LA CINA NEL PRIMO SETTECENTO
Di Adolfo Tamburello
Napoli, 28 set. - Il regno di Kangxi si protraeva fino al 1722, morendo il sovrano quell'anno sessantanovenne. I decenni successivi alla sua ascesa al trono nel 1662 avevano visto molte terre per l'innanzi requisite reincamerate dallo Stato e in ridistribuzione ai coloni secondo una politica di incoraggiamento del piccolo fondo in regime di possesso permanente o affittuario; il programma si completava dai secondi anni Ottanta dopo la caduta dell'impero Zhou di Wu Sangui, benché i suoli rimanessero insufficienti a coprire il fabbisogno delle masse contadine che spingevano la colonizzazione verso il Tibet e la Mongolia Interna. La Manciuria rimaneva per allora chiusa al contadinato cinese. Intanto erano state ripopolate le fasce marittime dallo Shandong al Guandong rimaste evacuate fino alla conquista di Taiwan (1683) e i cui porti i Qing avevano mantenuto sotto un blocco marittimo per spezzare le complicità con l'ultima resistenza Ming. Erano stati quindi ripresi i regimi di pesca e le navigazioni.
Le comunità cinesi all'estero, inserite in una rete di traffici internazionali, avevano conosciuto un progressivo incremento dal secolo precedente, mentre i divieti contro gli espatri clandestini che le autorità Qing rinnovavano non fermavano un flusso di gruppi dapprima verso il Giappone e il Sud Est Asiatico, già ora verso l'Africa e le Americhe, in queste ultime anche dalle Filippine spagnole. L'emigrazione smaltiva una parte del sovrappopolamento specie del meridione.
Fujian, Chejiang, Guangdong erano le province costiere che più incrementavano i traffici e sollecitavano un aumento delle produzioni artigianali locali e delle colture del tè e altre piante industriali. I porti principali erano quelli di Xiamen e Canton, collegati con le coste del Vietnam, del Cambogia, con Luzon nelle Filippine, Songhla nel Siam, Johore nella penisola malese. Annualmente approdavano nei porti cinesi migliaia di giunche da mille tonnellate con una media di 180 uomini d'equipaggio, fra cui numerosi marinai cinesi che erano pure imbarcati su navi europee.
Buona parte del mondo rurale e urbano godeva, almeno fino alla seconda metà del secolo XVIII, di un relativo benessere o di condizioni di vita certo migliorate rispetto al passato. L'agricoltura era valorizzata attraverso scuole rurali, interventi di natura tecnica, sgravami fiscali ed era per i tempi più che coordinata con gli artigianati domestici, gli opifici e i laboratori che conoscevano forti incentivi e convogliavano manodopera verso un indotto per la raccolta e la lavorazione della Rhus vernicifera per la lacca.
Kangxi era dotato di spiccato spirito imprenditoriale e potenziava le grandi manifatture imperiali allestendone di nuove per ingrossare le finanze aumentando le esportazioni dei generi d'artigianato e in primo luogo della ceramica richiesta ormai da tutto il mondo. Le fornaci di Jingdezhen erano riattivate nel 1683 da L'emigrazione smaltiva una parte del sovrappopolamento specie del meridione. Zang Yinxuan, un funzionario che legava il proprio nome alla produzione di porcellane dette dal suo nome zangyao. Jingdezhen cresceva come una delle più colossali imprese mondiali. Il gesuita francese d'Entrecolles, che visitava le fabbriche, scriveva: "Il fumo che esce dai tremila forni in continua attività oscura il cielo [...]. Calcolo che non meno di due milioni di operai lavorino giorno e notte a produrre porcellane".
