Milano. 11 ago. - Retorica, enfasi, orgoglio. L'addio di Yao Ming ai campi da basket, annunciato il 20 luglio e motivato con i troppi infortuni, è stato una sirena a cui i media cinesi non hanno saputo resistere. L'occasione perfetta, soprattutto per le testate di partito e con simpatie nazionaliste, per cantare le lodi dell'atleta cinese che per primo ha giocato in NBA e, attraverso di lui, per celebrare l'impetuoso sviluppo e l'inarrestabile ascesa di Pechino nel mondo.
Una "nazionalizzazione" della star del basket cinese che non è certo nuova nella Repubblica popolare, sempre attenta a sfruttare in chiave trionfalistica i successi dei suoi atleti. Nel caso di Yao Ming, però, il parallelo nazione-atleta è più trasparente che mai. Almeno a giudicare dagli editoriali pubblicati nelle ultime settimane da testate di partito come Renmin Ribao, Guangzhou Ribao e Huanqiu Shibao, ma anche da fogli commerciali come Nanfang Dushibao.
«"Ming oggi depone le armi"; "Cala il sipario sulla 'dinastia' Ming"; "L'altezza di Yao": il ritiro di Yao Ming dal mondo del basket - registra Lei Mo in un articolo uscito sullo Huanqiu Shibao il 29 luglio - ha scatenato una competizione sui media per il titolo più accattivante».
L'editorialista di Pechino segnala una tendenza comune ai tanti commenti usciti sulla stampa cinese: «Tutte le testate, per attirare l'attenzione su questo avvenimento "pubblico", hanno scelto titoli studiati, con doppi sensi e giochi di parole. Il ritiro del giocatore ha spinto la gente a riflettere sul significato del fenomeno Yao Ming e molte interpretazioni pubblicate in questi giorni mostrano un tratto ricorrente: la scelta di "nazionalizzare" l'atleta. Per questi commentatori, Yao Ming "appartiene" al paese».
Lei Mo non si sbaglia. Secondo il Guangzhou Ribao, quotidiano controllato dal comitato provinciale del partito, «in quanto personaggio di riferimento dello sport cinese e della diffusione dello sport cinese nel mondo, Yao Ming rappresenta un marchio nazionale», scrive Yuan Guangkuo il 21 luglio. Secondo l'editorialista, all'estero l'identificazione tra il giocatore e il suo paese sarebbe tale per cui «agli occhi degli stranieri Yao Ming è sinonimo di cinese: per i media e per il pubblico mondiali, ogni singola azione di Yao Ming è anche l'azione di un cinese».
E il cestista ha saputo fare una buona pubblicità al suo paese: «La sua immagine positiva in campo e il suo stile di gioco hanno vinto il sostegno dei tifosi e del pubblico - spiega Yuan Guangkuo -, ma non solo: nella vita di tutti i giorni, il suo impegno nella filantropia sociale ne ha fatto un "piccolo gigante" sia nello sport che nell'ambito del bene pubblico. La creazione a proprie spese della Fondazione Yao, tre anni fa, riflette la sua carità e la sua attenzione nei confronti della comunità e ne ha fatto una figura ancora più degna di rispetto».
Anche sull'edizione per i "cinesi d'oltremare" del Renmin Ribao, megafono del comitato centrale del partito comunista, un editoriale di Hong Shen afferma che il giocatore è oggi «il marchio cinese vivente più convincente. È un atleta di livello mondiale che non ha eguali. È una stella del basket che ha un potere di influenza enorme. È un brand del nostro paese. Il suo volto sano e positivo ci rappresenta; il suo temperamento tenace, il suo lavorare sodo, il suo modo di fare modesto e amabile, la sua ascesa decisa hanno fatto capire al mondo la grande statura di Yao Ming e, allo stesso tempo, anche la grande cultura e il grande paese da cui egli proviene».
Per Hong Shen, esiste una relazione molto stretta il successo degli uomini e il momento storico a cui appartengono e il gigante della pallacanestro condividerebbe con tutti i grandi personaggi del passato «il fatto di appartenere a un'epoca di progresso». Ecco perché, secondo l'editorialista, l'equazione tra Yao Ming e la Cina è inevitabile: «Il successo di Yao Ming è anche il successo del paese - dice l'editoriale -. Solo un paese ricco di speranza e vitalità poteva crescere un giovane del genere, con un carattere così solare e un atteggiamento così tranquillo. L'ascesa di Yao Ming ha accompagnato il processo di ascesa della potenza e dell'immagine della Cina. La Cina è sempre più forte e ormai si erge ritta tra la folla. Il mondo ci tratta con sempre maggiore rispetto. Agli occhi degli stranieri, Yao Ming non è soltanto un giocatore di basket altro 2 metri e 26. È un rappresentante dell'immagine della Cina».
Perfino il Nanfang Dushibao, normalmente distante dagli umori delle testate di partito, si lascia andare all'enfasi legando la parabola del cestista al contesto cinese degli ultimi decenni. L'editoriale anonimo pubblicato il 21 luglio dal quotidiano di Guangzhou, però, sottolinea soprattutto i meriti personali del giocatore: «Il successo di Yao Ming è stato per noi una fonte di ispirazione. Yao Ming è partito da Shanghai alla conquista del paese, poi dalla Cina è andato alla conquista del mondo. Una scelta del genere è certamente anche specchio del dinamismo di questa epoca. Yao Ming ha saputo cogliere le occasioni propizie che gli si sono presentate, a differenza di tante altre persone che invece perdono il proprio momento, lasciando andare ottime possibilità. Le persone in grado di capire la propria epoca e di cogliere le occasioni sono rare. Per questo nel mondo dello sport cinese ci sono ancora pochi Yao Ming».
E pur senza riferirsi esplicitamente alla star del basket come "marchio" nazionale, anche il Nanfang Dushibao attribuisce alla figura del cestista la capacità di rappresentare la Cina nel mondo. «Una volta, in un discorso pubblico, Yao Ming disse che la forza della cultura sta nell'usare una lingua universale. Lui ha saputo parlarla, con le sue azioni in campo».
Solo Lei Mo e lo Huanqiu Shibao sembrano non credere troppo alla forza rappresentativa di Yao Ming nel mondo: «Il rapporto tra Cina e l'Occidente oggi è molto più profondo di 9 anni fa, ma il potere delle nostre star dello sport di rappresentare la Cina sta diminuendo. E forse il nostro paese non ha neanche bisogno di un nuovo Yao Ming: da lui a Zhang Ziyi, da Liu Xiaobo ad Ai Weiwei, la gloria o il disonore che questi personaggi portano alla Cina durano comunque solo un attimo».
Piuttosto che preoccuparsi dei propri "rappresentanti" nel mondo, dice insomma Lei Mo, «noi cinesi dobbiamo essere più sicuri di noi stessi. Non dobbiamo curarci delle impressioni degli altri: dobbiamo darci da fare, ma non per dimostrare qualcosa agli altri».
di Emma Lupano
Emma Lupano, giornalista professionista e dottore di ricerca sui media cinesi, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
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