di Adolfo Tamburello*
Napoli, 25 nov.- L’attività archeologica svolta in Cina dalla metà del Novecento è stata molto intensificata anche per le epoche Sui (581-618) e Tang (618-907), benché a tutta apparenza non tale da rivoluzionare le conoscenze acquisite per l’innanzi, quanto ad allargarle e ulteriormente confermare le testimonianze delle antiche fonti letterarie, risultate di specifica ispirazione e guida fra l’altro delle ricerche più sistematiche e di lungo periodo. Progressiva padronanza è stata contratta delle avanzate tecniche di prospezione, scavo e interpretazione di dati geofisici e stratigrafici, cui hanno dato supporto anche scienziati e archeologi stranieri, fra i quali italiani.
Un contributo continuativo all’aggiornamento delle conoscenze in Italia è stato fornito da cultori e ricercatori quali Roberto Ciarla, Maria Luisa Giorgi e Filippo Salviati anche per rendiconti in rete.
Gli scavi nelle capitali dell’epoca, Chang’an e Luo-yang, hanno messo in luce le coeve strutture di fondazione e resti di alzati dei portali d’accesso alle città e di alcuni palazzi con i loro grandi padiglioni, cortili interni, altari (fra cui a Luoyang il mingtang dell’imperatrice Wu Zetian), giardini e ville (compresa la residenza del poeta Ba Juyi), nonché uffici amministrativi, mercati, quartieri d’abitazione e ancora tracciati viari, argini, ponti, canali di scolo e condutture idrauliche. Di grande suggestione gli enormi granai statali, con quelli di Luoyang, costituiti da silos sotterranei in fosse rivestite da pareti a tavolati lignei, capaci di milioni di ettolitri di cereali. La planimetria di Chang’an è stata calcolata su un’estensione di circa 84 kmq per una popolazione di oltre un milione di abitanti. Fra i principali complessi palaziali oggetto di scavi sistematici fin dagli anni Cinquanta figura il Daminggong (“Sala del Grande Splendore”), la cui costruzione iniziò nel 634 con ampliamenti successivi fino a comprendere un’area di oltre una ventina di kmq cinta di mura.
Terza città ampiamente esplorata è stata Yangzhou (provincia del Jiangsu), sorta in epoca Sui coi lavori intrapresi per il Grande Canale alla confluenza col Fiume Azzurro e destinata a diventare uno dei più grandi centri mercantili della Cina, con i suoi approdi portuali e le banchine per il carico e lo scarico delle merci. La planimetria iniziale della città Sui-Tang comprendeva all’incirca una superficie rettangolare superiore ai 18 kmq.
Presso località periferiche sono stati messi in luce i resti delle residenze estive o di sosta dei sovrani nei loro viaggi, fondazioni di ponti ad arcate su piloni, nonché di ponti sospesi con catene di corda o di ferro e loro ancoraggi costituiti da massi di pietra o di ghisa e perfino da gigantesche statue di ferro. Sono stati altresì rintracciati sentieri lignei, magazzini di merci varie, depositi di attrezzi e oreficerie, che hanno illustrato le arti orafe e più in generale metallistiche; opifici vetrari e per la glittica della giada e altre pietre semipreziose, fornaci per la cottura di laterizi (mattoni, tegole, antefisse) e ceramiche artistiche. Nel Fujian si sono concentrati gli scavi per la localizzazione delle fornaci dei tehua, noti in Occidente col nome di Blanc de Chine. Esemplari sono apparsi ancora nei loro stampi. Di vasta produzione è stata confermata sia la ceramica in tre colori (sancai) e sia la porcellana in bianco e blu cobalto, che iniziava allora la sua esportazione a vasto raggio per raggiungere molti secoli dopo l’Europa.
Per l'arte monumentale buddhista sono proseguite le ricerche in varie località e presso grandi complessi monastici, a partire da quelli di Dunhuang, ove le ultime grotte scavate dal 1988 hanno fatto salire il loro numero a ben 735 da meno di 500 che erano.
Di prestigio dell’Italia rimangono di significativa importanza le scoperte relative allo scavo del Fengxansi a Longmen (provincia d’Henan), iniziato dal 1997 su convenzione sottoscritta dalla Soprintendenza Archeologica di Luoyang con l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e l’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente di Roma.
Collegati col buddhismo si sono rivelati i primi documenti archeologici raccolti sulle tecniche di xilografia entrate allora nell'uso, compreso un primo testo di mantra dharani in sanscrito, trovato nel 1953 in una tomba presso Chengdu.
Degni di nota i risultati degli scavi emersi dall’archeologia funeraria con la scoperta di numerosi mausolei imperiali e tombe principesche, da quelle dello Shanxi a quelle del Xinjiang e della Mongolia interna da epoche che vanno dai Tang alle “Cinque Dinastie” (907-960) e oltre. Di valore unico i dipinti murali di una tomba dello Shanxi, del 706, aperta nel 1960, e nella quale era stata inumata una principessa di nome Yong Tai. Scene di soldati, scudieri con cavalli e altri personaggi, fra cui dame di corte, hanno allargato considerevolmente la documentazione sulla pittura murale cinese di genere sepolcrale, da un lato mostrando gli sviluppi da essa avuti almeno a partire dall'epoca Han, dall'altro illustrando le concatenazioni stilistiche con la pittura murale di soggetto buddhista. Ricorrenti anche in altre tombe le figurazioni di motivi classici come il drago verde e la tigre bianca o le rappresentazioni della volta celeste col sole, la luna e la Via Lattea. Sarcofagi scolpiti in pietra anziché bare lignee distinguevano le deposizioni dei dinasti e dei più alti dignitari vicini al trono.
Una pagina importante è stata riempita dall'archeologia navale. Nel 1973, nel distretto di Lugao, è stata trovata un’imbarcazione del secolo VIII adibita a trasporto fluviale, che doveva essere lunga m 17,32 per una larghezza di m 2,58 e una stazza di circa 200 tonnellate. Presentava uno scafo già munito di timone di poppa e dotato di nove compartimenti stagni, un preludio alle cosiddette “navi inaffondabili” dell’epoca Song (960-1279).
Un contributo specifico dell’archeologia cinese a quella coreana è provenuta dagli scavi nella regione dell’estremo Nord-Est, provincia di Jilin, con le scoperte delle necropoli dell’antico regno di Parhae (cin. Bohai), composte da tombe a tumulo contenenti nei loro vani interni dipinti murali a figure umane e ornati floreali.
Nell’estremo Ovest e nell’area dell’odierno Tibet sono state scavate tombe turche, uigure e tibetane, che hanno restituito anche oggetti di lontana provenienza come aurei romani, monete d’argento iraniche, gioielli, broccati e damaschi sogdiani e più genericamente centroasiatici, nonché testi manoscritti e xilografici in varie lingue e scritture.
25 novembre 2014
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
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