IL DEBITO NON RISPARMIA LA CINA

IL DEBITO NON RISPARMIA LA CINA

Milano, 25 lug. - E' un po' come l'alta marea. Con periodicità quasi prevedibile il tema dell'eccesso di debito delle autorità locali cinesi torna a emergere, e a far spuntare titoli di giornale che gridano all'imminente apocalisse, per poi riportare il tutto nell'ombra fino a un nuovo allarme. L'ultimo episodio, però, ha messo in allarme analisti e operatori molto più che in passato. L'insuccesso dell'asta di titoli del ministero delle finanze destanti a reperire risorse per undici enti locali, verificatosi a inizio luglio, non ha precedenti in un mercato che finora era stato tenuto strettamente sotto controllo dalle autorità. Ovviamente, situazioni di tale genere sono tanto più preoccupanti, in quanto avvengono in un quadro di tensioni sui mercati del debito al livello mondiale già parecchio elevate, tra i problemi degli Usa e quelli dell'area Euro.

 

In Cina gli enti locali (province, contee e comuni) non emettono titoli di debito direttamente. E' il ministero delle finanze a effettuare emissioni destinate specificamente al loro finanziamento. Una riforma di questo meccanismo di finanziamento indiretto è da tempo in programma, con l'obiettivo di responsabilizzare maggiormente gli enti locali. Solo lo scorso giugno, la banca centrale aveva confermato in un comunicato ufficiale la necessità oltre che l'imminenza (sebbene senza chiarire la data) dell'avvio di emissioni dirette da parte dei governi locali.

 

Ma le cattive condizioni finanziarie di diversi enti e le recenti tensioni sul mercato stanno spingendo le autorità a procrastinare ancora una volta una misura che pure molti ritengono indispensabile di almeno un paio di anni. E' evidente le autorità di Pechino faranno di tutto per evitare che una serie di emittenti locali siano esposti a downgrade a ripetizione e a potenziali default, che potrebbero riflettersi sulla stabilità finanziaria dell'intero paese.

 

L'emissione di debito diretta è stata vista come uno strumento essenziale per responsabilizzare fiscalmente le amministrazioni locali e per superare il fenomeno delle Special Investment Companies, controllate da province e comuni e utilizzate per raccogliere risorse finanziarie per lo sviluppo di progetti infrastrutturali. Il problema dell'esplosione del debito locale trova le sue radici nella reazione alla recente grande crisi economica mondiale. Dalla fine del 2008, con il lancio di innumerevoli progetti di investimento infrastrutturale per contrastare la crisi, il governo centrale aveva incoraggiato l'emissione di bond da parte dei veicoli speciali per reperire fondi in aggiunta a quelli stanziati da Pechino. Questo canale di raccolta, però, è finito fuori controllo e in diversi casi gli investimenti realizzati si sono rivelati fallimentari. Molti dei veicoli sono finiti di fatto in situazione di insolvenza. Secondo alcuni analisti l'ammontare di debito a rischio default arriverebbe addirittura di 6 mila miliardi di yuan (poco meno di mille miliardi di dollari).

 

Le cifre che circolano circa l'effettiva consistenza del debito e del deficit locali cumulati sono comunque alquanto molto diverse tra di loro. Il National Audit Office il 27 giugno ha reso noto il risultato di un lavoro senza precedenti di analisi e valutazione della situazione dei bilanci degli enti locali. Secondo questo report, a fine 2010 il debito totale delle autorità locali ammontava a 10,7 migliaia di miliardi di yuan (metà dei quali accumulati dopo la crisi del 2008). Moody's negli scorsi giorni ha pubblicato uno studio secondo cui a tale cifra andrebbero aggiunti altre 3,5 migliaia di miliardi costituiti da prestiti effettuati direttamente dalle banche.

