Roma, 25 nov. - Zetema Progetto Cultura, società in-house di Roma Capitale, coordina il lavoro di organizzazione della Biennale di Cultura Vie della Seta. La "Grande Astrazione Celeste - Arte cinese del XX secolo" è la prima delle rassegne di arte contemporanea all'interno della Biennale.
La Biennale ha inaugurato proponendo una serie di rassegne di archeologia; questa è – appunto - la prima di arte contemporanea. La mostra consiste in una selezione di 32 opere provenienti dalla prima esposizione al National Art Museum of China di Pechino che sia mai stata curata da un critico italiano, Achille Bonito Oliva.
Insomma, nei rapporti tra Italia e Cina si direbbe che laddove la finanza non arriva, la cultura riesca invece a fare breccia?
La Biennale è stata pensata e promossa proprio con lo scopo di rendere i rapporti culturali sino-italiani più fluidi e continui, e abbiamo iniziato con l'ospitare una serie di manifestazioni: dall'archeologia a una mostra su Pechino - realizzata dal comune di Beijing - fino ad arrivare all'arte contemporanea e a un ciclo di conferenze (questo articolo). Contestualmente ci stiamo muovendo per promuovere la cultura italiana in Cina: una selezione di queste mostre sarà infatti portata nell'ex-Impero di Mezzo; siamo già in trattativa con Pechino, Shanghai e Hong Kong. Il prossimo anno, ad esempio, Hong Kong ospiterà una mostra sugli imperatori romani: se da un lato stiamo già trattando con diversi spazi museali, dall'altro l'apertura del Padiglione Italia a Shanghai - prevista a marzo prossimo - potrebbe accogliere una mostra sull'arte romana realizzata dal Comune di Roma. Abbiamo inoltre avviato tanto con le Camere di Commercio che con i comuni, per trasferire il know-how culturale italiano in Cina, sia nell'ambito delle mostre culturali sia in quello del design e della moda. Attività in corso, quindi, e credo nei prossimi 2-3 mesi potremo avere il quadro finale di tutte queste trattative.
Ha parlato di know-how, l'asset a cui il Dragone punta anche in altri campi, un interesse che riflette l'obiettivo dichiarato di sganciarsi dall'eccessiva dipendenza a esportazioni e investimenti. In alcuni ambiti industriali e commerciali la Cina è spesso accusata di 'concorrenza sleale'. Nella sfera culturale si lavora con la controparte cinese su un piano di piena reciprocità?
Il mercato cinese è cambiato, si è evoluto, così come l'immigrazione cinese in Italia: l'immigrazione clandestina ai limiti del lecito si è fermata, e anche il mercato cinese sta attraversando una fase di profonda trasformazione. E' inutile negare che c'è stato un periodo in cui la Cina produceva falsi. Oggi per entrare a pieno titolo nel novero delle potenze industriali, è chiaro che il governo cinese e le autorità locali stanno cambiando completamente politica, garantendo una maggiore tutela dei marchi, una maggiore assicurazione dei copyright, una maggiore tutela delle aziende che investono in Cina. E' un mercato in evoluzione che presenta ancora alcune criticità, ma le potenzialità che offre sono uniche, anche nel gioco del dare-avere. In questo momento possiamo ritenerlo complementare al mercato dell'Unione Europea. C'è una forte richiesta di know-how soprattutto culturale e creativo della Cina nei confronti dell'Europa, piuttosto che know-how tecnologico; mentre quest'ultimo è destinato a essere superato, il know-how di creatività fa parte della nostra cultura storica, e su questo campo l'Europa e l'Italia possono fare moltissimo. Non dobbiamo essere gelosi del know-how italiano; al contrario, dobbiamo attivare delle collaborazioni forti: se l'Italia mette il know-how culturale e la Cina la forza di produzione, non potranno che derivarne risultati significativi.
Quindi a suo avviso non è stato ancora superato il modello in cui l'Italia mette a disposizione il know-how e la Cina la manodopera?