Avvedutamente Kangxi ordinava che il nome del proprio regno non figurasse come marchio di fabbrica dei nuovi pezzi sia per non legare in modo effimero la produzione ai suoi anni e sia per mantenere la continuità con la produzione Ming che era stata ed era ancora commercialmente assai stimata all'interno e all'estero. Il provvedimento aveva come effetto l'immissione sul mercato di moltissime repliche di dinasti Ming come Yongle (1403-1425) e Xuande (1426-1436) e con gli stessi marchi di quei regni. Per la prima volta era applicata su larga scala la consuetudine delle "copie" in uso da secoli nella pittura e nella calligrafia; lo stesso era fatto per le lacche. Werner Speiser scriveva: "... probabilmente un giorno risulterà che i più bei piatti e le più belle scatole Yung-lo e Hsüan-tê provengono dalle fabbriche di K'ang-hsi". Se l'etica artistica e commerciale usciva lesa dalle contraffazioni, l'iniziativa valeva a recuperare e perfezionare tecniche suscettibili di andare perdute. In un secondo tempo circolavano pezzi coi marchi di Kangxi, anche se il veto di usarne il nome non lo revocò mai formalmente, ma appariva chiaro che le porcellane del periodo erano in assoluto le migliori che fossero state prodotte e identificarle a quel punto col marchio significava implicitamente valorizzarle sul piano commerciale. Donde le successive repliche che invadevano il mercato di epoche successive. I motivi ornamentali mutuavano ispirazioni dalle lacche e dalle xilografie a colori. Le composizioni, spesso miniaturistiche e svolte sull'intera superficie dei pezzi, erano rese nelle fini policromie dei "cinque colori", mentre sui monocromi si imponevano i "verdi mela", i "chiari di luna", i "fiori di pesco", i "neri a specchio" e i "sangue di bue", nonché i lang dagli effetti di lacca.
Smalti su ceramiche e metalli derivavano il loro nome di falang (o falan, folan), dal termine "franco" nel senso di "europeo". Nel Settecento uno smalto rosa utilizzava già il cloruro d'oro secondo un procedimento inventato verso il 1650 dall'olandese Andreas Cassius e che nelle prime applicazioni era considerato alla stregua di un "colore esotico", donde la sua denominazione di yangcai. Yangcai e yangci erano quindi chiamati, nel senso di "prodotti d'oltremare", "stranieri", gli smalti su porcellane e su metalli di Canton e Pechino eseguiti su influenza europea.
A sua volta, un riflesso della pittura e della prospettiva europee, conosciute attraverso le commissioni di servizi su disegni e attraverso l'opera di artisti missionari, come Giuseppe Castiglione (Lan Shiming, 1688-1766), affiorava nella decorazione delle porcellane. Era il caso della serie dei famosi "piatti di compleanno" per un servizio ordinato in occasione del sessantesimo genetliaco di Kangxi nel 1713. Un tipo di porcellana bianca, molto sottile e translucida, chiamata ku-yue, era decorata con disegni a broccato di gusto francese e paesaggi di stile più genericamente europeo, per cui si è pensato che si trattasse di una produzione curata sotto la direzione di qualche gesuita in servizio a corte. Soggetti di ispirazione cattolica ed evangelica decoravano esemplari di porcellane ormai dette delle "Compagnie delle Indie".
Industrie urbane e rurali (filande, fonderie, cartiere, vetrerie) sopperivano a una domanda in frenetico aumento, mentre la produzione generale cresceva e specialmente il mercato del tè e della seta, con quello delle ceramiche, avori, lacche, tappeti, giade, sosteneva i traffici interni e d'esportazione su crescenti forniture di serie. Importazioni di materie prime e attività estrattive intraprese fin nelle regioni montuose indocinesi incrementavano oreficerie e metallotecniche. Un'ultima lega destinata a un grande futuro mondiale era il baitong (o pakfung), il cosiddetto "rame bianco", l'alpacca, com'era chiamata in Europa su calco del nome cinese.
Sviluppi senza precedenti aveva la stampa, sia attraverso la xilografia sia coi caratteri mobili. L'italiano Matteo Ripa introduceva la tecnica dell'incisione su rame all'acquaforte. L'editoria d'arte metteva a punto la stampa policroma per album, libri illustrati, almanacchi, locandine, manifesti, fogli pubblicitari, periodici. Il mercato librario faceva fronte alla crescente domanda interna, dei ceti cittadini e rurali (questi ultimi attraverso gli ambulanti e il prestito), delle biblioteche pubbliche e private, delle istituzioni religiose, soddisfacendone anche l'aumentata richiesta dall'estero, in specie dalla Corea, dal Giappone, dal Vietnam, che rimanevano regolari acquirenti. Le imprese editoriali facevano capo a case editrici private o a poligrafici che godevano del patrocinio imperiale o di quello principesco e di accademie, di ricchi possidenti e mercanti
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
28 SETTEMBRE 2016
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