Di Adolfo Tamburello
Napoli, 10 ott. - Prendo visione del programma del Convegno Internazionale in lingua inglese tenutosi tra il 25-27 settembre fra Roma e Napoli organizzato dalla Sapienza e "L'Orientale" (coi loro relativi Istituti "Confucio") e l'Università degli Studi Stranieri di Pechino. Il Convegno è stato intitolato a "Michele Ruggieri all'apertura del dialogo fra Cina ed Europa" (forse in omaggio agli ospiti cinesi) ma preferisco intenderlo "fra Europa e Cina", perché ad aprire quel dialogo non fu la Cina ma l'Europa; le autorità dell'impero Ming erano decisamente restie ad aprirlo e contrastavano severamente l'entrata e la permanenza di stranieri all'oscuro della lingua e della cultura cinesi. Avevano relegato i portoghesi a Macao e lì dovevano rimanere tutti i "barbari".
Fu l'escamotage di Alessandro Valignano (1539-1606), visitatore delle Indie Orientali momentaneamente a Macao, a riuscire a ottenervi da Goa gesuiti pronti a studiare la lingua e la cultura letteraria del Celeste Impero e porre le condizioni perché Ruggieri e Matteo Ricci, dopo un severo tirocinio di studi, permanessero stabilmente sul continente cinese dal 1583.
È importante per varie ragioni che si sia tenuto questo Convegno: una è che la partecipazione di oltre una ventina di studiosi cinesi di Storia delle missioni rispetto a undici relatori europei (di cui otto sicuramente connazionali) in un consesso tenuto in Italia, la dice lunga sugli interessi culturali che le loro sedi accademiche e di ricerca annettono alla vicenda missionaria europea, mentre da noi egregi cultori di missioni orientali (e occidentali) si trovano chiusi gli sbocchi della ricerca scientifica perché il nostro Ministero ha cassato la Storia delle missioni dall'elenco delle discipline contemplabili nelle Università forse per l' ottusa professione di laicità di qualcuno che ignora quanta storia moderna e contemporanea (per non parlare di quella antica e medievale) è stata fatta proprio dalle missioni. Speriamo che l'evento nelle due storiche capitali nostrane giunga alle orecchie di colti burocrati che promuovano il reinserimento della disciplina negli statuti dei nostri Atenei.
Dell'apertura italiana (poi europea) al dialogo e ai rapporti con la Cina Ruggieri è stato certamente una personalità chiave, e uno dei partecipanti al Convegno, Eugenio Lo Sardo, è figura di riconosciuto merito mondiale per il contributo dato alla riscoperta e alla rivalutazione dell'opera di Ruggieri. Grande merito per essa ebbe il "paladino" di Ruggieri Wang Pan; sulla collaborazione fra i due hanno riferito Ronnie Po-chia Hsia e Zhang Tingyin.
Manco di notizie sui lavori del Convegno e il valore delle relazioni presentate: lo si constaterà alla lettura degli Atti che confidiamo siano pubblicati quanto prima. Federico Masini ne ha curato la prolusione iscrivendosi a parlare in chiusura della prima mattinata cedendo prima la parola ad alcuni relatori cinesi. I titoli delle relazioni che più hanno mi hanno destato molto interesse sono due: il primo di Manel Ollé, "Alonso Sánchez a Zhaoqing"; il secondo di Antonio de Saldanha, "Ambascerie e illusioni gesuitiche. Michele Ruggieri e le radici del progetto gesuitico di un'ambasceria all'Imperatore della Cina". Sono due relazioni strettamente legate l'una all'altra. Sánchez era un gesuita spagnolo instancabile propugnatore di una conquista armata della Cina; Valignano lo incontrò a Macao e chissà che non fosse la sua conoscenza e la o le conversazioni avute con lui a spingerlo a promuovere una pacifica ambasceria papale (e non solo) all'impero Ming.
