di Giovanna Tescione
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Roma, 27 nov. – Attore di cinema e teatro, interprete, traduttore, mediatore culturale e inviato speciale de “Le Iene” dal fare ionico e pungente. Yang Shi, cinese di nascita e italiano di adozione, ha un sogno nel cassetto: un teatro che integri la gente.
È da questo sogno che è nato lo spettacolo "Tong Men-g", in italiano “Porta di bronzo – stesso sogno” , uno spettacolo fortemente autobiografico recitato in due lingue, cinese e italiano, e che racconta la storia di Yang, nato a Jinan, nel nord della Cina, che a 10 anni si trasferisce in Italia, a Milano, con i genitori, una coppia di medici.
Un mediatore nato, lui che per mettere d’accordo italiani e cinesi, gli uni che lo chiamano Yang Shi e gli altri Shi Yang, si fa chiamare Shi Yang Shi. Yang Shi si racconta ad AgiChina.
Passato, presente e futuro incarnato da una sola persona, Yanshi, che porta avanti un monologo mettendo in scena uno spettacolo di grande successo. Come nasce il progetto?
Lo spettacolo in effetti è stato un grande successo. Siamo stati selezionati come spettacolo di inaugurazione, per il festival internazionale del teatro, della Fondazione Noma agganciato all’Expo, inauguriamo la loro stagione il 10 e l’11 dicembre a Milano, una grande occasione per la compagnia.
Il progetto è nato circa sette anni fa seguendo Cristina Pezzoli e Letizia Russo, l’una regista, l’altra drammaturga, che guidavano un gruppo all’inizio degli anni ’90, dal nome Compost, che voleva raccontare l’Italia di oggi andando a toccare varie verità dal vivo. Il progetto, che all’epoca aveva alcune idee ispiratrici, tra cui quello di elaborare i cosiddetti cadaveri culturali dell’Italia contemporanea, partendo da Tangentopoli, ci ha portato a Prato con delle fasi di studio reali. All’epoca io rappresentavo la comunità cinese, attraverso 50 cinesi che eravamo riusciti a coinvolgere, un evento storico, perché non eravamo mai riusciti a mettere insieme così tante persone. Abbiamo cominciato con degli incontri e poi nel 2012 abbiamo iniziato con dei giochi sociologici che coinvolgevano la comunità cinese. Da questi incontri sono emerse realtà forti e uno di questi incontri aveva il nome di “via i cinesi da Prato”, un titolo provocatorio dove simulavamo questa possibilità.
Abbiamo scelto Prato perché ci sembrava una città di provincia emblematica, dove il conflitto con le comunità è più evidente, ci sono 118 comunità straniere ed è un possibile laboratorio d’Europa, e questo era interessante. Da lì il forte desiderio di raccontare quello che avevamo visto in questo percorso. Lo spettacolo nasce dall’esigenza di raccontare il mondo italo-cinese e io ero una chiave di accesso importante, essendo cinese ed avendo una passione politica di base.
Cosa significa il titolo "Tong Men-g", in italiano “Porta di bronzo – stesso sogno”?
Il titolo, “porta di bronzo, stesso sogno”nasce dal voler raccontare le ragioni dei nemici, spesso non si vuole ascoltare l’altro. Una totale conflittualità che deve essere risolta aprendo la porta di bronzo.
Il protagonista ha scelto Prato come sua New York dove attraversa una forte crisi di identità. Per superarla Yang fa un viaggio alla ricerca delle sue origini. Ti appartiene? Come sei riuscito a superarla e a trovare le chiavi per aprire la tua porta di bronzo?
E’ stato grazie alla regista, Cristina che ho iniziato questo percorso per ritrovare la mia identità. Lei mi fece notare che mi comportavo in modo diverso a seconda che stessi con i cinesi o con gli italiani in modo anche a volte contraddittorio. Attraverso lo spettacolo ho preso consapevolezza della mia identità. L’identità è in continua evoluzione e precaria quindi non si può dire di averla totalmente ritrovata. La prima metà dello spettacolo nasce dall’esigenza di capire da dove vengo. Tre domande hanno sempre guidato le nostre ricerche anche quando incontravano i cinesi che partecipavano ai nostri incontri: da dove vieni, chi sei e dove vai. Raccontare la storia dei miei antenati era utile, soprattutto per le seconde generazioni, per conoscere le proprie radici culturali. Lo spettacolo, invece, ha lo scopo di raccontare la storia passata della Cina, perché molti non la conoscono.
