E' stato presentato presso il Rettorato dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” il volume L’Orientalistica a Napoli. Atti dei convegni internazionali Il Portogallo in Cina e Giappone nei secoli XVI-XVII (Napoli, 12-13 maggio 2014) e Riflessi europei della presenza portoghese in India e nell’Asia orientale (Napoli, 4 maggio 2015), a cura di Rosaria de Marco (Napoli, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, 2017).
Il volume si apre con l’“Introduzione” di Maria Luisa Cusati, già docente presso l’Orientale e console onorario del Portogallo a Napoli, attuatrice di entrambi i Convegni. Il primo si è svolto a vent’anni dal primo corso di lingua portoghese da lei attivato presso il Suor Orsola Benincasa in coincidenza col grande Congresso Internazionale “Il Portogallo e i mari. Un incontro tra culture”. Era il 1994, e lei aveva organizzato l’evento con l’adesione di tutte le Università campane e sotto il patrocinio dell’Alta Commissione portoghese per le scoperte nell’anno di Lisbona eletta a capitale europea della Cultura. Gli Atti del Congresso erano pubblicati in più volumi nel 1998 dall’Editore Liguori.
Successive iniziative di successo prese da Cusati all’“Orientale”, ove era allora preposta agli studi lusitani dell’Ateneo, miravano sempre più a un ampliamento e approfondimento della ricerca sulla presenza portoghese in Oriente e lo sviluppo di una lusitanistica strettamente legata all’orientalismo. Trapiantato un nucleo di questi studi anche al Suor Orsola Benincasa, l’Ateneo dava il via ai due Convegni del 2014 e 2015. Il titolo del volume a raccolta degli Atti, L’orientalistica a Napoli, va dunque letto in riferimento a questo peculiare aspetto dell’orientalismo impegnato nella ricerca multidisciplinare - in questo caso a cavallo della lusitanistica.
L'avanguardia dei conquistadores
Alcune premesse della presenza del Portogallo nell’Asia orientale discussa nei due Convegni affondavano storicamente nella situazione della Santa Sede all’uscita dal Concilio di Trento (1545-1563) e nel suo disegno ancora confuso di sollevare la Chiesa “romana” dalla subordinazione ai sovrani del Portogallo per le “Indie Orientali”e di quelli della Spagna per il “Nuovo Mondo”. Entrambi i patronati, portoghese e ispanico, amministravano le loro missioni nella logica delle proprie colonie e in molte aree su cui le due monarchie avevano messo gli occhi per ulteriori conquiste. I missionari spesso, non sempre, entravano nelle nuove terre come avanguardie dei conquistadores. Il gesuita spagnolo Francesco Saverio (1506-1552), inviato in Asia come nunzio apostolico e legato pontificio, “cane sciolto” dal patronato portoghese, all’atto in cui aveva mostrato le sue credenziali ai portoghesi di Malacca, fu ostacolato perché non entrasse in Cina prima di loro.
La Cina era all’epoca sotto l’impero Ming (1368-1644) ed era naturalmente uno Stato sovrano, ma a sua insaputa faceva parte, nella visione europea delle “Indie orientali”, dei territori che le bolle papali avevano assegnato ai re del Portogallo, come a loro volta ai re di Castiglia avevano assegnato le “Indie occidentali” con le Americhe di nuova scoperta. Non si sapeva bene dove finissero le prime e le seconde. Per la Santa Sede le Indie orientali si prolungavano dall’Etiopia alle Molucche e al Giappone dopo che questi arcipelaghi erano stati avvicinati dai portoghesi e almeno fino a quando il Portogallo manteneva incontrastati privilegi papali sull’oceano Indiano. Ciò cessava fra il 1565-71 quando la Nuova Spagna dalle Americhe, attraversato il Pacifico, occupava e annetteva le Filippine e procedendo si trovava dinanzi alle Molucche che il citato Saverio aveva aperto all’evangelizzazione gesuitica. Sorgeva a quel punto un lungo contenzioso fra impero ispanico e quello portoghese in cui sarebbe entrato anche il Giappone, se non fosse che l’arcipelago era stato già descritto come un “impero” in armi che intimoriva; Saverio l’aveva raggiunto a cinque anni della sua “scoperta” compiuta fortuitamente nel 1543 da alcuni portoghesi fuori rotta e ne iniziava l’evangelizzazione parlandone in termini entusiastici.
