MANGIO SOLO "FANGBIAN MIAN" False credenze sul cibo più amato dai cinesi
Di Emma Lupano
Milano, 22 set. - È gustosa, si vende ovunque, costa poco ed è un piatto caldo tra i più pratici possibili. Infatti si chiama "fangbian mian" (方便面), letteralmente "pasta comoda": sono gli spaghetti istantanei che, in gusti diversi e in diverse marche, in Cina si trovano in tutti i supermercati, all'ingresso di monumenti, nelle stazioni e anche nelle stanze di albergo. Per prepararli è sufficiente aprire la confezione di cartone, versarvi acqua bollente (che in Cina è disponibile in qualsiasi edificio aperto al pubblico, stazione ferroviaria e aeroporto) e pazientare un paio di minuti. Le salse liofilizzate, incluse nella confezione, possono essere aggiunte per dare un sapore più o meno speziato.
Pur essendo pensata soprattutto per chi viaggia, la "fangbian mian" viene consumata anche in casa. Non è né fresca né sana, ma per molti cinesi è uno snack irresistibile. Naturale allora che non siano passati inosservati i tanti articoli usciti verso la metà di settembre in cui esperti di vari Paesi dichiaravano che la pasta istantanea non è da considerarsi un cibo malsano. La stessa notizia è apparsa su diverse testate dopo che a Pechino, il 9 settembre, si è tenuta una conferenza stampa sui cibi istantanei promossa dall'Associazione cinese delle scienze e tecnologie alimentari. Il messaggio chiave dell'incontro, riportato dai media, è che "gli spaghetti istantanei non sono un cibo spazzatura".
A quasi dieci giorni di distanza, il 18 settembre, la testata online Pengpai è tornata sulla notizia con un commento firmato Shen Bin. Scopo dell'articolo discutere non tanto il merito della questione, quanto la credibilità in generale di ricerche fatte all'ombra di interessi commerciali ben precisi. "Ci sono molte false credenze che riguardano gli spaghetti istantanei, per esempio quella secondo cui, dopo essere stati ingeriti, essi rimarrebbero nello stomaco senza poter essere digeriti per 32 ore. D'altra parte, gli spaghetti istantanei appartengono a quegli alimenti ad alto contenuto di sodio e di grassi (spesso contengono olio di palma) e per questo sono comunemente considerati prodotti alimentari malsani".
Alla luce di queste premesse, come interpretare le dichiarazioni pubbliche di esperti intenzionati a "confutare false credenze"? Shen Bin dice di aver "notato alcuni punti" in questa questione e di volerli condividere con il pubblico. "Secondo quanto riportato dai giornali, a sponsorizzare questa conferenza stampa volta a confutare le dicerie sarebbe stata l'Associazione cinese delle scienze e tecnologie alimentari", un'organizzazione che "da molto tempo parla a nome dell'industria degli spaghetti istantanei, diffondendo rapporti sullo sviluppo di questo settore". Allo stesso modo, "molti altri esperti che hanno confutato le 'dicerie' su questi alimenti hanno avuto in passato non poche collaborazioni con aziende produttrici di spaghetti istantanei".
Qualcosa di simile, ricorda Shen, era avvenuto nel settembre del 2014, quando "fu diffusa in modo capillare una notizia secondo cui 'gli spaghetti istantanei sono un nutrimento più bilanciato dei baozi' (panini al vapore ripieni di carne o verdura, ndt). In seguito, però, tutti si resero conto che si trattava di un rapporto di parte presentato da un gruppo dell'Università di Tianjin a una conferenza sui prodotti alimentari istantanei".
Per il commentatore, la domanda a cui rispondere in questi giorni è allora non tanto se la "fangbian mian" sia sana, quanto "se 'ricerche' di questo tipo ricevano finanziamenti dalle aziende e dalle associazioni di produttori collegate", vale a dire se quanto viene diffuso "sia da definire ricerca scientifica oppure pubblicità".
Secono Shen, in Cina il confine viene spesso travalicato, ma il vero problema sta nel fatto che questa promiscuità non venga comunicata. "È normale di per sé che la ricerca scientifica fornisca supporto alle aziende, ma se questi studi diventano un veicolo di interessi, allora i ricercatori devono dichiarare apertamente di quali interessi si tratta". Visto che, afferma Shen, la contaminazione tra ricerca scientifica e affari non è evitabile, bisogna almeno garantire la trasparenza: "La legge sulla pubblicità regola con chiarezza la responsabilità legale dei rappresentanti pubblicitari e regola l'uso a scopi pubblicitari del nome e dell'immagine delle persone fisiche, delle persone giuridiche e delle organizzazioni. [...] Il business appartiene al business e la ricerca appartiene alla ricerca. Chi esprime opinioni su piattaforme pubbliche deve assumersi maggiori responsabilità sociali di chi si esprime solo negli ambienti della ricerca scientifica. Se ci sono legami di interesse, bisogna dichiararli di propria iniziativa, seguendole norme previste dalla legge sulla pubblicità".
22 SETTEMBRE 2016
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