ISOLE CONTESE, LA SOVRANITA' CINESE
Di Li Ruiyu
Ambasciatore cinese in Italia
Roma, 18 lug. - Lo scorso 12 luglio è stato reso noto il verdetto del Tribunale arbitrale per il Mar Cinese Meridionale costituitosi su richiesta unilaterale delle Filippine. La notizia ha occupato il posto più importante delle pagine degli esteri dei giornali e dei media italiani, dove si è fatta ampia menzione al fatto che la Cina non avrebbe accettato né riconosciuto la decisione del Tribunale. E' necessario sottolineare che la posizione cinese ha già ricevuto l'aperto riconoscimento e il sostegno di più di sessanta Paesi, oltre al fatto che sempre più numerose personalità del diritto internazionale hanno espresso dubbi e preoccupazioni in merito all'arbitrato. Ne approfitto per spiegare più a fondo ai lettori italiani dei più diversi ambiti la posizione della Cina dal punto di vista della storia e della legalità.
1. Il Tribunale arbitrale non è un «tribunale internazionale» legale. Questo Tribunale arbitrale non è un «tribunale internazionale», esso non ha nulla a che vedere con la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) delle Nazione Unite con sede all'Aia, non fa parte del Tribunale internazionale del diritto del mare (ITLOS) con sede ad Amburgo, né appartiene al sistema della Corte permanente di arbitrato (PCA) dell'Aia. Questo Tribunale arbitrale si è costituito in seguito ad una manovra politica. Esso si compone di cinque giudici arbitrali, dei quali, oltre ad uno di nazionalità tedesca indicato dalle Filippine, gli altri quattro sono stati tutti nominati dal presidente di allora del Tribunale internazionale del diritto del mare, il giapponese Shunji Yanai, che è attualmente giudice presso il Tribunale internazionale del diritto del mare, era ambasciatore del Giappone negli USA ed è stato fermo sostenitore e partecipe delle politiche del Governo Abe relative alla revoca del divieto di diritto di autodifesa collettiva e delle azioni che sfidano all'ordine internazionale del dopoguerra. La composizione del Tribunale arbitrale non è rappresentativa né equa. In base allo spirito della Carta delle Nazioni Unite e dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, la composizione dei tribunali internazionali deve essere rappresentativa delle principali culture e dei principali sistemi giuridici. Di questo Tribunale, quattro componenti provengono dall'Europa, un altro e' di Ghana, ma per lungo tempo vive in Europa; essi mancano della comprensione degli affari asiatici e della questione del Mar Cinese Meridionale ed evidentemente non possiedono né rappresentatività, né autorevolezza. Il tribunale ha funzionato in maniera assurda. Alcuni dei suoi componenti hanno tradito i propri studi accademici che avevano creduto precedentemente, mostrando la mancanza di valore accademico e di spirito professionale. Il tribunale ha imprudentemente preso per buono il consiglio di un testimone, esso ha affermato che l'arcipelago di Nansha non comprenderebbe alcuna topografia marina definibile come isola, nonostante avesse già detto nei suoi lavori accademici che «l'arcipelago di Nansha conta almeno dodici isole ». Il tribunale è privo di indipendenza economica. Quello di giudice arbitrale è un servizio a pagamento, che non spetta alle Nazioni Unite a pagarlo, ma il Governo delle Filippine, che ha avviato unilateralmente l'arbitrato. Questa situazione dimostra quanto sia difficile che una forzatura delle procedure arbitrali produca buon esito. Questo tribunale arbitrale ha fallito.
