Di Adolfo Tamburello
Napoli, 28 apr. - Yongzheng moriva improvvisamente nel 1735 e si diffondeva pure la voce che fosse stato ucciso da una discendente di Lü Liuliang che si vendicava dello sterminio della sua famiglia per la damnatio memoriae dell'avo da lui ordinata. Più probabile che morisse per farmaci impropri.
Relativamente breve era stato il suo regno (1723-1735) rispetto a quello del padre Kangxi (1662-1722) e sarebbe apparso ancora più breve rispetto a quello del quarto figlio, Hongli, il quale nato nel 1711, saliva al trono nel 1735 regnando di fatto fino al 1799, quando morì, benché avesse abdicato formalmente nel 1796 per non superare i sessant'anni del regno di Kangxi che segnavano il secolo cinese.
Preparato a regnare dagli anni dell'infanzia per le doti di bambino prodigio che il nonno e il padre coglievano in lui (mentre allontanavano da Pechino il fratellastro maggiore Hongshi), fu educato attentamente sia nella lingua e cultura cinese sia in quella mancese e quella mongola (non fu però mai in grado di raggiungere a giudizio unanime l'eccellenza calligrafica del padre almeno nel cinese). La presenza dei missionari a corte gli fece altresì orecchiare le lingue europee a cominciare dal latino (che era ancora lingua parlata e scritta) e finire con l'italiano per la familiarità col gesuita Giuseppe Castiglione (1688-1766), ormai rinomato artista di quella corte. Al curriculum di studi linguistico, letterario e artistico, si accompagnò quello giuridico, delle scienze e soprattutto delle arti marziali, tiro dell'arco a piedi e a cavallo, arte della spada, armi da fuoco, tecniche e strategie militari. Viaggiò pure molto, non in compagnia del padre che stazionava alla capitale, ma col fidato seguito che lui gli assicurava.
Ventiquattrenne quando salì al trono, aveva tutti i requisiti e la pratica per prendere il trono, avendo pure svolto col padre e senza di lui compiti di governo specialmente nel sud della Cina. Amante delle arti e più che sicuro di sé e delle sue qualità di letterato e artista, già nel 1729 apponeva il proprio sigillo a un primo dipinto di quella che sarebbe stata la grande collezione di sua mano (l'Hongli tushu).
Morto Yongzheng, non dovette essere di sorpresa e meraviglia per lui e gli astanti all'apertura dello scrigno che fosse stato designato lui l'erede. Assunse subito le funzioni di regnante, benché la proclamazione fu ritardata di qualche mese e poi celebrata con tutta la solennità della quale avremmo testimonianza visiva se il ritratto equestre di Castiglione immortalò il sovrano in quella circostanza.
Adempì prima i riti cinesi per il lutto del padre, quindi le cerimonie confuciane, i sacrifici sciamanici e altri; si presentò sovrano cinese ai cinesi, mancese ai mancesi, mongolo ai mongoli; dei tibetani sostenne molto il loro buddhismo naturalmente in chiave politica.
Trovata una Cina in relativo benessere (non altrettanto l'intero impero), con un patrimonio di beni accumulati dalla corona, Qianlong non fu certo angustiato da assilli di finanze com'era stato per Kangxi e in minor misura per Yongzheng alla presa del potere, e ciò spiega il programmatico titolo di Qianlong ("forte prosperità") che Hongli si dava e che tale non fu come cominciò a percepirsi nel seguito del suo regno.
In fatto di politica interna lasciò molto fare ai vecchi ministri e consiglieri sotto la guida del mancese Ortai (1677-1745), già fedele consigliere del padre e per lui mentore e guida nei viaggi. I vertici del potere continuarono a essere gestiti dai cinque o sei funzionari di vertice del consiglio già messo in uso da Yonzheng e che lui formalizzò nel Gran Consiglio (il junjichu) che per il numero ristretto poteva riunire al suo seguito pure negli spostamenti dalla capitale.
Molto lo assorbivano le arti e la cultura e molto da subito l'attività legislativa tanto che ultimava e pubblicava già nel 1740 la prima edizione della nuova codificazione dell'impero Qing (l'ultima era stata quella del 1725 di Yongzheng) sotto il titolo Da Qing lüli jizhu (Codice annotato dei Grandi Qing), che tanto interesse destò nella cultura europea del tempo con l'accesa critica dell'eccessivo ricorso alla pena di morte e dei modi con cui era eseguita.
Fra le premure di tutta precedenza gli era rientrata la revisione di alcuni casi dell'operato del padre in fatto di amministrazione della giustizia. Già il 21 novembre 1735 aveva emanato un editto magnanimo che reintegrava fratelli o fratellastri nella nobiltà principesca da cui il padre li aveva espunti insieme coi loro eredi; era poi passato nello stesso giorno a rimettere inaspettatamente sul tavolo il tormentato caso di Lü Liuliang e Zeng Jing. Non lo si legge nei manuali di storia. Lo descrive per esteso Jonathan D. Spence nel suo Il libro del tradimento che abbiamo citato nella nota precedente. È Qianlong che pronuncia l'editto: "Il mio defunto padre e imperatore aveva una larghezza di mente pari a quella del Cielo, e ancora più generosa era la sua capacità d'indulgenza; e sebbene la colpa di Zeng Jing non fosse certo minore di quella di Lü Liuliang, nel caso di Lü mio padre applicò la legge in modo chiaro e fermo, mentre con Zeng Jing scelse di non seguire la legge, ma di oltrepassarne i confini".
Yongzheng aveva risparmiato la vita a Zeng Jing; Qianlong, nel contesto forse poco confucianamente critico della riflessione paterna, argomentava: "Secondo il ragionamento di mio padre, le calunnie di Lü erano rivolte contro i nostri antenati imperiali, mentre quelle di Zeng prendevano a bersaglio soltanto la sua imperiale persona. Adesso sono io che ho la responsabilità di governare il paese, e intendo seguire l'esempio dato da mio padre nel caso di Lü Liulang, e applicarlo in modo chiaro e fermo a Zeng Jing. Giustiziando questo pessimo fra tutti i traditori, placherò il senso d'indignazione avvertito dai miei ministri e dal mio popolo". Seguiva la messa in atto della sua decisione: "L'ordine di arrestare Zeng Jing va inviato subito […]. Occorre inoltre arrestare tutti i parenti di Zeng Jing e Zhang Xi, nonché le persone che vivono a loro carico…".
Eseguiti rapidamente gli ordini ed effettuati tutti gli arresti, il 31 gennaio 1736 Qianlong emanava il verdetto finale: "Che Zeng Jing e Zhang Xi siano giustiziati per mutilazione progressiva, fino a morirne, come vuole la legge […] i familiari di Zeng Jing e Zhang Xi li seguiranno nella morte, eccettuati coloro che non hanno ancora compiuto sedici anni e forse una parte delle donne, per i quali è in serbo una vita di schiavitù e di esilio presso gli eserciti del Nord. E se sono rimasti loro dei beni, saranno confiscati in favore dello Stato."
Qianlong apriva dunque il suo regno e lo proseguiva costellandolo di stermini. E non che di lui potesse dirsi che fosse un "barbaro" mancese: la legislazione Qing traeva tutta dall'ultima cinese dei Ming ed era in forza dell'antico legismo mai spento attraverso i millenni.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
28 APRILE 2017
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