Il papato che nel frattempo era aggiornato sulle ultime risorse umane dell’Asia e riacceso nella memoria delle sue antiche civiltà, intendeva ora emanciparsi decisamente da quelle infelici bolle di delega e studiava di impostare una politica missionaria progressivamente esente dal patronato portoghese per l’Asia servendosi dell’ordine nuovo dei gesuiti. Costoro non costituivano un ordine spagnolo o portoghese dopo la decisione presa da Ignazio di Loyola e dai suoi confratelli fondatori della Compagnia o Società di Gesù di stabilirne la sede a Roma e farne un ordine “romano” ambiziosamente internazionale. A questo rispondeva anche il Collegio Romano, denominato non a caso Collegium universale o Omnium Nationum Seminarium.
Da Roma per il mondo
Il Collegio, con sede nell’Urbe, si proponeva come il grande centro di formazione dei gesuiti a una cultura europea su basi latine. Doveva portarsi tale cultura nelle terre di missione col corollario dell’arte rinascimentale (italiana) come suggestivo messaggio per la nuova arte sacra. Lasciamo che poi gran parte dei religiosi in partenza per l’Asia fossero tenuti a compiere la loro preparazione nei collegi di Coimbra o Lisbona per apprendere o rifinire il loro portoghese.
Il Portogallo faceva parte certo dell’Europa latina, e nessuna obiezione era mossa al cattolicesimo che patrocinava con la sua liturgia romana; le obiezioni della Santa Sede andavano ai modi e ai risultati con cui il suo patronato serviva il potere politico per fare del cattolicesimo una chiesa coloniale; ora la Santa Sede si pronunciava contraria a che i vecchi popoli già cristiani e i nuovi che abbracciavano il cattolicesimo fossero “nazionalizzati” forzosamente portoghesi e tenuti a parlare la loro lingua e seguire i loro usi e costumi abbandonando i propri.
D’altra parte, la tempestività con cui il patronato portoghese legava gli stessi gesuiti alla propria causa edificando per loro case e collegi nella penisola iberica e nei paesi di diretto dominio o anche di sola autorizzata frequentazione, aveva l’effetto di legare la stessa Compagnia di Gesù alla corona portoghese, per cui rimanevano molti i gesuiti, non soltanto portoghesi, a restare fedeli al patronato per debiti di riconoscenza o interessi personali o di gruppo, e molti continuavano persino a condividere coi vari avventurieri di varia nazionalità piani di conquista e sottomissione di tanti popoli dell’Africa, delle Americhe e sia pure solo in parte dell’Asia. Anche per quest’ultima il papato non aveva ancora le idee chiare, tanto che alla data protratta del 1575 Gregorio XIII concedeva a Macao la giurisdizione di diocesi suffraganea di Goa su “tutti i territori della Cina e del Giappone soggetti [sic] alla conquista del Portogallo”. Solo nei decenni seguenti era preso atto che il Portogallo era ormai chiuso ad altre conquiste in Asia; anzi dallo stesso 1575 iniziava il ripiegamento portoghese con la perdita di Ternate, la roccaforte delle “Isole delle Spezie” (nelle Molucche), la quale cadeva nelle mani di un sultano dell’India orientale.
Nel 1580 l’estinzione della dinastia portoghese di Aviz si risolveva con la cessione della corona alla casa reale di Castiglia sotto lo scettro di Filippo II (r. 1556-1598). La Spagna, col Portogallo, aveva fino ad allora più che onorato il papato “cristianizzando” il Nuovo Mondo; con la scoperta e l’occupazione delle Filippine e la costituzione del suo governatorato (del vicereame della Nuova Spagna) aveva stabilito la diocesi di Manila come sede d’apostolato e di missione per l’Asia aperta a più ordini religiosi, compresa la Compagnia di Gesù. Dal 1582, nonostante fosse stabilito che gli imperi coloniali delle due nazioni rimanessero distinti, si formava una coesione (e al contempo una rivalità) ispano-portoghese che faceva entrare religiosi spagnoli sotto patronato o vicariato regio ispanico nelle terre di missione fino ad allora riservate al patronato portoghese.
