Milano, 11 giu. - «Una scintilla può provocare un incendio», avverte il giornalista Gao Jun il 4 giugno sull'inserto dello Xiamen Shangbao. «Le persone non sono macchine» e «le aziende devono trovare un modo di trattare bene i lavoratori, altrimenti drammi e crisi simili sono inevitabili», ammonisce invece il ricercatore dell'Accademia Cinese delle Scienze Sociali Jin Bei sul China Business Journal. E mentre Caixin, il giornale aperto dalla ex direttrice di Caijing Hu Shuli, pubblica una lettera aperta scritta dai rappresentanti degli scioperanti della Honda sottolineando che «il sindacato deve essere scelto dai lavoratori», il famoso giornalista investigativo Chang Ping la diffonde a sua volta, senza filtri, attraverso il suo blog.
Difficile trovare sui giornali cinesi un commento contrario alla catena di scioperi che ha bloccato la produzione nei quattro stabilimenti cinesi della giapponese Honda nel nome di un aumento salariale, o alle proteste che hanno messo alle strette la taiwanese Foxconn di Shenzhen. Qui, negli ultimi mesi, 13 giovani si sono tolti la vita a causa delle terribili condizioni di lavoro.
Ore interminabili alla catena di montaggio, settimane senza mai un giorno libero, paghe da fame che obbligano a straordinari eccessivi sono la norma in molte aziende del sud della Cina, dove le braccia sono soprattutto quelle dei lavoratori migranti (mingong o liudong renkou) che si spostano dalle aree rurali del Paese nelle metropoli in cerca di fortuna. Quello che è fuori norma, invece, è che i lavoratori ora protestano. Sempre di più.
Lo registra Gao Jun il 4 giugno: «Il problema spinoso dei diritti dei lavoratori della "fabbrica del mondo" cinese sta crescendo rapidamente. Dal primo maggio, festa dei lavoratori, si è verificata un'ondata di scioperi concentrati soprattutto nelle aziende a capitale straniero. È successo nella fabbrica di componenti della Honda a Foshan, nella giapponese Xi a Shanghai, nella Nikon a Wuhan. Tutte entrate in sciopero, una dopo l'altra».
Il fenomeno, secondo Gao Jun, è dovuto alla scarsa rappresentatività del sindacato, che in Cina è uno solo e controllato dallo Stato. «Negli anni passati Tian Zhiqing, uno dei leader degli scioperanti nella Honda di Foshan, aveva posto il problema dell'aumento del loro stipendio al sindacato, senza mai ottenere nulla. Gli operai della Honda dicono che i nuovi assunti, appena entrano in fabbrica, ricevono un modulo per associarsi al sindacato, e che in seguito ogni mese vengono tolti dallo stipendio 5 yuan a ciascuno a sostegno dell'organizzazione. Tuttavia, nessuno ha chiare le sue funzioni».
Durante i disordini alla Honda, operai e sindacalisti sono arrivati alle mani, dopo che gli scioperanti avevano dichiarato: «La questione è tra i lavoratori e la fabbrica. Il sindacato non deve intromettersi».
Scioperi e manifestazioni, dice Gao Jun, sono proprio quello che accade quando gli operai devono affermare i propri interessi da soli. «La difesa dei diritti tramite lo sciopero è uno dei risultati inevitabili della rapida crescita dell'economia cinese. La costituzione e le leggi cinesi, anche se non contengono il diritto allo sciopero, neanche lo proibiscono. Tuttavia, le riunioni di cittadini privati, le dimostrazioni e le marce infrangono le norme sull'ordine pubblico, e il codice penale contiene il reato di "riunione di masse volto a disturbare l'ordine sociale". Queste leggi possono essere facilmente utilizzate contro lo sciopero, e in effetti molte persone sono state arrestate per questo motivo».
A peggiorare la situazione dei lavoratori è il potere delle imprese, riconosciuto dalla legge cinese, di licenziare chi trasgredisca gravemente la disciplina lavorativa o le regole dell'azienda. «In realtà – segnala Gao Jun -, spesso le aziende considerano alla stregua di regole aziendali anche il divieto di sciopero, di rallentamento del ritmo di lavoro, di diffusione di notizie, di interruzione della produzione».
Se dunque lo sciopero è un'arma rischiosa per i lavoratori cinesi, è importante poter contare su un sindacato affidabile. Perché in un mercato dove «il numero delle aziende non statali è aumentato enormemente» e in cui «anche il numero dei dipendenti delle aziende non di Stato ha raggiunto una proporzione notevole» - si chiede Gao Jun - «a chi si possono appoggiare i lavoratori delle aziende non di Stato per difendere i propri diritti? Chi media tra loro e le fabbriche? Questo è un problema sociale che sta diventando sempre più grave».
Ecco perché, conclude Gao Jun, «è necessario che il governo approvi una legge per permettere la nascita di sindacati indipendenti, che dovranno avviare un dialogo efficace tra operai e aziende, controllando le proteste dall'interno. Questo è forse l'unico modo per difendere gli interessi di entrambi i fronti del mondo del lavoro in Cina».
Un appello più generale, basato su una spiegazione sociologica, è invece quello rivolto da Jin Bei per evitare che tragedie come quella della Foxconn si ripetano. «La Cina è cambiata molto dal punto di vista della ricchezza materiale e in questo processo il ritmo di sviluppo delle campagne è stato molto più lento rispetto alle città, sia dal punto di vista economico che sociale». Per questo i giovani delle campagne decidono di spostarsi in città e di rifarsi una vita partendo dal lavoro in fabbrica, ma, «quando entrano in realtà aziendali gigantesche come quella della Foxconn, è facile che vengano colti da un malessere dovuto alla perdita di individualità e alla repressione dei sentimenti».
Le nuove leve, dice Jin Bei, non sono forti come i loro padri: «I lavoratori migranti che diventano operai nelle fabbriche sono nati per lo più dopo l'avvio della politica del figlio unico. In famiglia sono trattati come "piccoli imperatori", bambole, sono amati e vezzeggiati da mamma e papà. La capacità di soffrire ben nota ai loro genitori è svanita. Inoltre, questi giovani vivono attaccati alla tv, al computer, al cellulare, a internet e hanno così accesso a informazioni sempre più abbondanti. Questo provoca aspettative irrealistiche. Quando entrano nel mondo militarizzato delle fabbriche, questi giovani non riescono a sentire alcun senso di appartenenza, né di orgoglio o di soddisfazione».
Secondo Jin Bei, è compito della società intera supportarli. «Le organizzazioni sociali, specialmente i sindacati, e il governo devono infondere orgoglio e senso di sicurezza nei lavoratori delle aziende che hanno portato avanti lo sviluppo economico cinese. Le imprese, dal canto loro, devono coniugare una gestione rigorosa e scientifica con l'attenzione per le persone che ne fanno parte, dando ai lavoratori il senso di appartenere a una famiglia, di raggiungere successi e di sviluppare la propria professionalità». Come accadrebbe in un mondo perfetto.
di Emma Lupano
Emma Lupano, sinologa e giornalista, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
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