MAR CINESE MERIDIONALE, LA POSIZIONE
Di Fabio Massimo Parenti
Roma, 14 lug. - Il Tribunale arbitrale dell'Aia ha riconosciuto come valide le rivendicazioni delle Filippine sulla disputa nel Mar cinese meridionale, disconoscendo le ragioni della Cina sulla legittimità internazionale della procedura e sulla sostanza delle questioni trattate. In due comunicati ufficiali del Ministero degli Affari Esteri del governo cinese, la Repubblica popolare conferma ciò che ha sostenuto fino a oggi in diverse occasioni: "Il riconoscimento dato alle Filippine è nullo e non ha alcun effetto vincolante. La Cina non accetta, né riconosce la validità della decisione in oggetto". Secondo il governo cinese ed alcuni esperti di diritto internazionale, il Tribunale è stato chiamato a sentenziare su questioni che non sarebbero di sua stretta pertinenza, disconoscendo elementi storici, trattati internazionali e soprattutto i lunghi e consolidati processi negoziali al livello bilaterale e in ambito ASEAN. In sintesi, sovranità territoriale e delimitazioni di confini marittimi travalicherebbero funzioni e mandato del Tribunale; pertanto il governo cinese ha sottolineato tutti i limiti, gli errori e le contraddizioni inerenti alle argomentazioni enucleate nel documento del Tribunale arbitrale a favore delle Filippine.
A questo punto gioverà analizzare la posizione ufficiale del governo cinese e le strumentalizzazioni politiche dietro l'arbitrato richiesto dalle Filippine, in quanto la Cina considera queste vicende come "un chiaro tentativo di minare la sovranità territoriale e i diritti e gli interessi marittimi cinesi".
La prima rivendicazione cinese è di tipo storico. I documenti disponibili, anche di molti paesi occidentali, confermano la lunga sovranità cinese sugli arcipelaghi all'interno della cosiddetta "nine-dash line" (ovvero di uno spazio marittimo che comprende più dell'80 per cento del Mar cinese meridionale), scoperti da cinesi a partire dalla Dinastia Tang [per un'eccellente disamina scientifica della letteratura disponibile a supporto di tale rivendicazione si rimanda a Jiangming Shen, "China's Sovereignty over the South China Sea Islands: A Historical Perspective", Chinese Journal of International Law, 2002, disponibile online ; si veda anche il documento del Ministero degli Affari Esteri che dettaglia non solo l'ampia letteratura cinese a sostegno della lunga sovranità sulle isole del Mar cinese meridionale, ma anche il diffuso riconoscimento occidentale testimoniato, ad esempio, da enciclopedie e annuari europei, statunitensi e giapponesi - tra gli altri, si veda il Worldmark Encyclopedia of the Nations, the Worldmark Press, USA, 1960; il New China Yearbook, the Far Eastern Booksellers, 1966, Japan].
Anche più recentemente, verso la fine dell'occupazione giapponese della seconda guerra mondiale, vari documenti di diritto internazionale (tra cui le dichiarazioni del Cairo e di Potsdam, rispettivamente del 1943 e 1945) hanno riconosciuto la necessità di restituire le isole ai cinesi (all'epoca sostenuti anche dagli Usa). E benché si trattasse, all'epoca, del riconoscimento dato dalle maggiori potenze vincitrici alla Repubblica di Cina (guidata dai nazionalisti di Chiang Kai Shek), che è poi stata sostituta dalla Repubblica Popolare Cinese (guidata dal partito comunista sin dal 1949), l'ipotesi di sovranità di altri paesi del sud-est asiatico non sembra avere solide basi storiche. Inoltre, tre trattati internazionali — firmati nel 1898, 1900 1930 — hanno chiarito che il territorio filippino si estende a est del 118° meridiano, mentre le isole cinesi Nansha e Huangyan si estendono a ovest dello stesso. Ciò nonostante, sin dagli anni Settanta, le Filippine, il Vietnam e altri paesi della regione hanno occupato militarmente alcune isole dell'arcipelago, violando, secondo le rivendicazioni cinesi, la Carta delle Nazioni Unite e il principio del rispetto reciproco della sovranità e dell'integrità territoriale (stabilito nella medesima Carta): così è nata la controversia sulla sovranità dell'arcipelago di Nansha. In seguito, con la nascita e l'attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, nel 1982, è emerso il nuovo problema della delimitazione delle acque territoriali tra la Cina, il Vietnam e le Filippine. In questo contesto, il parziale riavvicinamento degli Usa al Vietnam e il consolidamento dei rapporti militari tra gli Usa e le Filippine - ove prevalgono considerazioni strategiche rispetto, ad esempio, alle violazioni dei diritti umani attribuite alle forze armate filippine – confermano che le critiche occidentali rivolte alla Cina, in merito alle dispute marittime nel Mar Cinese Meridionale, mirano ancora una volta a discreditare la Repubblica Popolare al fine di perseguire operazioni di contenimento della Cina, tramite pressioni e ingerenze di natura politica, diplomatica e militare.