Alla fine dello spettacolo una scena ricorda l’incendio della fabbrica a Prato del 1° dicembre 2013 che provocò la morte di 7 operai che ci dormivano dentro, cos’ha significato quell’evento per la comunità cinese?
L’evento nello spettacolo è raccontato in una chiave tragi-comica, dove io sono un arlecchino traduttore e traditore di due padroni, facendo litigare le tre parti di me, la parte italiana e la parte cinese che litigano e io che traduco. Un conflitto inconciliabile che non è solo tra comunità cinese e italiana. L’evento in sé è stato uno spartiacque che ha sollevato dei dubbi sull’attuale sistema di produzione economica e dei valore che ha fatto sì che i cinesi si chiedessero “quanto ancora le cose possono andare avanti così”.
Dopo la tragedia è nato un tavolo consultivo, di cui io e Cristina facciamo parte, tra la regione e la realtà produttiva pratese e cinese in particolare. Come Compost abbiamo costruito diverse relazioni di fiducia con la comunità cinese. Dopo quell'evento è nato il cosiddetto “Patto di fiducia”, uno strumento legislativo che permette alle aziende che vogliono regolarizzarsi di firmare il patto con la regione e di ottenere più tempo per far sì che nell’azienda non ci siano più dormitori, cucine e impianti elettrici vecchi e pericolosi. Le aziende che firmano il Patto lo fanno anche grazie ad un progetto di comunicazione che vede diversi enti partecipare e di cui anche noi facciamo parte.
Ad oggi c’è più scontro o più incontro tra la cultura italiana e quella cinese?
La comunità cinese e quella italiana hanno punti in comune, ma ancora ci sono scontri e incomprensioni. Un tema, molto attuale anche a Prato, è quello della sicurezza, che non è quella nei capannoni, ma quella personale. Non si può immaginare di attrarre risorse turistiche e valorizzare questa città come altre, mirando al famoso milione di turisti cinese, senza risolvere il problema della sicurezza.
Le responsabilità sono anche della comunità cinese, che sono stati un po’ chiusi inizialmente, ma principalmente delle istituzioni che non a Prato non è stata in grado di trovare il modo di creare un modo di comunicare con le comunità. Spesso si organizzano incontri dove si parla di immigrazione ma che non vede il coinvolgimento degli stranieri, si parla di loro, ma non con loro. Avere l’altro come oggetto e non come soggetto delle relazioni. Responsabilità sono da attribuire anche all’opinione pubblica, spesso dettata da ragioni politiche, e che deve confrontarsi di più. Esistono ancora tante porte di bronzo da aprire. Noi col tempo abbiamo capito che per far partecipare la comunità cinese bastava invitarla, abbiamo scoperto che non esiste una comunità sola ma diverse. E qualcuno in passato ha anche ammesso che la comunità cinese p stata una sostegno per l’intera economia cinese altrimenti sarebbe crollata a partire dalla crisi del 2008, ma queste realtà non sono raccontate abbastanza.
Molti cinesi rimangono più legati alle loro origini e scelgono di essere cinesi in Italia, altri, in genere l’ultima generazione, rinnegano le origini diventando italiani a tutti gli effetti. Tu hai scelto la strada più difficile in un continuo equilibrio tra le due identità. Come coltivi le tue radici cinesi? Hai delle passioni tipicamente cinesi?
Il fatto che ho scelto Prato come città è il miglior campo dove coltivo le mie identità. Potevo scegliere di non fare arte sociale e fare teatro o televisione, ma ho scelto questa città perché è interessante. C’è ancora tanto da fare e in realtà non sono poi così in equilibrio, perché mi sento più italiano dentro.
Sei venuto in Italia a 11 anni, quali sono i tuoi ricordi della Cina? Torni spesso in Cina, nello Shandong, la tua terra d’origine?
Non ci vado spesso ma ho molti ricordi e ogni volta è molto nostalgico. In uno dei miei ultimi viaggio sono tornato nella mia vecchia scuola elementare e nell’ospedale dove lavorava mia mamma e mio nonno, che a parte un albero secolare non ho riconosciuto per i grattacieli. Tutto era cambiato. Ho avuto un po’ di amarezza e di certo non riconosco più casa mia quando vado in Cina.
Lo spettacolo è andato in scena prima a Prato, città che porti nel cuore, poi a Macerata e Roma, altre tappe in programma?
Abbiamo altre tre tappe in Toscana, di cui una il 15 di febbraio al teatro Fabricone a Prato. Ci piacerebbe andare nelle città con una forte concentrazione di immigrati cinesi come Padova, Venezia, Napoli e magari anche in Cina, stiamo studiando questa possibilità.
27 novembre 2014
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