La Cina ha dalla sua la forza di produzione. Aggiungo che gli accordi internazionali variano anche a seconda delle condizioni storiche: in questo momento, la Cina può contare ancora su una manodopera a costi abbastanza ragionevoli a cui sta unendo una crescente qualità nei processi produttivi, e l'Italia ha un certo know-how che internamente non è in grado di valorizzare. È chiaro che c'è sinergia, almeno per i prossimi 10 anni; e mi auguro che l'Italia torni ad essere presto una nazione produttiva.
Nel corso dell'organizzazione della Biennale di Cultura Vie della Seta - inaugurata alle Terme di Diocleziano dove abbiamo potuto ammirare l'incredibile mappa del paesaggio mongolo - cosa avete imparato dalla Cina?
Innanzitutto – e lo si può leggere sia come un pregio che come un difetto - la forte centralizzazione delle decisioni: è un difetto perché può portare a un eccessivo conformismo e a una lentezza nelle decisioni; ma è anche un pregio se pensiamo a quello che accade in nazioni molto più piccole, per esempio l'Italia, dove tra le varie istituzioni spesso non si riesce a trovare un accordo, e a volte ci si arena. Certo è che una nazione così grande, se non prende decisioni centralizzate, rischia di bloccarsi. Forse dovremmo imparare qualcosa anche noi da questo.
"Aumentare il soft power cinese" nel mondo e rafforzare la "sicurezza sul fronte culturale" sono le due linee guida emerse dal recente plenum del Comitato Centrale del PCC. Francesco d'Arelli ha inaugurato la mostra "A Oriente: Città, uomini e dei sulla via della seta" sottolineando il ruolo della cultura italiana come veicolo di diplomazia e civiltà. Posto che l'Italia e l'Europa stanno attraversando una fase di profonda incertezza - e da più parti d'invoca un soccorso da parte del Dragone -, l'approccio che la Biennale offre al pubblico può essere considerato un modo per sensibilizzare l'opinione pubblica italiana alla cultura cinese, riducendone la distanza fisica e concettuale?
Teniamo presente che la cultura cinese suscita ancora paura e sospetto; sentimenti che spesso offuscano le grandi potenzialità che la Cina ci offre. L'Italia, e noi come Roma, sconta ancora un gap a livello di visione internazionale. Roma, tra le grandi capitali europee, è la città con la propensione internazionale più debole; se pensiamo a Londra, a Madrid, a Parigi, a Berlino, Roma è la capitale che ha maggior bisogno di sviluppare una cultura internazionale. Questa mostra, nei limiti di ciò che può ottenere, va in questa direzione. In altre parole, vuole dire ai cittadini romani: guardate che in quella parte di mondo si sono fatte cose molto importanti, che dobbiamo capire e valutare. Sono mondi con cui dobbiamo iniziare a dialogare. Un tempo si diceva che l'Italia deve stare nell'Unione Europea, ma ormai non basta più: l'Italia, come tutte le nazioni, deve pensare a livello mondiale, confrontarsi con le aree di mondo in forte sviluppo. L'area urbana di Roma - diventata Roma Capitale da pochissimi giorni - è una istituzione internazionale. E' giunto il momento che inizi a dialogare con le grandi aree urbane, e quindi Shanghai, Hong Kong - che è un grande hub della Cina - e Pechino - la capitale politica-. La gente deve capire che l'Oriente è culla di culture profonde con cui dobbiamo confrontarci e da cui possiamo ottenere buoni risultati, anche economici.
"I have a dream" diceva Martin Luther King. In una fase storica in cui l'asse geopolitico si sta spostando verso Oriente, Zetema cosa sogna per il futuro di Roma Capitale?
Zetema è una società 'strumentale', ed attua le politiche del Comune di Roma. Ciò detto, siamo convinti che lo sviluppo culturale sia l'asse principale per lo sviluppo internazionale delle grandi aree urbane. In un concetto ormai ampiamente condiviso, i soldi spesi in cultura non sono più considerati sprecati, ma costituiscono investimenti fondamentali. Il nostro sogno è trasformare Roma in una grande capitale culturale internazionale. Confido che pian piano ci riusciremo. Al termine della Biennale, e grazie alla Biennale, la città di Roma e la Camera di Commercio di Roma si stanno preparando a sviluppare rapporti culturali con alcune città cinesi per la realizzazione nel 2012 di una serie di iniziative culturali.
di Alessandra Spalletta
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