di Adolfo Tamburello*
Napoli, 21 set.- Fra il 1405 e il 1433, l’allestimento di una grande squadra navale al comando dell’ammiraglio musulmano Zheng He (1371-1434), fruttava ai Ming prestigiose spedizioni nell’oceano Indiano.
Lasciamo perdere le generose ipotesi di Gavin Menzies che alcune di quelle navi scoprissero praticamente l’intero orbe terracqueo. L’alto ufficiale a riposo della Marina britannica, autore del 1421: La Cina scopre l’America. La vera storia del primo viaggio intorno al mondo, si lasciò prendere la mano dalle prove a sua detta inconfutabili sulle straordinarie rotte di Zheng He e compagni.
Rimane il fatto che per l’epoca quelle navigazioni, pur limitate all’oceano Indiano con punte nel mar Rosso, furono pur sempre imprese straordinarie e dettero a una gran fetta del mondo afroasiatico la misura dell’effettiva grandezza della Cina. Persino i Mamelucchi d’Egitto vi avrebbero inviato proprie ambascerie, e un’eco di quei viaggi arrivò fino in Europa, dove il nostro fra’ Mauro raffigurò le navi cinesi nel suo Mappamondo del 1459. L’onda delle mirabolanti descrizioni stimolava forse veramente l’imprenditoria navale europea a mettere in cantiere nuovi grandi velieri per le navigazioni oceaniche fino ad armare caravelle e galeoni.
Non fu accidentale che le spedizioni ebbero inizio nel 1405. L’anno precedente Yongle (r. 1403-1424) aveva concluso l’importante accordo commerciale col Giappone, e la relativa sicurezza acquisita sui mari estremorientali gli consentiva di rivolgere maggiore attenzione all’oceano Indiano occidentale. Alla volta di Giava, Sumatra, Malacca e fino a Cochin nell’India sud-orientale aveva già inviato dal 1403 preliminari ispezioni al comando di eunuchi; ora si trattava di proseguire le esplorazioni e stabilire contatti più capillari, mentre il Vietnam stava per essere occupato per vie di terra e di mare e al Sud della penisola indocinese il Champa offriva la mediazione dei suoi scali.
Rimane molta incertezza sull’entità delle flotte, la cronologia delle spedizioni, il loro numero tradizionalmente fissato in sette. In genere si concorda che le navi variassero da 200 a 250, con le più grandi, fino a 63, armate di otto alberi e dodici vele, dagli scafi lunghi sui 150 metri e timoni di poppa di oltre 11 metri.
Lo spiegamento di forze segnava il primato mondiale della marineria cinese, della sua tecnologia e persino del suo coefficiente bellico. Gli equipaggi arrivavano a oltre 26 mila fra marinai e militari e un migliaio di personale “viaggiante” o “passeggero”, comprensivo di un centinaio di eunuchi in qualità di ambasciatori e vice-ambasciatori coi loro seguiti.
Imprese veramente eccezionali per i tempi. Basti pensare ai milioni di lavoratori coinvolti e coordinati a lunghe distanze, alle migliaia di alberi abbattuti e trasportati ai cantieri, al lavoro delle masse di soprintendenti, tecnici, carpentieri, armieri e non solo per “nude” giunche da guerra, ma navi da crociera con cabinati di lusso e dotate dei più “moderni” confort e forniture.
Uno sforzo cui la burocrazia sottomessavi per decenni morse il freno e cui dobbiamo il giudizio decisamente negativo sull’intera avventura, mordacemente critica che fossero tornati i tempi antichi quando i sovrani mandavano gli eunuchi in terre lontane alla scoperta di meraviglie e rarità. Su quest’onda anche il grande sinologo olandese Jan Julius Lodewik Duyvendak (1889-1954) scherzosamente ironizzava che persino il grande Zheng He fosse stato inviato “a fare acquisti per le dame dell’harem imperiale”.
Alcune navi, le più prestigiose, portavano coerentemente il nome di baochuan (Giunche del Tesoro) e col nome di Sanbao taijian, il “Grande eunuco dei tre gioielli” era immortalato Zheng He in Cina e nel Sud-Est Asiatico e specialmente in Indonesia, dove l’ammiraglio aveva agito a difesa e consolidamento delle locali comunità cinesi. La sua figura era addirittura divinizzata e fatta oggetto di culto in speciali santuari chiamati Sanmiao tuttora aperti.
Le spedizioni si protraevano oltre il regno di Yongle. Sospese sotto il successore Hongxi, erano riprese da Xuande (r. 1425-1435), che ordinava nel 1430 a Zheng He e Wang Jinghong di riarmare le flotte e rimetterle in mare.
Complessivamente, oltre il Sud Est Asiatico, in India le mete erano estese alla costa occidentale fino a Calicut; al Sud erano visitate Ceylon (odierno Shri Lanka) e le Maldive. Erano raggiunte Hormuz all’ingresso del Golfo Persico e, al di là del mare Arabico, Aden. Diramazioni della flotta arrivavano in Africa e visitavano Mogadiscio in Somalia e Malindi nel Kenia. Entrate nel mar Rosso arrivavano per lo meno fino a Gedda (Jidda), nell’odierna Arabia saudita. Deviazioni fino a La Mecca erano disposte per i tradizionali pellegrinaggi dei moltissimi musulmani imbarcati.
Non erano viaggi di conquista o di rapina. Gli autorevoli visitatori imponevano riconoscimenti formali e porgevano mirabili doni. Promettevano grande ospitalità alle visite ricambiate, e per fare alto il nome della Cina e le loro stesse missioni erigevano stele celebrative plurilingue in varie località. Solo nei casi in cui l’accoglienza era giudicata fredda o ostile ricorrevano alle maniere dure fino alle armi. Conflitti intervenivano in varie località a difesa di regnanti locali o comunità cinesi.
Un regnante di Ceylon sembra fosse riportato prigioniero in Cina.
Non siamo informati sul numero dei cinesi che disertavano o interrompevano i viaggi per trattenersi nei vari porti unendosi eventualmente a connazionali locali. Certo è che la presenza cinese oltremare aveva all’epoca un’impennata.
La Cina ne restava arricchita in cognizioni e nuovi beni esotici fatti di animali, corni, avori e quant’altro. Una letteratura celebrativa dei viaggi era immortalata da memorialisti come Fei Xin (1388-1436) e Ma Huan (1413-1451) che, giovanissimo, prese parte personalmente ad alcune spedizioni e funse da diarista di bordo. Di converso, il paese pagò caro lo sfoggio di potenza: nell’immediato ne restò economicamente impoverito, e le uscite troppo ingenti della Corona in capitali e impegno di uomini, appesantite dalle precedenti spedizioni volute da Yongle per terra e per mare, non furono coperte dai ritorni e gravarono pesantemente sul resto della nazione. Le frontiere rimasero sguarnite e nei decenni seguenti tornarono a risentire delle pressioni dei Mongoli; all’interno le condizioni di vita si deteriorarono col governo che non tardò a sollecitare la riscossione degli oneri fiscali in argento e oro, mentre si acuiva il brigantaggio e sui mari riprendeva a dilagare la pirateria.
Gli unici che forse non ci rimisero furono gli eunuchi, che caldeggiarono molto quei viaggi e la cui potenza, se possibile, si consolidò ulteriormente.
21 settembre 2015
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
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