D. Oggi si parla di ripresa dalla crisi. E in particolare del ruolo che la Cina puo' esercitare come locomotiva che traina la ripresa dell'economia globale. I rapporti Cina-UE languono? Chiediamo ad Axel Berkofsky come questa crisi ha cambiato i rapporti tra il Dragone e la Vecchia Europa. Partiamo da un dato di fatto: i due rapporti controversi, quello politico del European Council on Foreign Relations (che accusa la Vecchia Europa di essere in posizione di stallo rispetto al Dragone) e quello economico della Camera di Commercio Europea in Cina (che rimprovera Pechino di aver eretto numerose barriere protezionistiche negli ultimi 12 mesi). Ma Zhengzhang, in occasione di un forum recentemente organizzato da The European House-Ambrosetti sul lago Tianmu in collaborazione con le autorita' della provincia del Jiangsu, ha affermato che l'Unione europea e' il primo partner commerciale per la Cina e questo rapporto ha retto anche gli urti della crisi: e' bene sottolinearlo e continuare a marciare da li'.
R. Quando ero allo European Policy Center di Bruxelles, abbiamo promosso un think tank round table proprio con il China Institution of International Studies, di cui Ma Zhengzhang e' direttore. Ma fa parte della vecchia scuola ed esprime quindi una posizione abbastanza conservatrice. I rapporti diplomatici tra Pechino e Bruxelles sono iniziati nel 2003 sotto i migliori auspici, con l'ambizione congiunta di realizzare una joint policy e diventare partner strategici. Ma la luna di miele e' gia' finita. Oggi, nel 2009, constatiamo come la realta' dei rapporti tra la Commissione Europea e Pechino sia dominata quasi esclusivamente da problemi strutturali, come hanno di recente sottolineato i due report di cui sopra. Market access obstacles, Intellectual Property Rights (IPR), deficit commerciale: sono solo alcune tra le principali criticita' in cui si declinano le divergenze politiche tra i due Colossi. Un'agenda da cui si palesa un rapporto difficile, di cui i casi frequenti in cui l'Unione Europea trascina la Cina a Ginevra davanti al Wto (ad oggi piu' di 120), costituiscono la punta dell'iceberg. L'attenzione dell'Unione Europea verso temi quali l'affermazione della democrazia e il rispetto dei diritti umani in Cina - sebbene sulla carta lo "human right dialogue" non sia stato ancora ufficialmente depennato - ha prodotto finora i risultati limitati. L'atteggiamento politico di Pechino oggi e' cambiato: grazie per i consigli, cara Europa, ma non ne abbiamo bisogno, noi promuoviamo una forma di "democracy chinese style". Questo e' il messaggio di Pechino. Esempio, la Cina in Africa. Al di la' dei dialoghi bilaterali sulla politica cinese verso l'Africa, che e' abbastanza controversa, assistiamo a una crescente e marcata autonomia di Pechino rispetto a quelle che sono di fatto decisioni politiche endogene: Pechino non cambia gli assetti politici nel Continente africano perche' parla con Bruxelles. Quindi da un lato il filone dei "25 sectorial dialogues", dall'altro a dominare i rapporti bilaterali sono problemi di altra natura. Esiste quindi una contraddizione tra la retorica politica (la centralita' formale della condivisione dei valori e della democrazia globale) e le polemiche che contraddistinguono il dialogo politico. C'e' da dire, inoltre, che dietro la cortina dei rapporti diplomatici tra la Commissione Europea e Pechino, i driver che dominano i rapporti tra i due Colossi sono riconducibili agli attori singoli che operano sui mercati; quindi i singoli paesi dell'Unione e i soggetti imprenditoriali dei singoli paesi dell'Unione, sono i veri artefici della politica europea in Cina. Nei rapporti tra Francia, Germania e Italia - per dire - c'e' molta piu' sostanza che non nel rapporto tra la Commissione europea e Pechino. L'ambizione di realizzare una politica comunitaria attraverso la Cina non e' realistica. Nell'aprile del 2008 e' stato avviato un nuovo dialogo tra Pechino e Bruxelles "High Level Economic Dialogue" ma non ha finora prodotto risultati concreti.
