di Emma Lupano
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Pechino, 30 giu.- Si chiamano “gaokao zhuangyuan” gli studenti che ottengono il punteggio più alto nel gaokao, l’esame nazionale da cui dipende l’accesso all’università in Cina. Ogni anno, nel mese di giugno, tornano di attualità, oggetto di grande attenzione da parte dei media e del pubblico.
Definiti con lo stesso termine (zhangyuan) utilizzato per indicare i candidati che ottenevano i migliori risultati agli esami imperiali per l’ingresso nella burocrazia celeste, i numero uno del gaokao dovrebbero essere destinati a diventare la creme della classe dirigente. Invece, secondo un’indagine svolta dall’Associazione degli Alumni di Cina prendendo in considerazione circa 2000 “campioni” dell’esame dal 1952 a oggi, gli esaminandi migliori raramente diventano persone di straordinario successo in Cina.
Un po’ perché se ne vanno altrove (circa la metà), trasferendosi all’estero e non tornando mai più. Un po’ perché pochi scelgono la carriera politica o imprenditoriale. La maggior parte, invece, sceglie impieghi dirigenziali in settori remunerativi, capaci di assicurare loro lo status sociale e le risorse economiche per una vita di successo, anche se non eccezionale.
Mentre altri commentatori, su Xinhua e altre testate, si soffermano sulle ragioni dietro questa fuga di cervelli o sulle qualità che il gaokao non è in grado di valutare, il commentatore Tang Ji Weide, nome di penna d uno scrittore, editorialista e columnist per vari giornali tra cui il periodico Zhongguo xinwen zhoukan, prende il caso dei “campioni” del gaokao per parlare invece della decadenza dei costumi in Cina.
“Il rapporto pubblicato dall’Associazione - scrive il 20 giugno il giornalista sul quotidiano Huasheng Bao - mostra che la maggior parte degli studenti migliori ha scelto economia, management e altre lauree che promettono impieghi remunerativi”. Questo, argomenta Tang Ji Weide, non è un buon segno.
“Ovviamente, in un'epoca in cui conta il divertimento sfrenato, è normale che i ‘campioni del gaokao’ siano condannati a diventare vittime dell’etichettatura tipica dell'epoca dei consumi: è per questo – pensa il commentatore – che gli studenti migliori puntano ai corsi di laurea che promettono le massime prospettive di sviluppo in senso commerciale”.
Questi sono i corsi più ambiti anche dallo studente medio in Cina: a renderli desiderabili agli occhi di tanti non è “il fatto che i migliori li scelgano, ma che il mercato li rende tali”. I campioni del gaokao, avendo ottenuto un punteggio particolarmente elevato, hanno soltanto “maggiori possibilità di scegliere rispetto agli altri esaminandi e perciò optano per le materie che promettono un arricchimento sicuro. Gli altri studenti invece, avendo voti più bassi, devono accontentarsi delle seconde scelte”.
Con chi ce l’abbia esattamente l’editorialista, in realtà, non è chiaro – se non con la commercializzazione della società, a tutti i livelli.
Da una parte Tang se la prende con l’abitudine (dei media, innanzi tutto) a parlare di gruppi di persone, definiti dall’appartenenza sociale o altro, come se non esistessero differenze individuali. “Come i lavoratori migranti, così i ‘campioni del gaokao’ non sono considerati come individui, ma come categoria sociale. Gli viene messa un’etichetta, come fossero prodotti da consumare. Questo processo fa sì che le differenze tra le diverse categorie crescano, le opposizioni tra i diversi gruppi diventino sempre più acute, e che sempre più pregiudizi si diffondano”.
Dall’altra, nel mirino di Tang ci sono le ambizioni dei campioni del gaokao. Le loro preferenze dimostrerebbero infatti la corruzione dei costumi della Cina di oggi: “L’attrazione provata dagli studenti migliori per i corsi di laurea che promettono l’arricchimento è un riflesso del consumismo. In questa epoca in cui tutti devono divertirsi fino alla morte, in un contesto sociale in cui quello che conta sono i beni materiali e gli impulsi da soddisfare, come è possibile tornare a un sistema di valori ragionevole?”, si chiede il commentatore.
O tempora, o mores.
30 giugno 2014
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