Gli impegni frattanto estesi su uno scacchiere fattosi mondiale impedivano a Filippo II di prendere in considerazione i velleitari piani di conquista anche della Cina o del Giappone che ora gli venivano sottoposti con altri, e dal 1588, la disfatta dell’“Invincibile Armata” segnava l’inevitabile declino sia di Filippo II sia della Spagna e del Portogallo.
Cristianesimo e missionariato
Le relazioni di pertinenza sinologica pubblicate negli Atti di precipuo interesse per il lettore di Agi si aprono con quella di Tiziana Iannello (“La scoperta portoghese delle rotte marittime per la Cina, 1498-1520”) a partire da “i cinesi nell’oceano Indiano prima dei portoghesi” ai “portoghesi al largo di Canton” dal 1513. Elisabetta Colla illustra il testo cinese della prima “Breve monografia di Macao” (l’Aomen Jilűe) su “Macao, tra Cina e Portogallo” dei due autori cinesi Yin Guangren (1691-1758) e Zhang Rulin (1709-1769). Ubaldo Iaccarino riferisce su “Il rapporto conflittuale tra Macao e Manila durante il Periodo delle Corone Unite: i casi di Cina e Giappone (secoli XVI-XVII)”.
Sulle missioni cattoliche in Cina, i contributi di Vincenza Cinzia Capristo (“Il padroado portoghese e i suoi rapporti con gli Ordini mendicanti in Cina nei secoli XVI e XVII”) e quello di Michele Fatica intitolato “Il Portogallo, la Santa Sede e la legazione di Carlo Tommaso Maillard de Tournon in India e in Cina (1704-1710)”.
La Cina nella risonanza portoghese include di Guia M. Boni “L’eutopia cinese di Fernão Mendes Pinto”, un saggio intrigante con la sua proposta di lettura delle Peregrinazioni di Pinto in rimando all’Utopia di Thomas More e di una Cina “paese utopico” che diverrà non a caso il secolo dopo di ideale “modello” per l’Europa; di Rosaria de Marco “A gruta de Camões a Macao: origine e persistenza di un mito”, dedicato alla Macao terra d’esilio portoghese che avrebbe pure ospitato fra il 1555 e il 1557 l’immortale autore de I Lusiadi nella storica grotta di Patane ove il poeta avrebbe compiuto la sua epopea.
La seconda parte del volume, comprensivo degli Atti del 2015, allargato alla presenza di Napoli in Asia in connessione con la sua dipendenza dalla Spagna, accoglie, di ampio respiro, il contributo di Iannello “Lisbona, Napoli e l’Estremo Oriente tra viaggi, imprese marittime, missioni e iniziative culturali”. Al missionariato campano in Cina Mariagrazia Russo dedica il saggio “Dalla Campania alla Cina sotto il padroado portoghese: missionari gesuiti nei secoli XVI e XVII” e Capristo “Figure di missionari campani in Cina nei loro rapporti con lo jus patronatus”.
Cristianesimo e missionariato informano pure nelle due parti del volume i contributi dedicati all’India: quello di Rosa Conte “I Cristiani di san Tommaso e i Portoghesi”, dello scrivente “I primi studi europei sulla flora indiana. Il tramite italiano fra Portogallo e Olanda” e, marginalmente al Tibet e alla Cina, “I Portoghesi che cercavano il Catai e scoprirono il Tibet lasciandoci l’eredità del Regno di Shambala”; infine quelli relativi all’area di studi giapponesi: di Gala Maria Follaco, “Un solitudine lunga quattro secoli. Il viaggio di Endo Shusaku in Portogallo”; di Salvatore Diglio, “Lo scambio interculturale Portogallo-Giappone nella cartografia dei secoli XVI-XVII; di Giovanni Borriello, “Il Portogallo e l’introduzione della medicina europea in Giappone nei secoli XVI e XVII”; di Carlo Pelliccia, “Portogallo, Portoghesi e ‘Napoletani’ nel Ragguaglio della Missione del Giappone (XVII sec.)”.