Pechino, 29 apr. - Per quanto l'economia gestita dalle State-Owned Enterprises (SOEs) sia ancora saldamente al comando nelle percentuali del PIL cinese – e nelle forme di sussidi (diretti, indiretti e/o nascosti) che le SOEs ricevono per una piena realizzazione della politica del 'Go Global' delle aziende cinesi che si affacciano ai mercati internazionali -, anche l'economia privata cinese e lo sviluppo del mercato interno sono diventati oggetto di attenzione per gli investitori stranieri che desiderano approcciare il mercato cinese. Nella (limitata) esperienza dello studio Chiomenti, la maggioranza delle acquisizioni portate a termine con successo da operatori stranieri ha riguardato società cinesi interamente private, nel caso di acquisizione di partecipazioni, ed alcune SOEs, per l'acquisto di cespiti/ramo d'azienda.
Da qualche anno il sistema giuridico cinese si è dotato di numerosi regolamenti concernenti in maniera specifica le operazioni di acquisizione di società o cespiti cinesi da parte di operatori stranieri. I medesimi regolamenti dispongono anche delle procedure relative alle operazioni di fusione.
Il primo tema da affrontare è il valore delle operazioni – cespiti o società – che si va ad acquistare e i rischi ad esse connessi. Al momento, non esiste in Cina una normativa che riguarda il trasferimento di ramo d'azienda, con le relative responsabilità in capo al suo acquirente; dunque, un semplice acquisto di cespiti sembra essere un'operazione meno rischiosa dell'acquisto di una partecipazione in una società domestica.
Se nel corso della due diligence, infatti, si può riuscire nel difficile intento di capire a chi appartengono i mezzi di produzione, quali sono i clienti, i costi del prodotto, quanti sono gli impiegati, e se la società è dotata di tutte le licenze di legge, un raffronto tra i diversi bilanci che i soci stessi propongono agli investitori – nella esperienza diretta di chi scrive, per una stessa società si è arrivati a vederne quattro: uno cosiddetto 'fiscale' o 'esterno', uno 'interno', uno 'aggiustato' e uno 'vero' – non riesce a garantire una stima affidabile dei rischi legati alle attività pregresse. Quest'ultimi sono tipicamente connessi ad imposte evase, mancate contribuzioni previdenziali per i dipendenti e ottenimento poco trasparente di diritti d'uso sul terreno e di licenze di costruzione.
Ed ecco che l' 'assets deal' diventa meno rischioso rispetto all'equity deal. L'assets deal, tuttavia, lascia in vita – e spesso fuori controllo – la società originaria, la quale dovrebbe obbligarsi ad accordi di non concorrenza. Il tema del valore complica inoltre la procedura nel caso di acquisizione di partecipazioni societarie, in quanto è necessario produrre una stima certificata da una società di revisione all'uopo autorizzata. Tale stima diviene obbligatoria anche nel caso di acquisizione di cespiti, se questi sono di proprietà statale o collettiva.
Qualora l'acquisizione riguardi una partecipazione di minoranza, e inferiore al 25%, sussistono anche dubbi sul tipo di registrazioni che dovranno essere effettuate, e sull'applicabilità stessa di alcune norme che riguardano le Joint Ventures – che sono costituite con una minima partecipazione straniera pari al 25% del capitale. La procedura di acquisizione di partecipazioni è poi soggetta ad uno scrutinio a più livelli, che include sia le approvazioni del Ministero del Commercio, ma anche quelle più complesse che riguardano le autorità anti-trust (ed inclusa la cosiddetta 'national security review').
Non sono inoltre da dimenticare gli aspetti legati alla collocazione dei dipendenti e soprattutto alla ritenzione dei dirigenti della società, per i quali si possono prevedere stock-option o piani similari. E' importantissimo poi valutare l'impatto che l'ingresso di un socio straniero avrà sul costo del prodotto, in particolare per costi generali ed adempimenti contributivi e fiscali, e come sarà condotta l'integrazione della nuova partecipata nelle rete internazionale dell'investitore straniero. Anche in questo caso, la comunità di vedute, intenti e programmi è fondamentale per il successo dell'operazione.
di Sara Marchetta
Sara Marchetta si è laureata in Lingua e Cultura cinese presso l'Università Ca'foscari di Venezia nel 1994, e successivamente ha frequentato un corso avanzato di giurisprudenza presso la Facoltà di Legge dell'Università di Pechino (1994-98). Nel 2002 si è inoltre laureata in Legge presso l'Università di Parma ed è attualmente membro del Bar Association di Piacenza. Dal 1997 al 2008 ha lavorato per Birindelli e Associati come managing partner dello studio di Pechino. Oggi Sara Marchetta è socio dello Studio Legale Chiomenti a Pechino. Diritto aziendale è la sua area di competenza. Madrelingua italiana, parla fluentemente inglese e cinese mandarino.
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Paolo Borzatta cura per AgiChina24 la rubrica di economia
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