Quest’anno ricorrono i 150 anni dalla nascita di Ludovico Nicola di Giura (1868-1947). Lo si annovera l’italiano “mandarino di I classe” alla corte Qing di Pechino, nominato e unanimemente riconosciuto dai cinesi esimio sinologo e valente medico chirurgo parlante un ben colto cinese.
Quello che sappiamo di lui da ultimo in Italia è merito di Loredana Antonelli che ne ha curato preliminari ricerche prima per il breve saggio “Ludovico Nicola di Giura un medico-letterato in Cina” (Tianjin 1900/2005 Il quartiere italiano. Architettura e Restauro in Cina, Napoli, Edizioni Graffiti, 2005) e poi per un più ampio studio (reperibile anche in rete in Oriente_Occidente) sotto il titolo “Ludovico Nicola di Giura, storia di un medico italiano in Cina. Gli incarichi pubblici e le passioni letterarie”. Il testo è corredato di una buona bibliografia di primo approfondimento.
Trent'anni in Cina
Che tanti medici siano scrittori di vaglio è ben noto. Di Giura, nativo di Casoria (Napoli) e pienamente napoletano di formazione anche professionale (laureato alla Federico II), si cimentò fra il 1894-96 a tenere un proprio diario di bordo da ufficiale-medico sulla Cristoforo Colombo. Gli era pubblicato postumo nel 1961 (e poi ancora nel 1977) dalla Marina Militare col titolo Viaggio intorno al mondo con la R.N. Cristoforo Colombo: 1894-95-96. Già in quella crociera approdava nella Cina meridionale nel 1895, ma il suo destino di “farsi cinese coi cinesi” si compiva, dopo successive campagne di navigazione, quando sbarcava nel 1900 a Tianjin all’indomani della cosiddetta Guerra o Rivolta dei Boxer.
Si sarebbe trattenuto in Cina un trentennio, tranne brevi assenze per imbarchi e viaggi, facendo la spola fra Tianjin e Pechino in qualità di medico-chirurgo di crescente risonanza, primario e consulente di varie istituzioni ospedaliere cinesi e internazionali, divulgatore scientifico, medico personale dell’imperatrice vedova Cixi (1835-1908) e dell’ultimo imperatore Qing Pu Yi (1906-1967). Dopo la fondazione della Repubblica cinese nel 1912, fu medico di fiducia del primo presidente Yuan Shikai (1859-1916) e di altre ben note autorità politiche (Wu Peifu, Zhang Xueliang, Zhang Zuolin ecc.), cui faceva pure da consigliere privato in materia di relazioni internazionali. Aveva seguito fin dall’inizio del suo soggiorno a Tianjin l’evolversi della situazione cinese durante gli ultimi anni dell’impero, e meriterebbero una rilettura i suoi saggi pubblicati fra il 1905-10 su Nuova Antologia insieme con le successive corrispondenze su La Stampa e Il Giornale d’Italia.
Nel tempo libero dalla professione s’immergeva regolarmente nello studio del cinese scritto e parlato: si esercitava nella composizione calligrafica cui era ben versato, nella lettura di testi classici e moderni e infine nelle loro traduzioni. Le prime di queste gliele pubblicava in Cina in libretti dal 1926 la Tipografia dei Lazzaristi cui lo legavano le buone relazioni che teneva coi missionari e in generale con le istituzioni delle Missioni Estere; la sua assistenza ospedaliera e sanitaria gratuita a favore di esse era continuativa e costante. Il cardinale Celso Costantini scriveva di lui: “avrebbe potuto farsi onestamente ricchissimo; ma badò più ad accrescere la ricchezza spirituale della carità”.
Traduttore di massime confuciane
Di Giura non era neppure uomo da spendere in collezioni d’arte o chinoiserie; sembrava pure parco nell’acquisto di libri, stando almeno a quanto sappiamo che lasciava.
La sequenza delle opere che traduceva e pubblicava a Pechino dai Lazzaristi mostrava la progressività dell’approccio che aveva con la letteratura cinese dal classico al moderno e dalla prosa alla poesia: nel 1926 una Scelta di massime confuciane dai Dialoghi di Confucio; nel 1929 I fiori orientali. Poesie tradotte dal cinese, prese dal “Sogno della camera rossa”. Rendeva le une e le altre famose anche in Italia.