Regnava allora in Europa Filippo II che aveva riunito nel 1580 le corone di Spagna e Portogallo sotto il suo scettro. I patti erano che gli imperi coloniali delle due nazioni rimanessero distinti; contro le utopistiche attese, si formava una coesione (e al contempo una rivalità) ispano-portoghese che faceva entrare religiosi spagnoli sotto patronato o vicariato regio ispanico nelle terre di missione fino ad allora riservate al patronato portoghese e violate dal clero ispanico proveniente dalle Filippine ormai spagnole e che tentava di entrare pure in Cina: su questo tema il contributo di Ubaldo Iaccarino sul frate minore Pedro de Alfaro. Fu il caso anche di Sanchez che, raggiunta Macao e riuscito a entrare nell'entroterra cinese, continuò pervicacemente a battere su quella grande conquista che avrebbe esteso i dominî della nuova Spagna a una buona parte delle "Indie Orientali" fino ad allora (era l'accordo) "portoghesi".
Gli impegni frattanto estesi su uno scacchiere fattosi mondiale impedivano al re di Castiglia di prendere in considerazione (se mai lo volesse) piani così velleitari di conquiste; al contrario è molto attendibile pensare che avrebbe sostenuto a pieno un'ambasceria papale all'impero Ming, considerato che nel 1584 si era ben compiaciuto di ricevere a Madrid la missione dei giovani giapponesi al papato pure organizzata da Valignano. Fu che seguì nel 1588 la disfatta dell'"Invincibile Armata" che segnò il declino di Filippo II (e della Spagna e del Portogallo), e in quell'anno partiva invano Ruggieri da Macao, su mandato di Valignano, per perorare l'ambasceria ai Ming. Ancora nel 1590 Ruggieri dedicava a Filippo II la traduzione di un'importante opera cinese. È stato questo il tema scelto per il Convegno dal citato Lo Sardo.
Gli altri argomenti in discussione, tranne qualcuno incontestuale al tema, sono stati sia di carattere linguistico-filologico-letterario relativo all'opera del Nostro e sia di carattere storico con un occhio anche al famoso "Atlante della Cina" del Ruggieri, riscoperto da Lo Sardo. Relazioni dei cinesi Ren Dayuan, Ku Weiying, Xie Hui, Hu Fanzhu hanno ruotato intorno al primo "catechismo" composto da Ruggieri in cinese coi caratteri di Tianzi (allora traslitterati T'ienchu) per indicare il nome di Dio. Era stato precisamente nel 1582 a Zhaoqing, al primo insediamento della missione in Cina, che Ruggieri col confratello Francesco Pasio (prima che Matteo Ricci li raggiungesse) adottò appunto il nome di Tianzi per quello di Dio. Nell'occasione i due accolsero il suggerimento offerto da un loro neo-converso cinese che aveva vergato i caratteri di quel nome (significanti "Signore del Cielo") su una tavoletta posta sull'altare in cui i due sacerdoti avrebbero recitato la messa. Non pensavano naturalmente alle dilanianti controversie che la scelta di quell'attributo al nome di Dio avrebbe scatenato pur rimanendo poi quello definitivo della chiesa cattolica.
Nel 1584 Ruggieri usava quel nome per il suo "catechismo" ( Tianzhu shilu, "Vera esposizione [della dottrina] del Signore del Cielo), primo testo in cinese edito in Cina sotto il nome di un europeo e su approvazione di Valignano. Ricci ne seguiva l'esempio intitolando a sua volta il proprio catechismo Tianzhu shiyi, (generalmente tradotto come il "Solido Trattato su Dio"), che pubblicava nel 1603, previa approvazione di un'allargata consulta a Macao presieduta da Valignano.
Pasio, collega di Ruggieri e Ricci al Collegio Romano e con loro in Asia dal 1578 e in Cina nel 1582, era destinato al Giappone, ove arrivava nel 1583. Nel 1600, dopo la morte di Pedro Gómez, vice-provinciale del Giappone e della Cina, ne ereditava la carica su designazione di Valignano, per succedere infine a questi come visitatore del Giappone e della Cina dal I dicembre 1608.
