Valeria Manieri con Francesco Radicioni

 
 
A cura di Alessandra Spalletta

 
Roma, 01 lug. – Firmato a Pechino l'accordo quadro della fondazione della nuova banca asiatica a guida cinese. Nuovo passo in avanti per la Asian Infrastructure Investment Bank, la banca di investimenti asiatica: i rappresentanti di cinquanta dei 57 Paesi che aderiscono all'Aiib si sono riuniti lunedì alla Grande Sala del Popolo di Pechino per sottoscrivere gli impegni. La Cina è il primo azionista della banca, con una quota del 30,34% e una quota di voto all'interno del board della banca del 26,6%. Seguono a netta distanza, l'India con una partecipazione dell'8,52% e una quota del 7,5% e la Russia, terzo azionista con il 6,66% e un percentuale di voto del 5,92%. L'Italia ha una quota del 2,62% ed è il quarto Paese europeo per importanza all'interno del nuovo soggetto finanziario, alle spalle della Germania, con il 4,5%, della Francia, con il 3,4%, e della Gran Bretagna, con il 3,1%. In totale, l'Italia si colloca al dodicesimo posto tra i 57 Paesi che hanno aderito alla Aiib, anche se il 75% delle partecipazioni nel nuovo soggetto finanziario regionale sono detenute dai Paesi asiatici. Chiudono la lista Malta e le Maldive, agli ultimi due posti, con una percentuale a testa dello 0,01%.
 
L'Aiib sarà presto operativo?
 
Geraci Dopo la firma dell'accordo quadro a Pechino, si pensa che le operazioni della banca asiatica possano partire ento la fine dell'anno. Sono positivo, spero che questo nuovo cambiamento del potere geopolitico con la ridistribuzione dell'egemonia dalla Banca Mondiale all'Aiib, dia a Pechino la chance di dimostrare cosa possa fare il modello Cina quando è esportato in altri paesi asiatici. L'Asia ha milioni di poveri che hanno bisogno di investimenti. Se guardiamo a cosa ha fatto la Cina in casa riducendo il tasso di povertà negli ultimi 30 anni e quello che ha fatto la Banca Mondiale in Africa dove la povertà è invece aumentata nei decenni passati, dobbiamo essere fiduciosi che la banca asiatica d'investimento possa colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni internazionali.
 
La Cina è il primo azionista della banca. Seguono India e Russia. Il baricentro dell'economia mondiale si sta spostando sempre più in Asia? L'Aiib potrebbe minare il ruolo delle istituzioni internazionali, dalla Banca Mondiale all'FMI?
 
Geraci La Cina detiene una percentuale maggiore all'interno dell'istituto ma si tratta di una maggioranza relativa, un po' di più del 25% tenendo conto che esistono tre classi di azioni, come se ci fossero azioni ordinarie, di risparmio A e di risparmio B, ciascuna con pesi diversi: a fronte di un investimento di capitale pari al 30% che la Cina verserà (30 miliardi di dollari sui 100 totali), corrisponde una quota di voto inferiore. La Cina quindi si auto diluisce di qualche punto, restando sempre al di sopra della famosa soglia del 25% che consentirebbe di bloccare una super maggioranza del 75%. Al di là degli aspetti tecnici, la Cina si pone come leader, come è stato in passato per Washington super rappresentato e Pechino sottorappresentato in seno alla Banca Mondiale. Il timone oggi passa dall'altra parte.
 
Creata in un momento di tumulto per l'Europa, in questa iniziativa non sono presenti Stati Uniti e Giappone. L'Aiib era una azione necessaria da parte di Pechino?
 
Forchielli Pechino tecnicamente non aveva bisogno di creare una banca di sviluppo, perché ne ha già due: China Development Bank (CDB) e China Import Export Bank (Exim), che hanno bilanci più grandi della banca mondiale e di quella europea messe insieme. Però i paesi limitrofi non accettano sempre con tranquillità la presenza cinese. Il Myanmar insegna: c'è stata una forte resistenza all'insediamento cinese, stessa cosa avviene in Vietnam. La Cina aveva quindi bisogno di uno strumento che fosse più neutrale per sviluppare un'opera di sviluppo infrastrutturale che è innegabilmente necessaria; si stima che l'Asia abbia bisogno di tre trilioni di dollari d'investimenti in infrastrutture: non è pensabile che né la Banca Mondiale né la Banca Asiatica a Manila, possano soddisfare questa esigenza. Il bisogno c'è. La Cina può soddisfarla. L'Aiib è un escamotage per poter allargare il menù. La Cina ha investito in Africa con CDB e Exim.
 
Si parla della possibile creazione di una banca dei Brics e di un istituto finanziario all'interno della SCO (Shanghai Cooperation Organisation), l'organizzazione di Shanghai che unisce Russia e repubbliche ex sovietiche. Pechino sta quindi cercando di diversificare?
 
