Presidente Camera di Commercio dell'Unione Europea in Cina

di Antonio Talia
Pechino, 13 feb. - Non c'è solo la crisi europea al centro del Summit Cina-Ue, il più importante incontro annuale tra Pechino e Bruxelles, che inizierà martedì 14 febbraio: la Camera di Commercio dell'Unione Europea in Cina organizza il 7th EU-China Business Summit, dal titolo "Cooperation on a New Level: Innovation, Industry and Investment".AgiChina24 ha intervistato il presidente della Camera europea Davide Cucino, per comprendere le prossime sfide della cooperazione Cina- Ue.
La scorsa settimana l'Ambasciatore europeo Markus Ederer ha previsto che nel 2012 la Cina diventerà il primo mercato per l'Unione europea. È una previsione realistica? Come si può realizzare?
Si tratta sicuramente di una previsione affidabile, è l'obiettivo che si pongono i due blocchi in occasione di questo summit politico ed economico. Naturalmente ci sono delle condizioni, e la prima è che vi sia un miglioramento della situazione in Europa. Per migliorarla è anche necessario avere tra i player principali proprio la Cina. Per quanto ci riguarda, è da venire, è ancora da potenziare, ma va comunque sottolineato che in Europa c'è già un'importante presenza cinese, sia sul fronte finanziario che sull'aspetto industriale. Non è un caso che negli ultimi 12 mesi gli investimenti cinesi in Europa siano aumentati di quasi il 100%, basti pensare al caso di EDP (società portoghese per la distribuzione di energia elettrica) e a quello di Sany, la società cinese che ha acquistato la tedesca Putzmeister, attiva nella meccanica pesante. Ma ci vuole un maggiore impegno da parte della Cina e anche una maggiore apertura del mercato cinese alle società europee. Per noi, ancora oggi, quella è la priorità: maggiore accesso dell'Europa sulla scena cinese.
Uno dei panel è sul settore dei servizi, che in molti ritengono nello stesso tempo estremamente interessante, ma anche sviluppato in misura nettamente inferiore rispetto alle possibilità del mercato cinese. A che punto è la situazione? Ci sono più possibilità per le società europee o ci sono ancora molte barriere?
È un panel importante, perché il settore dei servizi fa parte della strategia EU 2020, ma è anche uno dei punti focali del Piano Quinquennale cinese 2011-2015, quindi c'è una specularità d'interessi dei due blocchi. Sicuramente è un mercato che è ancora da svilupparsi, in questo momento la Cina ancora non è nel peak positivo dal punto di vista dell'aumento della domanda interna, e i servizi costituiscono una voce importante. Nel momento in cui ci sarà maggiore apertura dovremo anche metterci a discutere di barriere: il fatto stesso che ancora oggi in Cina esista un catalogo sugli investimenti stranieri pone sicuramente delle condizioni. Sta a noi, alle lobby delle industrie cercare di negoziare il migliore accesso anche a questa porzione di mercato.
Al summit si parlerà anche di urbanizzazione, un settore che però è al centro di timori di bolla speculativa. Cosa può fare l'Europa per la Cina?
Quando si parla di urbanizzazione non si parla solo di realizzazione di palazzi, ma anche di una serie di servizi a sostegno di ciò che si costruisce. Anche qui, la rete dei servizi è in mano al procurement del governo, dove le nostre imprese- per il momento- hanno un accesso molto limitato, quasi come sub contractor di grandi aziende cinesi. Abbiamo voluto insistere su questo punto, perché se si vuole perfezionare l'urbanizzazione, renderla sostenibile, è fondamentale coinvolgere di più le aziende straniere, e in particolare quelle europee, che hanno un know how di alto livello. Ma per farlo, è necessario liberalizzare il public procurement.
C'è qualche segnale di liberalizzazione da parte dei cinesi sul public procurement? E cosa pensa di casi come quello della Polonia, che in un caso specifico a sua volta ha chiuso alle aziende cinesi?
E' vero che la Cina nella nuova offerta sembra aprire ad alcune regioni, ma non vediamo per quale ragione non si debba aprire invece a tutte le regioni. Perché dividere tra province di serie A e province di serie B? Le società europee sono in grado di lavorare su progetti di public procurement ovunque. Per quanto riguarda casi di chiusura, noi siamo per mantenere l'apertura del public procurement in Europa, che è senz'altro il blocco più aperto al mondo. Ma la Cina deve riflettere, e magari anche decidersi a fare esattamente lo stesso per quanto concerne il suo mercato. E' nell'interesse di tutti, perché cambierebbero i prezzi, ci sarebbe maggiore competizione e prodotti più innovativi entrerebbero sul mercato cinese. E' nell'interesse delle aziende europee allargare la fetta del loro mercato in Cina, ma è anche nell'interesse della Cina aprirsi.
All'ordine del giorno c'è la crisi europea. Lei ricordava alcune grosse acquisizioni di società europee da parte di società cinesi. In quali altri settori possiamo assistere all'entrata dei cinesi?
Sicuramente c'è uno shift dal mercato delle commodities - che è ancora importantissimo perché la Cina ha ancora fame e sete di risorse - a prodotti a carattere più industriale. E poi c'è il settore dei servizi. La Cina è interessata a investire in blocchi come l'Europa per due motivi: ottenere più tecnologie innovative in una serie di settori sui quali probabilmente ha ancora da lavorare, e poi migliorare la qualità del management delle aziende principali cinesi.
Possibili investimenti in Italia?
C'è l'interesse, perché la dinamica della presenza cinese in Europa sta cambiando. Restano sempre maggioritarie le grandi società di Stato, ma c'è un aumento- peraltro più difficile da controllare- di società private che iniziano a interessarsi all'aquisizione di medie aziende. E in questo caso, Paesi come Francia e Italia saranno sicuramente sempre di più oggetto di acquisizioni private. Noi consigliamo sempre di lavorare sempre su progetti di collaborazione, cioè joint venture, così come fecero le nostre imprese nella prima fase di apertura in Cina. Cercare di costituire partnership anziché cercare di acquisire completamente l'impresa, è molto più utile perché permette alle aziende cinesi di entrare in altri mercati da protagoniste. Non dimentichiamo che dal punto di vista del management ci sono molti problemi per le aziende cinesi. Il problema culturale che abbiamo avuto noi, quando ci siamo affacciati in Cina è lo stesso problema culturale che hanno le aziende cinesi in Europa. Ecco, l'attuale crisi è un problema di debito sovrano, ma la maggior parte delle aziende europee è ancora molto sana, quindi queste aziende hanno ancora molto da dire. Se queste aziende sono in affanno di capitale circolante, la Cina può dare una grossa mano, e in cambio entrare su altri mercati con management europei, che hanno l'esperienza necessaria.
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