D. I veri attori sono i singoli paesi e le aziende che continuano a investire massicciamente (sebbene la prima meta' del 2009 abbia registrato una lieve flessione degli IDE, pari a un calo del 17% rispetto allo stesso periodo del 2008), e la Cina ha iniziato dal canto suo a investire massicciamente all'estero (dagli ultimi dati emerge come gli investimenti cinesi siano triplicati: nei primi nove mesi del 2009, hanno raggiunto quota 32.87 miliardi di dollari). Ma la Cina non guarda all'Europa come invece guarda agli Stati Uniti. Sono in molti a chiedersi in quale modo l'Unione Europea possa riacquistare charme nei confronti della Cina un fascino che si declina generalmente attraverso i nostri paradigmi culturali, di cui la Cina subisce un certo appeal. Quindi potremmo articolare una riflessione provocatoria: tutto sommato, ci va bene anche cosi'? Ossia: formalmente la diplomazia sta compiendo molti sforzi, ma di fatto la Commissione Europea continua ad avere una sovranita' limitata, malgrado l'obiettivo di lungo periodo di una politica europea, che prescinde dalla Cina. Le controparti si muovono all'interno di un ombrello istituzionale di ampio respiro, ma forse il problema non e' l'Europa ma il peso esercitato dai singoli Paesi. E quindi il problema a consuntivo e' l'Italia. E veniamo alla domanda. Quanto l'Europa puo' aiutare l'Italia? L'Italia ha perso diversi treni. Quest'anno, con la visita di Hu Jingtao a luglio e la cordata di imprenditori cinese al seguito, ci e' sembrato che le istituzioni italiane si siano destate da un lungo letargo, con il riconoscimento ufficiale all'importanza della presenza delle nostre imprese nel mercato cinese. I nostri leader politici non si erano mai espressi con tale favore e fervore. Quanto affermare il brand Europa - riacquistando quindi lo charme perduto e riaffermando il rispetto dei vincoli commerciali - puo' essere d'aiuto e di stimolo per l'Italia? O sono due binari separati?
R. Quello che vale per i rapporti politici, non vale per i rapporti economici. Se sul piano politico comunitario i risultati sono scarsi, sul piano economico lo scenario e' speculare. Il mercato europeo e' molto importante per la Cina. Ed ancora piu' importante per la Cina e' l'acquisizione di nuove tecnologie dall'Europa e gli investimenti diretti esteri, che hanno costituito il driver del Miracolo economico. E infatti all'inizio dell'interista siamo partiti da una premessa positiva, e ossia che l'Europa - nonostante la crisi - resta il maggiore partner commerciale Cina. Parliamo di un interscambio che nel 2008 e' stato pari a circa 300 miliardi di dollari. Se anche il deficit e' consistente, non possiamo tuttavia dimenticare che a produrlo sono prevalentemente le stesse aziende americane ed europee che delocalizzano in Cina, a cui e' ascrivibile il 60% dell'export dalla Cina verso l'estero. Quindi e' anche il nostro deficit. I "25 sectorial dialogues" tra la Commissione europea e Pechino includono issues quali la Wto, gli IPR, il maritine security. Dialoghi importanti, che non producono sempre risultati concreti, ma esprimono la volonta' della Cina di continuare a imparare dall'Europa. Quindi la Cina si tappa le orecchie rispetto alle critiche sui diritti umani o la politica cinese sul Tibet, ma dall'Europa vuole acquisire tecnologie environment-friendly, il rule of law, etc. Lasciando da parte la sicurezza internazionale - temi che languono ancora sull'agenda - a livello pratico assistiamo a uno scambio intenso. Nelle aree non politiche, c'e' la ferma volonta' cinese di imparare. E di questo l'Italia puo' e deve senz'altro avvantaggiarsi.
D. C'e' una tale volonta' di imparare che a quanto parte questa attitudine ad apprendere dall'Occidente, prendendo lezione dai suoi errori, ha vaccinato la Cina contro gli effetti devastanti della crisi, riuscendo a metterla a riparo dalle distorsioni del modello occidentale e a eludere, per ora, il rischio di una nuova bolla speculativa nel settore immobiliare, alternando la politica dei rubinetti aperti con la volonta' di una stretta al credito.
R. Oggi il rischio di una bolla speculativa in Cina e' molto forte, e sono numerosi gli interventi allarmanti - non ultimo, il vice governatore della Banca Centrale - a favore di un congelamento dell'erogazione del credito alle aziende. Lo scenario e' simile alla crisi che ha colpito il Giappone tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90. Finche' vi saranno politiche monetarie rilassate, il pericolo non sara' del tutto eluso. Ma il fatto che non vi siano banche private e la possibilita' di ricapitalizzare costituisce un elemento di aiuto.
D. E proprio il mese scorso fa Agichina24 ha approfondito le similitudini tra la crisi nipponica e lo scenario cinese attuale in un focus dal titolo "Cina: lo spettro del Giappone". Un'ultima domanda: Obama e' l'uomo deputato a cambiare gli Stati Uniti e il rapporto degli Stati Uniti con il mondo intero. Sul fronte dei rapporti bilaterali Cina-UE, se manca una politica europea che si muove all'unisono, chi potrebbe essere il personaggio in grado di segnare la storia dei rapporti diplomatici imponendo una sterzata epica?
R. Per quanto possa essere triste, credo che Tony Blair e' l'uomo che puo' imporre un cambiamento. Barroso e' un super diplomatico, mentre Blair puo' agire con maggiore liberta' e determinazione.
E La risposta di Berkofsky, alla luce della short list emersa nei giorni successivi al nostro colloquio, appare oggi anticonformista.
'Alessandra Spalletta'