MODELLO CINA, UN NUOVO DENG XIAOPING

Milano, 28 nov. - Crisi economica, crisi di fiducia nella politica, rivolte nelle piazze, decadenza morale. Sono questi i segnali macroscopici delle grandi difficoltà che il mondo, e in particolare il mondo dominato dal modello occidentale, sta vivendo in questi anni. O almeno questa è la lettura dell'attualità da cui partono due editoriali, pubblicati nei giorni scorsi dallo Huanqiu Shibao e dal Cankao Xiaoxi, che invitano energicamente la Cina a ritrovare e perseguire la propria strada di sviluppo economico e politico. E che affermano a chiare lettere che il modello cinese farà presto scuola.
Nientemeno che «un nuovo Deng Xiaoping» è ciò che serve al mondo in crisi secondo Cui Zidou, editorialista che scrive dagli Usa e che per gli Usa non ha parole dolci. Nel suo articolo, uscito sullo Huanqiu Shibao il 21 novembre, Cui elenca le «contraddizioni» che hanno portato il mondo in un «gran caos»: la sfiducia nella politica, l'egoismo delle persone, «la libertà individuale diventata il nuovo fanatismo religioso», l'estremismo e gli «affari internazionali sempre meno armoniosi». La causa di questi fenomeni, secondo l'autore, sta nel trionfo del modello americano e nella fine dell'Urss: «Da allora - scrive Cui - il vento occidentale ha cominciato a soffiare in ogni dove e molti paesi, che fossero o meno nelle condizioni per farlo, hanno abbracciato il modello statunitense alla cieca».
Questo, secondo Cui, non sta aiutando la pace mondiale: «Gli Usa hanno fatto dei propri valori l'unico standard di riferimento valido in tutto il mondo. Il loro standard, però, prevede che, quando si scatenano dispute internazionali, la prima preoccupazione non sia il mantenimento della pace, ma lo scontro o l'intervento per cambiare i regimi. La guerra in Iraq, avviata con il pretesto delle armi di distruzione di massa, è stato un modo per rimuovere Saddam Hussein, portare la democrazia in Medio Oriente e controllare le risorse petrolifere dell'area».
Come uscire da questo caos e come liberarsi dal dominio dei valori americani? Cui Zidou guarda al recente passato. «Trenta anni fa, lo sviluppo cinese si trovò in una situazione di grande difficoltà. Deng Xiaoping, liberandosi dai lacci dell'ideologia, riportò ordine nel caos, ripristinò il rispetto della legge, rilanciò la produttività e introdusse i meccanismi di mercato. Queste misure hanno generato lo sviluppo economico cinese, dato nuova linfa alla vita delle persone e favorito un aumento esponenziale del Pil».
Oggi però, sebbene la Cina abbia «superato diverse crisi in modo più brillante degli altri», secondo Cui anche Pechino corre il rischio di essere contagiata dal caos mondiale. Per evitarlo, scrive l'editorialista, deve ritrovare dentro di sé le risorse per uscire dalla crisi: «Dobbiamo affidarci alla profondità del nostro pensiero tradizionale, scavando nell'intelligenza e nei principi etici del popolo cinese e puntando sul pragmatismo. Non dobbiamo copiare il modello occidentale o percorrere strade già battute. Dobbiamo trovare una nuova via adatta al nostro tipo di sviluppo. Dobbiamo rispolverare la vecchia frase di Deng Xiaoping: "Non importa se il gatto è bianco o nero, basta che catturi il topo". Solo così la Cina potrà emergere dalla competizione mondiale e guidare la rinascita del popolo cinese».
L'invito a smarcarsi dalla "via" occidentale e ad affermare l'originalità cinese è ribadito anche nell'editoriale anonimo intitolato «Democrazia, le rivolte non bastano», pubblicato da Cankao Xiaoxi e Huanqiu Shibao il 24 novembre. L'articolo discute l'essenza del termine democrazia e sottolinea i progressi compiuti dalla Cina in questa direzione, affermando che le critiche occidentali al sistema cinese non sono fondate.
«La Cina è spesso definita un paese non democratico e l'occidente le attribuisce una tendenza antidemocratica. Poiché la Cina non ha un sistema di elezioni all'occidentale, anche molti cinesi la pensano così. Nonostante i passi in avanti compiuti dalla nostra società in questi anni siano evidenti a tutti, quando si parla di democrazia siamo sempre criticati. L'opinione pubblica occidentale è molto forte e per la Cina è difficile persuaderla che le cose non stanno così».
Eppure, di fronte alle rivolte in Egitto e ai disordini in paesi come la Birmania, «la democrazia ci appare ancora una buona scelta?». La Cina, ragionano gli autori, «ha bisogno della democrazia, ma di una democrazia che sia buona: che ci aiuti a evitare il potere monopolistico, che ci permetta di prendere decisioni politiche razionali, che ci sostenga nella lotta alla corruzione, ma anche che non ci porti disordini sociali». In un sistema democratico «di alto livello», fatti come «le rivolte in Egitto non devono trovare spazio».
La Repubblica popolare, secondo l'articolo, ha già fatto grandi progressi: «Rispetto anche solo a cinque anni fa, non è vero che nella Cina di oggi le possibilità per esprimere le proprie opinioni sono aumentate moltissimo? Non è vero che il potere dei governi locali viene arginato in modo sempre più efficace? Avreste potuto aspettarvi tutto questo, cinque anni fa? Il blocco della costruzione della fabbrica di paraxilene a Dalian in seguito alle proteste della popolazione, o le misure prese in sempre più città cinesi contro il traffico e l'inquinamento sulla base delle idee espresse dai cittadini sulla rete non sono fatti che hanno a che vedere con la costruzione della democrazia?».
La domanda è ovviamente retorica, e l'articolo continua affermando che «negli ultimi anni in Cina si è registrato uno sviluppo democratico ad alta velocità» e che i cinesi, oltre a riconoscere che «la democrazia è ciò verso cui tendiamo», sono anche «sempre più in grado di distinguere tra la democrazia in generale e il modello di democrazia occidentale».
È grazie ai passi concreti compiuti dal paese, grazie all'approccio sperimentale e pragmatico di Pechino che «la democrazia vedrà presto la luce in Cina». E il «processo di ascesa della Cina», non soltanto a livello economico, «porterà probabilmente nel mondo un nuovo grande modello concreto di democrazia». Destinato, si sottintende, a soppiantare quello occidentale, votato al fallimento.
«La Cina non può copiare l'occidente - conclude l'editoriale - sia perché non si sa che destino abbia quel modello, sia perché ci vorrebbero i sacrifici di almeno due generazioni per realizzare quel tipo di democrazia. La disintegrazione dell'Urss è costata molti dolori, ma a distanza di 20 anni la Russia è ancora esclusa, secondo gli occidentali, dal novero dei paesi democratici». Invece, «la democrazia non è un obiettivo formale della Cina, ma il sistema verso cui siamo inevitabilmente diretti». Addirittura, sono convinti gli autori, «noi stiamo già camminando lungo questa strada, solo che non l'abbiamo ancora chiamata democrazia».
di Emma Lupano
Emma Lupano, giornalista professionista e dottore di ricerca sui media cinesi, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
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