Forchielli
La Cina diversifica i propri strumenti finanziari. L'iniziativa dei Brics è ferma, più chiacchiere che sostanza. Anche la creazione di una banca all'interno dello SCO è a un punto critico, la Russia non vuole cedere leadership. Quando Pechino spinge sul centro Asia, Mosca soffre. Invece la creazione dell'Aiib è reale anche se aspettiamo di vedere che diventi operativa. E' facile metterci i soldi ma difficile tirare su la gente, l'istituto ha bisogno di 5/6 mila persone che ci lavorino, e non è facile trovarle sul mercato. La Banca Mondiale a Washington, per la quale ho in passato lavorato, oggi ha risorse umane improponibili:  gente che ha perso la cultura di progetto. Prima che l'Aiib diventi operativa, passeranno almeno 5 anni.
 
Quali potrebbero essere i primi progetti della banca asiatica anche alla luce della composizione variegata degli investitori?
 
Forchielli Strade, ferrovie, impianti di generazione elettrica, investimenti sociali, fognature, acqua, reti elettriche. I bisogni in Asia sono ciclopici. La Cina deve integrare questi mercati, farli propri perché ha bisogno di vendere anche per diminuire il proprio eccesso di capacità produttiva. Non può avere i commerci imbottigliati che escono via export solo dalla parte orientale: deve aggregare la parte orientale e meridionale. Quando un continente cresce al 6% ci sono centrali da costruire tutti gli anni.
 
Questa iniziativa finanziaria si incrocia con l'altro progetto politico e commerciale del governo cinese, la nuova via della seta.
 
 
Forchielli Indubbiamente. Ed è proprio lì il problema. Quando ci sarà una cosa da fare in India, lei pensa che agli indiani vada bene che entri CDB? Per entrare in India, bisogna farlo con una banca dove ci siano gli indiani dentro, quindi con l'Aiib. In Pakistan si può entrare con una banca cinese, ma è un'eccezione. La verità è che nessuno dei paesi limitrofi vuole sentirsi soggiogato dalla Cina. La Cina ha bisogno di strumenti alternativi.
 
Strumenti alternativi e inclusivi, come le autorità cinesi continuano a ripetere come una sorta di mantra…
 
Forchielli Con i cinesi inizia tutto bene, ma a volte finisce anche male. All'interno della Cina la creazione dell'Aiib ha suscitato qualche conflitto di interesse nei confronti degli altri istituti di credito cinesi. Avendo tre o quattro strumenti su cui giocare, il conflitto interno è permanente. Alcuni cinesi a Pechino mi hanno riferito la propria perplessità, si chiedono che bisogno ci fosse di mettere in piedi un colosso di queste dimensioni. Hanno operato molto bene da soli fino ad oggi, hanno rifatto l'Africa senza l'ausilio di un istituto alternativo. E ora?
 
Quanto è vero che Pechino ha voluto mettere in piedi una banca asiatica da contrapporre all'egemonia della Banca mondiale?
 
Forchielli La Banca Mondiale non ha bisogno di nessuna contrapposizione perché è già morta. I cinesi hanno i loro soldi. Non hanno bisogno di fare un consiglio di amministrazione con indiani, birmani, etc. Vogliono fare una cosa e la fanno. Adesso hanno creato una realtà dove hanno dentro l'italiano e tutti gli altri. Facciamo un esempio. Bisogna realizzare una nuova linea ferroviaria. L'italiano dice: voglio appaltare un pezzetto all'Ansaldo. E così via. I soci portano soprattutto complicazioni. I cinesi hanno rifatto l'Africa perché hanno agito di testa loro senza confrontarsi con nessuno.  Da oggi in poi il doversi consultare è un grande onere  per loro. La Banca Mondiale è scaduta perché è invecchiata. Tutte le organizzazioni multilaterale, come anche l'Onu e l'Fmi, andrebbero fatte a tempo: dopo 50 anni si dovrebbero sciogliere perché sono destinate a diventare orribili burocrazie. Basti pensare ai veti che esercita ciascun paese membro. La Banca Mondiale ha oltretutto un limite statutario per il quale può prestare sono con garanzia sovrana, e non può più svolgere attività di progetto perché di progetti pubblici oggi non ce ne sono più. Senza contare il basso livello dei dipendenti: chi lavora alla divisione Africa, non ci va mai in Africa: nessuno vuole schiodarsi da Washington. Non c'è quindi bisogno per Pechino di contrapporsi: è finita la Banca Mondiale come è finita la Banca Asiatica di Manila.  Il problema per i cinesi sarà il conflitto di interesse e il difficile confronto con i soci.
 
Perché l'Italia ha aderito all'Aiib?
 
Forchielli I paesi europei, Italia inclusa, sono entrati perché vogliono fare le forniture.
 