Una volta in Giappone, Pasio aveva preso atto che la traslitterazione del nome di Dio aveva destato molti problemi alla locale missione fondata da Francesco Saverio fin dal 1549, la quale aveva finito con l'adottare per quel nome, al riparo da ogni equivoco, la forma latina Deus (in giapponese deusu), così come aveva traslitterato lemmi latini (o alcuni portoghesi) per altri nomi e termini del lessico cristiano. I gesuiti in Giappone erano stati ovviamente favoriti dall'uso degli alfabeti sillabici nella locale lingua scritta, con uno di questi, il katakana, che ben si prestava alla trascrizione di parole e nomi stranieri a mo' di un nostro corsivo o grassetto. In Cina, questa semplice voltura era preclusa, dato che la scrittura non faceva uso di alfabeti, e parole e nomi potevano essere resi solo con caratteri assunti nel loro valore semantico o quello fonetico, prescindendo in quest'ultimo caso dal loro significato, e con l'ulteriore difficoltà che le pronunce variavano molto nei dialetti, ed era perciò impossibile trovare uno o più omofoni, per esempio del latino Deus, che suonassero allo stesso modo alle orecchie dei parlanti di tutta la Cina. Vano riusciva il tentativo di adottare una forma dousi. Anzi, Ricci aveva precisato: "perchè nella lingua della Cina non vi è nessuno nome che risponda al nome di Dio, nè anco Dio si può bene pronunciare in essa per non avere questa lettera d, cominciorno a chiamare a Dio Tienciù, che vuol dire Signore del cielo, come sin hora si chiama per tutta la Cina…".
Ricci, con la maturata convinzione che la Cina antica avesse coltivato una nozione di Dio, aveva finito col far proprio un lessico teologico attinto alle fonti cinesi, con grande disappunto dei gesuiti in Giappone che non avevano ritenuto di trovare nelle letterature religiose dell'area alcuna compatibilità con la teologia cristiana e avvertendo pure in quella cinese un forte sentore di idolatria. Pertanto, già molti anni prima di Ruggieri e Ricci, avevano depennato per il nome di Dio anche il proposto calco sino-giapponese Tenshū (egualmente "Signore del Cielo"), trovatovi in uso dal buddhismo, e di conseguenza lo avevano fatto primo oggetto di contestazione di Ricci quando ne conoscevano il catechismo che portava il nome di Tianzhu fin dal titolo.
Camillo Costanzo (1571-1621), missionario calabrese in Giappone dal 1603, riparato a Macao nel 1614 a seguito della proscrizione del cristianesimo emanata dallo shogunato Tokugawa il 27 gennaio di quell'anno, inveiva con animo acceso, e forte del parere di un autorevole monaco buddhista, contro l'uso del nome di Tianzhu per quello di Dio. Pasio a fine 1608, appena succeduto a Valignano come visitatore, aveva addirittura incaricato lui di redigere un nuovo catechismo in sostituzione di quello di Ricci (e comprensivamente quello di Ruggieri). Costanzo impiegava molti anni a compilare l'opera, e Pasio, rientrato a Macao nel 1612, pochi mesi prima di morire e già in condizioni critiche, rinnovava o trasferiva l'incarico di redigere un catechismo in sostituzione di quelli cinesi a un altro confratello della missione giapponese, il portoghese João Rodrigues (1561-1633), il quale si sarebbe dovuto recare in Cina per conto dello stesso Pasio e presentare tutte le rimostranze e le riserve espresse dalla missione giapponese (che fra l'altro esercitava ancora una legittima autorità giuridica su quella della Cina).
Rodrigues, autorevole membro della missione del Giappone, espulso dal paese su ordine dello shogunato Tokugawa fin dal 1611 stabiliva la propria residenza a Macao, da dove, a espletamento dell'incarico avuto, si portava ripetutamente nell'interno della Cina fino a Pechino per esporre in incontri e per iscritto le critiche proprie e della missione giapponese all'uso invalso di rinunciare a una traslitterazione fonetica del nome di Dio (e altri) della teologia cristiana e di adottare al contrario espressioni cinesi riconducibili a concezioni pagane e idolatriche non dissimili da quelle correnti nelle religioni giapponesi.
Questi furono solo alcuni prodromi di quella controversia dei nomi che, rimasta all'interno della Compagnia di Gesù, con l'entrata in Cina dal 1631 dei missionari domenicani e francescani e poi di quelli del clero secolare, si allargò come materia di dibattito fra i vari ordini religiosi e sfociò nella lacerante "questione dei riti". Vi restò coinvolto fra i primi Nicola Longobardo (1559-1654), superiore della missione cinese succeduto a Ricci. La relazione di Silvia Toro ha riguardato proprio il percorso della strategia missionaria da Ruggieri a Longobardo, il quale ultimo moriva vedendo già molto in forse l'"apertura della Cina all'Europa".
10 OTTOBRE 2017
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