Le crepe della Cina

Milano, 3 feb.- Mi sembra di intravedere alcune crepe vistose nel "sistema" Cina.
I disordini di Wukan: alla fine il capo dei "ribelli" è stato nominato Segretario locale del Partito. Ovviamente una cooptazione nel sistema di potere, ma anche un riconoscimento della validità delle proteste.
Ci sono molti altri disordini di questo tipo, con le stesse motivazioni, in giro per la Cina di questi tempi. Anche in questi casi, decideranno di riconoscere la validità delle proteste e coopteranno i leader "ribelli" nel sistema? Può darsi.
Un'altra crepa sono i disordini nelle "regioni tibetane" del Sichuan. Dodici monaci si sono immolati, in nome della causa tibetana, nel corso del 2011. Vi sono stati disordini importanti in passato, ma queste sollevazioni si sono riaccese, sembra in modo grave, in questi ultimi giorni.
A queste crepe oggi visibili, vanno aggiunte quelle mai definitivamente saldate in Tibet (più volte negli anni passati) e nello Xinjiang (più volte negli anni passati).
Le domande chiave a questo punto sono:
1. Sono vere crepe del sistema? O sono "normali" problemi di un grande stato che comprende molte etnie e che è in una sua fase di sviluppo critica (dalla povertà e dal comunismo all'affluenza e alle libertà politiche)?
2. Se sono vere crepe, quale è la probabilità che il governo cinese riesca a ripararle in modo stabile? Ha in mano lo "stucco" giusto? Ha la voglia di usarlo?
Cominciamo dalla prima domanda. I tipi di crepe sono sostanzialmente due: quelle relative all'insofferenza delle etnie/religioni diverse, prevalentemente i tibetani (in Tibet e Sichuan) e uiguri (in Xinjiang), e quelle relative all'insofferenza verso gli abusi e i privilegi (dei funzionari del partito comunista) da parte dei cittadini cinesi soprattutto nelle campagne dove la speculazione edilizia illegale opera massicciamente.
Il primo tipo di crepa è consustanziale allo stato cinese che, pur dichiarando la multietnicità, ha sempre visto al potere la maggioranza Han e ha sempre considerato le minoranze etniche e le religioni una nuisance da sopportare e minimizzare, ma certo non dei portatori di diritti da rispettare e valorizzare. Finora la strategia adottata è sempre stata quella della repressione e dello sviluppo locale (più o meno forzato) dell'etnia Han per renderla anche localmente maggioritaria. In ambedue i casi (Tibet e Xinjiang) c'è anche la convinzione – da parte degli Han – di essere portatori di civiltà e modernità.
Preso atto che le crepe di questo primo tipo sono presenti da tempo nel sistema, la domanda diventa quindi se la strategia finora adottata – almeno con apparente successo – sia ancora valida o se sia cambiato qualcosa nel contesto che possa farla ritenere superata. Nel caso del Tibet si nota una recrudescenza del fenomeno, il crescere di una volontà dei tibetani e soprattutto dei monaci tibetani di non accettare più questa situazione e la nascita anche di metodi (l'autoimmolazione con il fuoco) tipici di minoranze fortemente represse e che hanno raggiunto oramai la disponibilità al martirio pur di non accettare la vittoria dell' "oppressore".
Sta vincendo la voglia dei tibetani a non vedersi "assimilati" dai cinesi o oramai la maggioranza accetta "la civiltà cinese" e solo i rappresentanti della tradizione (che li minaccia) si ribellano. Purtroppo non abbiamo dati sulle percezioni del popolo tibetano e quindi è difficile capire quale sia la situazione reale. L'apparenza non è – a mio parere – positiva.
Le crepe del secondo tipo sono sicuramente in forte crescita quantitativa. Lo stesso governo cinese riporta che negli ultimi anni il numero di queste proteste è aumentato notevolmente con progressione quasi geometrica (si parla di quasi 100.000 incidenti all'anno). L'elemento di novità è che a Wukan il Partito Comunista ha rotto una strategia storica e ha accettato di rimuovere – sotto pressione – il segretario locale e addirittura di dare l'incarico al capo dei ribelli. Nel passato queste operazioni le faceva non sotto pressione, a freddo, con discrezione e mettendo un nuovo segretario meno corrotto o meno incapace, ma senza "cedere" ai ribelli.
E' questo un segnale di debolezza? O invece un segnale di maturità di un sistema che ha deciso di cominciare a cooptare nel potere i "rappresentanti" che il popolo vuole e che rappresentano istanze vere e oneste? Anche in questo caso è difficile dare una risposta certa anche perché è probabile (vi sono diversi segnali in proposito) che a livello centrale sia in corso un confronto aspro tra chi ritiene che si debba cominciare a "liberalizzare" e chi invece propende per la fermezza.
E' tuttavia certo che un passo di questo tipo ha alcune conseguenze importanti: la prima è che sarà difficile non fare la stessa cosa nei (molti) casi analoghi, la seconda è che incrina – sia pure debolmente – la pretesa del Governo Centrale di non trattare con il Dalai Lama che peraltro si limita a chiedere autonomia e non indipendenza.
Tutto questo ci porta alla seconda domanda: il Governo cinese riuscirà a riparare queste crepe in modo stabile?
Per quelle del primo tipo, credo che la risposta debba essere di tipo dinamico. E' un fatto di velocità. Se riesce a risolvere le singole crepe con lo "stucco" finora usato fintanto che l' "assimilazione" delle etnie locali sarà avvenuto (come la Cina ha sempre fatto nella sua storia) avrà vinto; in caso contrario il problema diverrà molto più grave.
Per quelle del secondo tipo, credo che tutto concorra a far pensare che dovrà sempre più ricorrere al nuovo "stucco" (cooptazione dei "ribelli") perché i protestanti rappresentano delle istanze destinate a crescere sempre di più e probabilmente loro e solo loro possono fornire gli elementi per permettere al partito di risolvere i problemi di controllo della corruzione e delle inefficienze che deve assolutamente risolvere.
Le due strategie (i due "stucchi" nella mia metafora) interagiranno? Difficile dirlo, ma può darsi di sì. E allora …
di Paolo Borzatta
Paolo Borzatta è Senior Partner di The European House-Ambrosetti.
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Paolo Borzatta cura per AgiChina24 la rubrica di economia
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