 

Ed è proprio la solidità del sistema bancario che rischia di essere la vittima illustre di questa crisi. Il principale investitore nel debito locale (sia i bond emessi dal ministero delle finanze sia quelli emessi dai veicoli speciali), sono infatti le banche. Il deterioramento della qualità del debito locale, quindi, si riflette fortemente sulla solidità del settore creditizio cinese. Non può quindi sorprendere che le aste di collocamento dei titoli comincino a traballare. Oltretutto le banche hanno anche visto aumentare a ripetizione e in misura significativa, come misura anti-inflazionistica, i coefficienti di riserva obbligatoria, riducendo quindi lo spazio per i portafogli titoli.
La soluzione del problema passa, senza dubbio da un intervento del governo centrale, i cui livelli di indebitamento sono contenuti, a sostegno di quelli locali, con un programma di accollo di una quota significativa del debito di questi ultimi. Tale misura però presenta importanti margini di rischio dal momento che, senza meccanismi di controllo stringenti delle decisioni di spesa a livello locale, l'intervento di risanamento del governo centrale  finirebbe con l'avere un ruolo di stimolo per comportamenti fiscalmente irresponsabili. Per questa ragione a Pechino sulla questione si ragiona ancora con estrema cautela.

 

Si avvicina però il momento in cui il lancio di un programma di salvataggio sarà non rinviabile, pena l'esplosione di una seria crisi dell'industria creditizia. Una delle misure discusse tra gli analisti consiste nell'acquisizione del dell'intero o di buona parte dello stock di debito delle Special Investment Companies, da parte di una policy bank, a sua volta finanziata per l'occasione dal ministero delle finanze.

 

Lo spazio per agire con determinazione c'è. Il susseguirsi di notizie positive sul fronte delle entrate fiscali (gli ultimi dati, relativi ai primi 5 mesi del 2011, parlano di imposte dirette in crescita del 35% sul 2010 indirette addirittura in aumento del 45%) e dell'andamento dei conti pubblici del governo, pongono le premesse per un'azione risoluta da parte di Pechino volta al risanamento dei bilanci degli enti locali e, quindi, delle banche. Inoltre, va tenuto presente che i 10,7 trilioni di debito locale corrispondono al 30% del Pil, che si va ad aggiungere al 20% del debito del governo centrale: al di là dei commenti estremi di alcuni analisti, è evidente che nel complesso l'indebitamento del governo cinese è ancora ben al di sotto di una soglia di allarme.
Il tema, in sostanza, è squisitamente politico. La gestione dei rapporti tra centro e periferia è da sempre in Cina una questione estremamente delicata e complessa. Ancora una volta, è su questo tavolo che si gioca una partita fondamentale per il futuro del paese.

 

di Lorenzo Stanca

 

Lorenzo Stanca, salernitano, 47 anni, tra i founding partners di Mandarin Capital Partner, il fondo di private italo-cinese che ha cominciato ad operare a fine 2007, Lorenzo Stanca vanta una carriera venticinquennale in istituzioni fianziarie di alto profilo.Precedentemente all'esperienza di Mandarin, Stanca era stato responsabile delle Strategie Operative al Sanpaolo Imi. Al Sanpaolo era arrivato nel settembre del 2005 proveniente dal gruppo UniCredito dove era stato Capo dell'ufficio studi e poi capo dell'area mercati in UniCredit Banca Mobiliare, la banca di investimento del gruppo, di cui era stato uno dei fondatori.
E' presidente dal 2006 del Gruppo Economisti di impresa, l'associazione italiana degli economisti che lavorano in azienda sia negli uffici studi che in altre posizioni. Lorenzo Stanca è autore di numerosi paper su riviste accademiche e co-autore di libri di economia e finanza (di recente è stato tra gli autori di "Cina: la conoscenza è un fattore di successo" e "L'elefante sul trampolino" pubblicati dall'Arel), oltre a pubblicare frequentemente articoli su riviste e giornali economici.

 

La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Lorenzo Stanca cura per AgiChina24 la rubrica di economia e finanza.

 

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