Milano, 07 ott. - La Cina salverà l'Europa? Se lo stanno chiedendo in questi giorni i commentatori cinesi che, sulla scia delle tante notizie sulla crisi europea che occupano le pagine dei giornali della Repubblica popolare, invitano a valutare attentamente pro e contro, opportunità e rischi di un tuffo a capofitto nella voragine europea.
Il 28 settembre, sullo Huanqiu Shibao, Zhao Kejin scrive: «Si è dibattuto molto di recente se la Cina debba continuare ad acquistare fette del debito dei governi europei. Molte persone pensano che la Cina dovrebbe prendersi le sue responsabilità e, attraverso il supporto finanziario, espandere la propria presenza in Europa». Ma per la Cina è davvero giunto il momento, si chiede Zhao, di aumentare gli investimenti in Europa?
«La crisi del debito in Europa ― ragiona il commentatore ― è la continuazione della crisi globale del 2008, che era una crisi creditizia. La storia ha dimostrato che è impossibile ricostruire un sano sistema di credito in due o tre anni. Stando alle esperienze del passato, l'Europa supererà la crisi grazie alle capacità e alla competitività dei suoi abitanti, ma che prezzo pagherà per questa crisi? E quando la supererà?».
Per Zhao, «ad oggi non sembra possibile che il Vecchio continente riemerga dalla crisi in un breve periodo e la crisi di debito potrebbe trasformarsi in una grave crisi finanziaria in alcuni paesi dell'Ue». E anche se «a livello emotivo la Cina avrebbe voglia di dare una mano ai paesi europei in difficoltà», a livello pratico, prima di allargare la presenza cinese nel continente, «dobbiamo valutare fattori critici come il ritorno degli investimenti, le percentuali di rischio e in generale il nostro interesse nazionale». Su questa base, per Zhao «la Cina può certamente acquistare alcuni bond dei governi europei, ma deve valutare bene i benefici offerti dall'Europa. Al momento per la Cina le opportunità di investimento sono più importanti del ritorno di bond immuni all'inflazione».
La parola d'ordine, per Zhao, deve allora essere do ut des: «Se l'Ue può ridurre le sue barriere commerciali, migliorare il settore degli investimenti, rilassare i controlli economici e attuare altre misure per attrarre gli investimenti privati e pubblici cinesi, allora la Cina sarà certamente più motivata a comprare bond e ad approfondire la cooperazione con le economie europee».
Sceglie invece di dare voce alle idee di Pei Minxin, autorevole studioso americano di origine cinese, professore di Scienza politica al Claremont McKenna College, la rivista finanziaria Caijing. Pechino, scrive Pei il 30 settembre, dovrebbe impegnarsi per sostenere il Vecchio continente, ma i Paesi dell'Ue «dovrebbero mettere da parte la diffidenza e i pregiudizi che da lungo tempo nutrono nei confronti della Cina».
Tre le azioni che Pechino potrebbe mettere in campo: una a livello governativo, una a livello bancario, una a livello di singole imprese. «In primo luogo, la Cina potrebbe ridurre le barriere commerciali elevate nei confronti delle merci Ue, sostenendo in questo modo l'aumento delle esportazioni del Vecchio continente». Pechino, spiega Pei, «gode di un surplus commerciale enorme nei confronti dell'Ue. Questa azione andava compiuta già molto tempo fa. Basterebbe che le esportazioni europee verso la Cina crescessero del 10 per cento (pari a un aumento netto di 15 miliardi di dollari all'anno) per creare almeno 300 mila posti di lavoro, incrementando le prospettive di crescita delle economie europee».
A livello bancario, invece, «la Cina potrebbe partecipare alla ristrutturazione del capitale della Banca europea», vista la credibilità raggiunta dagli istituti finanziari della Repubblica popolare. Ma spetta anche alle singole imprese prendere l'iniziativa: «La crisi europea rappresenta una buona opportunità per aumentare gli investimenti diretti cinesi nel Vecchio continente. Nel 2010 questi sono stati pari a 1,3 miliardi di dollari, ma con i governi e le imprese europei che oggi accolgono sempre più a braccia aperte gli investitori stranieri, le aziende cinesi possono trovare ottime opportunità di allargare il proprio mercato e di migliorare le proprie tecnologie. Tuttavia, gli europei sono ancora diffidenti nei confronti dei capitali cinesi, perché temono che dietro queste operazioni si celino segrete ambizioni politiche. Questi pregiudizi frenano gli investimenti da oriente».
Queste azioni, se saranno realizzate, «aumenteranno le prospettive di crescita in Europa nel medio termine — conclude Pei ―. Difficilmente potranno curare immediatamente l'attuale nervosismo dei mercati finanziari, ma saranno sempre più efficaci che restare a guardare, mani in mano, l'economia europea che scivola verso l'abisso».
Il più pessimista sul ruolo della Cina nel salvataggio dell'Europa è Zheng Xiwen. Sulle pagine del Guangming Ribao, il commentatore nota come «anche i mercati sembrano considerare la Cina la salvatrice dell'Europa, visto che le voci sul dialogo tra il governo italiano e la China Investment Corporation hanno provocato un aumento del tasso di cambio dell'euro». Per Zheng però non ci si deve fare illusioni: la Cina non può salvare l'Europa. Perché è più povera del Vecchio continente, e perché l'uscita dalla crisi passa necessariamente dalla politica.
«I paesi in via di sviluppo non possono risolvere i problemi della ricca Europa. Il reddito pro capite cinese è di 4400 dollari contro i 30 mila dollari pro capite degli europei, e la Cina ha ancora 150 milioni di poveri a cui badare». Allo stesso modo, mentre il Vecchio continente ha un sistema di welfare completo per i suoi cittadini, in Cina la sicurezza sociale è ancora in fasce.
«La Cina, da paese responsabile, ha già aiutato l'Europa nei limiti delle proprie possibilità», acquistando fette di debito e investendo nei paesi dell'area, contribuendo a risolvere il problema della disoccupazione e a promuovere la crescita economica. «Nel 2010 ― sottolinea Zheng ― Pechino ha aumentato i propri investimenti in Europa per 6 miliardi di dollari, ha creato 1600 aziende nei paesi membri e creato 37700 posti di lavoro per gli europei. Nella prima metà del 2011, inoltre, le importazioni totali dall'Europa sono cresciute del 23 per cento rispetto all'anno precedente».
Nonostante l'impegno della Cina, però, per Zheng, «solo l'Europa può salvare se stessa. Quello che manca oggi all'Eurozona non sono i soldi o un salvatore, ma la determinazione e il coraggio politico. I politici europei, troppo influenzati dall'opinione pubblica o concentrati sulle elezioni, sono troppo occupati a combattere per il potere e per i soldi e hanno adottato soltanto misure temporanee, invece di proporre piani pratici per risolvere le contraddizioni strutturali dell'Europa aiutando lo sviluppo a lungo termine del continente».
di Emma Lupano
Emma Lupano, giornalista professionista e dottore di ricerca sui media cinesi, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
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