2. L'arbitrato avviato dalle Filippine è sin dal principio illegale e ineffettivo. L'arbitrato avviato dalle Filippine non si conforma alle disposizioni della UNCLOS e si pone in antitesi rispetto agli accordi esistenti con la Cina. Innanzitutto, la questione in merito alla quale le Filippine hanno avviato l'arbitrato, che riguarda in realtà la sovranità territoriale su una parte delle isole del Mar Cinese Meridionale, travalica l'ambito d'applicazione della UNCLOS. Secondo, per la delimitazione delle acque teritoriali, nel 2006 la Cina, come una trentina di altri paesi, ha effettuato in base all'Articolo 298 della UNCLOS una dichiarazione di eccezione facoltativa all'applicabilità della UNCLOS, escludendo procedure cogenti per la soluzione di simili contese. Terzo, Cina e Filippine si sono espresse con dichiarazioni bilaterali e comunicati congiunti in favore di una soluzione negoziale. La Dichiarazione sulla condotta delle Parti nel Mar Cinese Meridionale, sottoscritta dalla Cina e dai paesi ASEAN, comprese le Filippine, prescrive in maniera chiara il ricorso al negoziato tra i paesi immediatamente convolti per la soluzione delle contese. L'arbitrato, avviato unilateralmente dalle Filippine, viola il principio fondamentale del diritto internazionale che afferma: «pacta sunt servanda». Il Governo cinese insiste sul fatto che non accetta l'arbitrato, che non vi prende parte e che non ne riconosce l'esito. Questa posizione è presa in rispetto al diritto internazionale, UNCLOS compresa, e per la Cina si tratta di un atto legittimo in difesa dell'autorità del diritto internazionale e dell'integrità della UNCLOS.
3. La sovranità cinese sull'arcipelago di Nansha poggia su solide basi storiche e giuridiche. La Cina è stato il primo Paese a scoprire, a nominare, ad esplorare e ad amministrare le isole del Mar Cinese Meridionale, nonché il primo ad esercitarvi in maniera continuativa la propria sovranità. Alla fine della Seconda Guerra mondiale la Cina, sulla base del diritto internazionale e in maniera conforme a documenti internazionali come la Dichiarazione del Cairo la Proclamazione di Potsdam, ha ottenuto indietro le isole Nansha, a suo tempo occupate dal Giappone, e ne ha rafforzato il controllo fissandone i toponimi, pubblicandone la cartografia, stabilendone la struttura amministrativa e stanziandovi guarnigioni militari. Nel corso dei successivi decenni, nessun Paese ha mai posto obiezioni riguardo all'appartenenza delle isole Nansha alla Cina. E' a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo che, con la scoperta di giagimenti petroliferi e di gas naturale nella regione, comincia l'occupazione delle isole cinesi da parte dei Paesi convolti, ed è così che ha inizio la disputa territoriale per le Isole: questo è il nocciolo e l'origine della questione del Mar Cinese Meridionale. Il Governo cinese è stato il primo a proporre e sostenere sempre la politica di «mettere da parte le dispute e perseguire lo sviluppo congiunto», sostenendo il ricorso a negoziati per risolvere le dispute, il rispetto delle regole e delle istituzioni per gestire con efficacia le controversie ,la ricerca di sviluppi congiunti per raggiungere risultati proficui per tutti, e la tutela della libertà di navigazione e di sorvolo, così come della pace e della stabilità nella Regione. Queste sono politiche fondamentali cinesi per una soluzione della questione, oltre che una seria promessa.
4. Il Governo cinese continuerà ad impegnarsi nella tutela della pace e della stabilità nella regione del Mar Cinese Meridionale nel rispetto delle norme internazionali fondamentali. Come costruttore dell'ordine internazionale e difensore della pace nella regione, la Cina continuerà ad insistere per una soluzione pacifica delle dispute sulla base del diritto internazionale e attraverso negoziati diretti tra le parti coinvolte, a garantire la libertà di navigazione e di sorvolo di cui tutti i Paesi godono sulla base della legge, ad implementare completamente ed effettivamente la Dichiarazione di condotta delle Parti sul Mar Cinese Meridionale e a promuovere entro tale cornice il processo di discussione delle «norme di condotta sul Mar Cinese Meridionale».Sviluppare relazioni di buon vicinato con i Paesi limitrofi è la direzione già stabilita nella quale la Cina persevererà; tutelare la pace e la stabilità della regione è una responsabilità internazionale che la Cina assumerà senza compromessi; proseguire sulla strada dello sviluppo pacifico è una scelta strategica che la Cina sosterrà senza ripensamenti. Per il rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e delle norme fondamentali delle relazioni tra Stati, per la tutela della moralità e della legittimità della giustizia internazionale e nell'interesse della causa della pace e dello sviluppo del genere umano, la Cina continuerà a prestare il proprio immancabile contributo.
18 LUGLIO 2016
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