Milano, 01 ott. - Quant'è difficile essere ricchi e "buoni", soprattutto in Cina. Vorrebbe esserlo il celebre miliardario Chen Guangbiao, che in una lettera apparsa sul sito della sua azienda ha reso pubblico il desiderio di donare tutti i propri averi al momento della propria morte. Il messaggio era indirizzato a Bill Gates e Warren Buffett, promotori di una campagna rivolta ai Paperoni di tutto il mondo per invitarli a donare almeno il 50 per cento delle proprie ricchezze alla filantropia nel corso della propria vita o immediatamente dopo la morte. Alla fine di agosto Chen aveva inviato quasi un milione di renminbi destinati alle aree colpite dall'alluvione in Pakistan. Solo l'ultima delle sue "buone azioni": in un decennio, il multimiliardario cinese avrebbe donato più di 800 milioni di renminbi. E adesso, a metà settembre, Chen sarebbe riuscito, secondo il Quotidiano del Popolo, a convincere altri 100 ricconi cinesi a rispondere all'appello dei due americani. La pubblicazione della lettera di Chen Guangbiao risale al 6 settembre, ma è soprattutto dalla fine del mese che i commentatori cinesi dibattono sulla notizia, utilizzandola come pretesto per parlare di filantropia, ma anche dell'abisso che separa la minoranza dei ricchi cinesi dalla maggioranza del Paese.
Sull'ultimo numero del settimanale Shidai Zhoubao, Li Huafang – ricercatore presso l'Istituto di ricerca giuridico-finanziario di Shanghai – sottolinea come fare filantropia in Cina non sia affatto semplice. Ma prima di tutto ci tiene a specificare che, in materia di buone azioni, i cinesi non hanno nulla da imparare dagli americani: «Nell'era di Gates e Buffet, la tendenza dei ricchi a fare filantropia, un fenomeno che in Cina vanta una lunga tradizione, ci appare improvvisamente come una novità. Invece la benevolenza e la convinzione che la felicità collettiva valga di più della felicità del singolo hanno sempre fatto parte della tradizione cinese». I due miliardari americani, continua Li Huafang, «possono certamente impartire qualche lezione ai cinesi per quanto riguarda la gestione delle società filantropiche moderne, ma dal punto di vista dell'aspirazione a compiere buone azioni non hanno nulla da insegnarci».
Gli esempi per Li sono tanti: tra i più imponenti degli ultimi anni, l'ondata di donazioni giunta nel Sichuan in seguito al terremoto di Wenchuan. «In questo occasioni - continua Li - tutti i cinesi, poveri e ricchi, hanno mostrato un forte desiderio di contribuire economicamente. Quindi la vera domanda da porsi è: visto che tutti hanno una grande aspirazione a donare, che cosa impedisce loro di farlo?». Il ricercatore cita alcuni esempi di filantropi che, in tempi recenti, hanno provato a istituire fondazioni a scopo benefico, senza però mai riuscire a portare a termine il proprio progetto a causa di problemi burocratici. Per questo «nella Cina di oggi, fare donazioni è formalmente possibile, ma è di fatto quasi impraticabile. Perché fare donazioni dirette diventi più semplice, è necessario sciogliere alcuni nodi. La legge sulla filantropia, che è in itinere, potrebbe finalmente cambiare le cose». Ad esempio, sottolinea Li, dovrebbe «cancellare i limiti e i controlli che affliggono le società di servizio» e «approvare finalmente delle regole sulle donazioni di azioni e di redditi futuri». Più in generale, «per promuovere la trasformazione del settore della carità, bisogna rilassare le restrizioni su capitali e business».
Negli stessi giorni, Zhu Shugu, commentatore dello Huaxi Dushi Bao, parla del caso di Chen Guangbiao per discutere una questione ben diversa: il fenomeno dei "ricchi invisibili". «Il miliardario Chen Guangbiao - scrive Zhu il 24 settembre -, il primo cinese a promettere pubblicamente di donare i propri averi, ha dichiarato che, sebbene sia incluso nelle liste degli uomini più ricchi del mondo stilate da Forbes e Hurun, in realtà non è davvero un grande ricco, in Cina. I veri ricchi del Paese sono infatti i "ricchi invisibili"». Zhu riporta che, secondo Chen, i soldi contenuti nelle tasche dei ricchi invisibili cinesi sarebbero sufficienti per ricostruire da zero un'altra Pechino moderna, e che «il 20 per cento delle loro ricchezze basterebbero da sole a risolvere i problemi di cibo e disoccupazione di 40 milioni di poveri cinesi». Eppure, al contrario di quanto segnalava Li nel suo editoriale, Zhu sostiene che «quando la Cina ha dovuto affrontare disastri e calamità, questi ricchi invisibili non hanno mai donato un centesimo». Con l'espressione "ricchi invisibili", spiega l'editorialista, «si intendono gruppi di persone estremamente ricche che sfuggono però agli occhi dei media e del pubblico. Vanno e vengono senza lasciare traccia. Possiedono enormi fette della ricchezza nazionale, eppure non appaiono mai. E di fronte alla proposta di Chen Guangbiao e agli inviti di Buffet, rimangono impassibili».
Filantropia, dice Zhu, è una parola che questi miliardari "sotterranei" non riconoscono: «Non solo suona loro poco familiare, ma pensano anche che non li riguardi affatto. Al contrario dei ricchi "alla luce del sole", i ricchi invisibili sono molto misteriosi». Ma cosa li spinge a restare "sommersi"? «Che la Cina abbia tantissimi ricchi, di cui molti multimiliardari, e che una larga fetta della ricchezza nazionale sia nelle mani dello strato più abbiente della popolazione sono cose che tutti sanno» scrive Zhu. «Il fatto che esistano miliardari invisibili ci fa però capire che i ricchi cinesi inclusi nelle liste di Forbes sono soltanto la punta dell'iceberg». Eppure, si chiede il commentatore, in un Paese che oggi «protegge legalmente la proprietà privata e le ricchezze che provengono da lavoro onesto», perché esistono miliardari invisibili? La ragione sta ovviamente nelle modalità poco limpide con cui queste fortune sono state accumulate. Da una parte, «se le immani ricchezze segrete provengono da canali non troppo onesti», allora «soddisfare il desiderio di carità e ottenere il conseguente apprezzamento sociale potrebbe portare dei rischi ai miliardari invisibili, attirando controlli e indagini sui propri capitali». Così per molti diventa preferibile «seguire i consigli degli antichi di non mostrare le proprie ricchezze, conducendo una vita di basso profilo».
Inoltre, scrive Zhu, «secondo Chen Guangbiao, i ricchi invisibili non sono soltanto imprenditori e uomini d'affari». Il riferimento è ai «funzionari che hanno in mano il potere» e ai «casi di corruzione che vengono continuamente portati alla luce». I ricchi "invisibili" di ogni settore, conclude il commentatore, «sono il prodotto di un sistema che non è solido. Un sistema robusto si basa infatti sul controllo effettivo del potere. Se si ripulisse il sistema del potere, i ricchi invisibili non avrebbero più un posto dove nascondersi».
di Emma Lupano
Emma Lupano, giornalista professionista e dottoranda di ricerca sui media cinesi, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
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