Nel 2013 le Filippine hanno invocato unilateralmente un arbitrato internazionale, a cui la Cina, in linea con ciò che le consente di fare la Convenzione (art 298), ha deciso di non partecipare, emettendo una dichiarazione di eccezione facoltativa nel 2006. Una procedura, quest'ultima, utilizzata in varie occasioni da molti altri paesi, compresi i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (ad eccezione degli Usa che non aderiscono alla Convenzione). Per di più, le Filippine hanno disatteso anche gli accordi presi in ambito ASEAN, che prevedono la gestione bilaterale delle dispute territoriali e marittime. Si tratta del metodo prediletto dalla Cina, visto e considerato che la Repubblica popolare confina in totale con quattordici Paesi e con dodici di essi ha già risolto controversie confinarie proprio attraverso negoziati e trattative bilaterali.
Peraltro, gioverà ricordare che oltre a rafforzare le proprie capacità difensive, la Cina sta costruendo una serie di servizi di pubblica utilità. Essendo il paese costiero più grande del mar cinese meridionale e ricoprendo un ruolo internazionale sempre più rilevante, la Cina non può trascurare minacce, problemi e necessità delle relazioni intessute in queste aree. Le autorità hanno dichiarato che per adempiere nella maniera migliore alle responsabilità e agli obblighi internazionali, il paese sarà sempre più capace di offrire alla comunità internazionale servizi di ricerca e salvataggio in mare, prevenzione e mitigazione dei disastri, osservazione meteorologica, conservazione ecologica, sicurezza della navigazione, ecc.
Secondo alcune voci critiche, emerse negli ultimi anni sui principali quotidiani inglesi e statunitensi (come ad esempio The Guardian, New York Times e Wall Street Journal), nonché su organi della marina statunitense, le attività di costruzione nell'arcipelago rappresenterebbero un processo di spinta militarizzazione e si sarebbero sviluppate in maniera troppo rapida e su dimensioni troppo vaste. Qualsiasi cosa reca in sé pro e contro, ma, sempre secondo le posizioni ufficiali, "velocità e dimensione non sono un criterio obiettivo di valutazione rispetto ad un fatto specifico". La Cina non ha mai esteso il proprio territorio, non ha mai rivendicato la propria sovranità sul territorio altrui, non ha mai invaso il territorio di altri Paesi con la forza armata. Approntando le difese necessarie sulle isole, la Cina è saldamente persuasa di aver esercitato il proprio diritto all'autopreservazione e all'autodifesa riconosciuto dalle leggi internazionali. Diverso è invece l'atteggiamento delle Filippine, del Vietnam e di altri Paesi che svolgono da lungo tempo attività militari sulle isole occupate illegittimamente.
Riguardo alla cosiddetta libertà di navigazione nel Mar cinese meridionale, essa sembra essere un falso problema, sempre secondo l'interpretazione ufficiale cinese. Negli ultimi decenni non si è verificato un solo caso in cui si imponessero restrizioni per la libertà di navigazione e la libertà di sorvolo, e nessuna delle principali società assicurative ha classificato il Mar Cinese Meridionale come zona ad alto rischio. Pertanto, la cosiddetta libertà di navigazione sembra essere soltanto un pretesto usato da alcuni Paesi per strumentalizzare la questione. La libertà di navigazione non equivale alla navigazione sregolata.
In conclusione, è possibile constatare che negli anni la Cina ha mantenuto un grande contegno, dedicandosi a risolvere le dispute direttamente con i Paesi coinvolti, attraverso negoziati e trattative, sulla base della realtà storica e nel pieno rispetto del diritto internazionale. La Cina e i Paesi dell'ASEAN si stanno ad esempio impegnando ad applicare in modo complessivo ed effettivo la Dichiarazione sulla Condotta nel Mar Cinese Meridionale (approvata nel 2002 in ambito ASEAN), rafforzando concretamente la cooperazione marittima. Ad oggi la situazione generale del Mar Cinese Meridionale rimane stabile, benché non priva di momenti di "tensione" e "conflittualità" soprattutto al livello negoziale.
Il 27 ottobre del 2015 un cacciatorpediniere della marina statunitense (USS Lassen) è approdato entro le 12 miglia dalle isole Spratly Islands, malgrado i ripetuti avvertimenti delle autorità cinesi a non proseguire manovre che sarebbero state considerate una provocazione deliberata contro la Cina. Simili violazioni delle regole di navigazione internazionale si sono ripetute anche recentemente e ciò non aiuta certamente ad attenuare le tensioni esistenti.
Il governo cinese ribadisce, in accordo ai principi fondanti del diritto internazionale, che la Cina non accetta alcuna intermediazione vincolante di terze parti nella regolazione di dispute territoriali e di delimitazioni marittime. E anche a seguito della decisione dell'Aia, e nonostante le numerose strumentalizzazioni geopolitiche, la Cina continuerà ad agire in accordo ai principi di rispetto della sovranità e integrità territoriale e della gestione pacifica delle dispute nel Mar Cinese Meridionale e continuerà a lavorare direttamente con gli Stati coinvolti in queste dispute attraverso negoziati e consultazioni, col fine ultimo del mantenimento della pace e della stabilità nella regione.
14 LUGLIO 2016
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