Geraci La governance della banca, sono d'accordo con Forchielli, sarà complicata per la presenza di molti soci. Politicamente si rende necessaria la loro per consentire alla Cina di entrare in altri paesi asiatici che faticano ad accettare il ruolo preponderante delle banche esclusivamente cinesi. E' vero che l'Italia entra per permettere una fornitura delle proprie aziende. E' altrettanto vero che l'Aiib potrebbe dare un mandato a una società che non è domiciliata in nessuno dei 57 paesi. Tecnicamente potrebbe accadere, per assurdo, che il consiglio di amministrazione ceda a un'azienda americana una commessa attraverso il processo di selezione, se l'azienda avesse qualifiche concorrenziali. L'Italia potrebbe quindi spingere per ottenere forniture, ma sarei prudente perché il nostro paese conta pure sempre per il 2% all'interno dell'istituto, scavalcata da una decina di paesi. Paradossalmente per questo motivo vedo di buon occhio la presenza massiccia di un azionista di maggioranza che farà la voce grossa al di là dei numeri, e che non imporrà un veto, ma è un mezzo che la Cina ha per usare le proprie immense riserve monetarie, imporre il soft power e il cappello alla silk road che si estende verso l'Occidente e l'Europa.
 
La Cina in questo momento ha un forte interesse per quello che sta accadendo in Europa, ed esprime preoccupazione per l'eventuale uscita della Grecia dall'euro. Li Keqiang nei giorni scorsi da Bruxelles ha espresso sostegno all'Ue e oggi la Cina ha chiesto che i negoziati tra Atene e i suoi creditori continuino dopo il mancato pagamento della Grecia al Fmi. Non sembrano frasi convenevoli.
 
Geraci Le dichiarazioni del premier Li Keqiang a Bruxelles a sostegno della Grecia, sono frasi di circostanza. Il mancato, presunto, accordo tra Grecia e Europa si potrà protrarre  nel tempo. Ma è chiaro, a mio avviso, che la Grecia è fallita nel 2001, quando è entrata nell'euro. Non perché abbia fatto i conti falsi, ma perché si è accodata a un carro la cui velocità era più forte di quella che Atene fosse in grado di sostenere.
 
Qual è l'interesse della Cina nei confronti della partita greca? Un eventuale grexit spaventa Pechino?
 
Geraci Alla Cina la partita greca interessa molto e un eventuale grexit terrorizza Pechino. La Grecia può rappresentare il punto di arrivo della nuova via della seta. La Cina è già presente con investimenti nel porto del Pireo. Molte sono le società presenti nel paese e non pochi i potenziali investitori che al momento sono al palo in attesa di capire l'evoluzione della crisi. Di sicuro la Cina non sarò oggi disponibile a dare soldi per aiutare la Grecia a risollevarsi. Pechino si aspetta che le cose peggiorino.
 
Quindi le dichiarazioni cinesi sono frasi di circostanza in attesa che la Grecia compia passi di uscita dall'Europa rivolgendosi eventualmente altrove?
 
Geraci Anche se domenica ci fosse un risultato diverso dal referendum e la Germania decidesse di aiutare Atene, si tratterebbe di allungare la vita a un moribondo come è stato già fatto in passato nei due casi di bailout precedenti.
 
Il premier Li, nelle dichiarazioni rilasciate a Bruxelles l'altro giorno, ha anche ipotizzato un ruolo costruttivo per Pechino. Anche quelle frasi di circostanza? Davvero la Cina non ha intenzione di metterci uno yuan nella risoluzione della crisi greca?
 
Geraci La Cina darà soldi alla Grecia quando la frittata sarà fatta e andrà a raccogliere i cocci. Arriveranno altre aziende cinesi, come Cosco nel Pireo, interessate a investire su aeroporti e autostrade che possano collegare per esempio il porto ai Balcani, come China Pacific Construction.
 
Una cosa è sicura: alla Cina, una Grecia fuori dall'euro non conviene. Come viene vista da Hong Kong la crisi di Atene che non inizia certo oggi?
 
Forchielli L'Europa è il più importante mercato per l'export cinese. L'eventuale grexit avrebbe pesanti ripercussioni sulla domanda, e questo è un momento in cui la crescita in Cina sta avendo qualche difficoltà.
 
Quindi secondo lei non è vero che la Cina sta aspettando l'uscita della Grecia per raccogliere i cocci?
 

Forchielli Se la Grecia salta, diventa una sorta di Somalia europea. Ed è un paese dove i cinesi vogliono costruire aeroporti, autostrade; vogliono passare da lì per accedere all'Europa. Cosco comprò la gestione del Pireo prima della crisi. L'acquisto della prima concessione del porto avvenne prima della crisi greca, e Pechino decise di passare attraverso il porto greco anziché i porti italiani (Taranto, ndr). Fu una scelta precisa.
 
Con l'avvento del governo Tsipras ci sono stati i primi stop alle privatizzazioni. Come vedono i cinesi l'amministrazione Tsipras- Varoufakis?
 
Forchielli Con il fumo negli occhi.
 
Continua a confermarsi l'asse Pechino-Berlino anche sulla Grecia…
 
Forchielli La Cina vuole la stabilità europea, quella tedesca in primis, anche in chiave anti americana. L'asse incrina anche l'alleanza atlantica.
 
Per fare questo Pechino è disposto a pagare?
 
Forchielli Il governo cinese non può decidere di investire 100 miliardi su altri paesi senza fare i conti con  l'opinione pubblica fortemente contraria a operazione di salvataggio su paesi il cui reddito pro capite è quattro volte quello cinese. Pechino non può permettersi di fare Babbo Natale con gente mediamente più ricca.


 
01 luglio 2015


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