QUALE TOP MANAGER IN CINA?

Milano, 1 ago.- "Il gran capo deve essere del Paese locale, la maggioranza del Board e il controller del Paese di origine. Il resto del management quasi tutto del Paese locale." Questa è stata la Regola d'Oro, per la gestione delle filiali all'estero.
Questa regola ha consentito, in linea di massima, lo straordinario sviluppo nel dopoguerra delle multinazionali americane, ma anche tedesche, francesi e britanniche. Anche le poche italiane si sono spesso adeguate a questa filosofia di gestione di unità all'estero. Forse solo le multinazionali giapponesi hanno fatto variazioni più significative alla Regola d'Oro. Occorre dire che si tratta di una regola di buon senso: le decisioni operative, che più richiedono conoscenza del contesto locale, assegnata a locali che del contesto sono maestri per definizione. Le decisioni strategiche e il controllo assegnati a persone che più possono garantire la lealtà al "mandante". Questa Regola d'Oro è stata seguita spesso non solo dalle grandi multinazionali, ma anche da quelle aziende di media dimensione di quei Paesi che più hanno condotto un programma di espansione internazionale negli ultimi 10 – 15 anni, aziende medie italiane incluse.
Dappertutto? Probabilmente sì, salvo piccoli aggiustamenti sulla base delle specificità e delle eccezioni delle singole situazioni.
In Cina?
Agli inizi dell'avventura cinese, appena dopo l'apertura del Paese al mondo, apparve immediatamente chiaro a tutti che la mancanza di cultura manageriale in economia di mercato da parte dei top manager cinesi richiedeva che sicuramente il N° 1 e spesso anche quasi tutti i manager della prima linea fossero occidentali. La peculiarità dell'ambiente cinese e le difficoltà di comunicazione a causa della lingua (e non solo) fecero anche cercare a Hong Kong e Taiwan senior manager con cultura "occidentale". Questa soluzione ha dato qualche buon risultato, ma forse la maggioranza dei risultati è stata deludente perché se era vero che i manager di quelle due realtà erano capaci di comunicare bene in cinese e conoscevano la cultura locale, era anche vero (e lo è spesso anche oggi) che non erano riconosciuti come "veri cinesi" dal personale dell'azienda che si voleva gestire ed erano (e in parte sono) guardati con più sospetto di quelli dichiaratamente occidentali.
Un po' la difficoltà di trovare buoni top manager occidentali, capaci almeno di comprendere il contesto cinese e possibilmente di parlare anche la lingua, un po' l'elevato costo degli espatriati e un po' il desiderio di applicare anche in Cina la Regola d'Oro ha fatto presto nascere la corsa alla ricerca del top management cinese.
Temo però che per molti questa ricerca sia tuttora simile a quella del Santo Graal. E' importante farla, ma non ci si riesce. In realtà non conosco statistiche certe e recenti su questo tema: quanti top manager (leader e prima linea) sono cinesi e quanti occidentali. Né come questo rapporto si confronta con altri Paesi. Tuttavia la mia opinione – basata su una continua esperienza di osservazione per motivi professionali di moltissime unità cinesi di aziende occidentali - è che sia molto difficile riuscire a riempire posizioni molto senior, soprattutto non tecniche/produttive, con manager cinesi.
Questo è molto meno apparente nelle grandissime multinazionali che per dimensioni, massa critica e capacità interne di sviluppo manageriale sono state capaci, negli oramai tre decenni di presenza in Cina, di coltivare un top management cinese.
Per tutti i molti casi in cui non ci si è riusciti la domanda rilevante è ovviamente perché. Semplificando molto il problema credo che la risposta sia che i manager cinesi attuali che potrebbero aspirare ad una posizione molto senior hanno spesso una eccellente competenza professionale (tecnica, marketing, commerciale, finanziaria, ecc.), ma mancano di una capacità di visione complessiva (in un certo senso strategica) dei problemi e di tutte le dimensioni, spesso in conflitto, sottostanti: tecniche, economiche, umane, politiche, ecc. Mancano anche spesso della capacità di far fronte con soluzioni "improvvisate" a problemi contingenti "non codificati".
Manca loro, in un certo senso, quella capacità di vedere il complesso delle cose e degli avvenimenti nel momento in sé, ma anche nella loro "storia" e di sapervi operare con fiducia in sé stessi. Manca forse loro, in altre parole, quella formazione che veniva data alle classi dirigenti europee attraverso la formazione classica. E' buffo che la Cina (insieme all'impero romano) aveva capito (Dinastia Tang) l'importanza della formazione classica per i "dirigenti" (all'epoca i funzionari imperiali) e l'ha mantenuta (gli esami imperiali) fino all'inizio del novecento.
Si può obiettare che anche in Occidente oggi questa tradizione è diminuita, ma credo che in parte il sistema scolastico europeo (incluso quello italiano), bene o male, dia ancora una visione "classica" della nostra storia, della nostra filosofia e in ultima analisi della nostra vita. Inoltre il nostro modo di vivere, la nostra esposizione alle differenze culturali e la nostra visione spesso generalista aiuta i nostri quadri dirigenti a recuperare (se non l'hanno di proprio) una visione "strategica" degli eventi e delle nostre attività.
Che fare allora per la dirigenza cinese? Credo che occorra farla crescere con pazienza, esponendo i migliori a lunghe frequentazioni internazionali ed abituandoli, nel lavoro giornaliero, ma anche con una formazione specifica, a vedere il complesso dei problemi e a prendere decisioni in merito. Credo si possa dire che dobbiamo formarli a vedere la foresta e non solo l'albero e ad avere il coraggio di cambiare la struttura della foresta, se necessario.
Una parte importante di questa crescita è anche l'educazione dei dirigenti cinesi a capire e comprendere la cultura occidentale. Moltissime aziende occidentali investono giustamente energie e denaro per educare i propri dirigenti ad operare in Cina. Pochissime, a mia conoscenza, investono sui propri dirigenti cinesi per spiegare loro come noi siamo fatti.
di Paolo Borzatta
Paolo Borzatta è Senior Partner di The European House-Ambrosetti.
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Paolo Borzatta cura per AgiChina24 la rubrica di economia
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