Per le contemporanee pubblicazioni nel nostro paese era molto aiutato dal nipote Giovanni, che lo raggiungeva a Pechino come diplomatico in funzioni di segretario della Legazione d’Italia; uscivano così a Milano fin dal 1926 Le Fiabe cinesi; quindi nel 1930 a Lanciano, presso Carabba, la Casa editrice allora benemerita in Italia per la pubblicazione di opere sull’Oriente, Le poesie di Li Può, il famoso Li Bo o Li Bai della dinastia Tang.
L’introduzione a questo libro – scrive Antonelli – “accenna ad alcuni dati salienti sulla vita del poeta e il periodo storico in cui visse, dando un quadro appassionato della figura del poeta”. Di Giura concludeva in essa che il suo contributo era “molto modesto”: “ma siamo lieti di far conoscere in Italia alcune poesie di questo famoso poeta cinese. Nella traduzione abbiamo cercato di tenerci assolutamente al testo cinese …”.
Nasceva allora quell’amore in Italia per Li Bo e la poesia cinese dell’epoca che invitavano Martin Benedikter a coltivarla al punto da poter pubblicare nel 1961 presso Einaudi Le trecento poesie T’ang.
Ancora per Carabba di Giura pubblicava nel 1931 Fior d’amore. Scene della vita cinese. Con esso l’autore si presentava in transito dalle traduzioni alla scrittura di un proprio romanzo. Antonelli lo descrive: “un libro melanconico ed intimista che racconta la storia d’amore di Guido Giunta (alter ego del di Giura) con una ragazza cinese di nome Fragrante Primavera […]. Giunta riesce a fare breccia nel cuore di Fragrante Primavera […]. I due vivono un’intensa quanto breve storia d’amore, ben presto la diversità culturale e i doveri sociali li allontanano. Fragrante Primavera si uccide per amore e a Giunta non resta che dedicarsi anima e corpo agli studi”.
“Alcuni passi del romanzo” – Antonelli prosegue – “suggeriscono una riflessione sulla situazione politica cinese del tempo e sulla solitaria condizione umana di un uomo lontano dalla patria e dagli affetti”: Giunta sente ancora più profondamente la nostalgia di casa perché ‘completamente cinesizzato negli usi e nei costumi’ ciò vuol dire seguire i precetti confuciani di pietà filiale e dedizione nei confronti dei propri antenati”.
'Buen retiro' in Lucania
Nello stesso anno 1831 di Giura concludeva il suo soggiorno in Cina e, tornato in Italia, si ritirava a vivere a Chiaromonte (Potenza), sulle terre di famiglia e nel castelletto degli avi. Vi era nominato podestà e dopo la guerra vi era eletto sindaco.
Rimangono tanti interrogativi sul suo ritiro dalla scena pubblica con tutti i meriti acquisiti, le onorificenze e i riconoscimenti internazionali con cui era tornato. Al congedo definitivo era in età in cui la Marina Militare se ne poteva ancora più che utilmente servire per la sua professione e tutte le conoscenze specialistiche che possedeva; più che utilmente, addirittura con impellenti necessità, se ne poteva giovare il mondo accademico italiano, non diciamo qui di quello della medicina, ma di quello per il suo cinese, quando a Roma l’insegnamento di tale lingua languiva sia all’Università e sia all’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, fondato in quegli anni da Giuseppe Tucci e presieduto da Giovanni Gentile; non parliamo di Napoli, dove pure l’Istituto Orientale, erede dell’antico e prestigioso Collegio dei Cinesi, era nelle condizioni di insegnarne solo la lingua classica e con molte difficoltà di reperimento di docenti e lettori adeguati o in piene funzioni, e personalità come Tucci o Giovanni Vacca, che erano allora gli esponenti della sinologia ufficiale nostrana, si sarebbero ben potuti arricchire dell’apporto di di Giura. Sarebbero più che auspicabili puntigliose ricerche in proposito.
Di Giura moriva nel 1947 e, postume uscivano le sue maggiori opere di traduzione per massima cura del nipote Giovanni e delle edizioni Mondadori e alle quali deve tanto la conoscenza della letteratura cinese in Italia dal 1955 con I racconti fantastici di Liao (del 1955) e dal 1958 con Le famose concubine imperiali.
La domanda che viene spontanea: se ne è scritto e se ne scrive su di Giura in Cina?