di Adolfo Tamburello*
Napoli, 29 set.- Morto Yongle nel 1424, il figlio maggiore Zhu Gaozhi (1378-1425) salì al trono col nome di Hongxi (r. 1424-1425). Aveva maturato un’esperienza politica di anni in qualità di reggente mentre il padre si trovava impegnato nelle campagne militari e impresse al governo una svolta che si prospettava decisiva tenendo fra l’altro Nanchino con molti ruoli di prima capitale, ma morì a meno di un anno. Esimio letterato cresciuto sui classici, si occupò con senso di dovere degli affari interni, tentando di riconsolidare l’amministrazione civile dello Stato già in via di sfaldamento dalla morte di Hongwu e cercare di intervenire a favore delle classi urbane e rurali più in miseria.
Il figlio che gli successe col nome di Xuande (r. 1425-1435) era anche lui una figura di letterato, nonché di artista di vaglio, ma più erede forse delle qualità dell’avo che non del padre riconfermò capitale Pechino e si cimentò in imprese militari, lasciandosi forzare la mano nell’infausto intervento nel Vietnam contro la resistenza di Le Loi che gli costò la caduta sul campo di oltre 70 mila uomini. Finiva col riconoscere nel 1431 l’indipendenza del Jiaozhi sotto la sovranità della nuova dinastia Le.
L’evacuazione del Vietnam iniziata nel 1428 significava la rinuncia a una lunga facciata marittima indocinese, ma a dispetto della sua perdita, Xuande dava una prova di forza della permanente potenza Ming sui mari armando e inviando l’ultima prestigiosa spedizione navale di Zhenghe, che però si concludeva nel silenzio generale nel 1433.
Il dopo non era un ritiro della Cina dai mari. Col Giappone, dopo la sospensione dei rapporti voluta nel 1411 unilateralmente dallo shogun Yoshimochi, Xuande ristabiliva i fruttuosi interscambi dal 1432 e proseguiva i regolari rapporti biennali con le Ryukyu. Tese invece a diradare le missioni dall’area malese e indonesiana, le cui navi prendevano stanza in gran numero nei porti meridionali e le loro folte delegazioni raggiungevano ospiti Pechino più per ricevere doni che per versare congrui tributi.
Moderazione della precedente prodigalità di Yongle e degli eunuchi da lui mandati in missione per terre e per mare l’aveva iniziata già Hongxi anche sul fronte interno. Il grande storico statunitense John K. Fairbank ricordava: “le ambascerie oirat all’inizio del XV secolo contarono due o tremila membri, tra i quali parecchie centinaia di mercanti dell’Asia centrale. […] potevano consumare in un mese trecento capi di bestiame, tremila giare di vino e cento grandi staia di riso, oltre al pollame alla frutta al foraggio e altri generi alimentari, il tutto a spese del governo locale […]. Come tributo, gli oirat presentavano i loro prodotti tipici, ossia i cavalli e le pellicce. In cambio ricevevano i ‘doni di risposta’ dell’imperatore; […] una missione di tremila persone poteva comprendere 26.000 pezze di broccato d’oro, 90.000 pezze di seta ordinaria, oltre a calzature, cappelli e altri articoli di vestiario. Tra i doni più belli ci potevano essere coltelli pieghevoli, oggetti di arredamento per la casa e persino armi e vasi di rame […]; la Cina doveva però sopportare i loro atti di banditismo lungo la strada che andava dal confine alla capitale e la loro ubriachezza chiassosa nelle vie di Pechino…”.
I rapporti coi mongoli si guastavano sotto il successore Yingzong (Zhengtong, r.1436-1449) in seguito a precipitose riduzioni dei mercati e acquisti di cavalli, pellami e altre merci e, di più, col severo veto di vendere loro metalli e armi. I Ming pensavano di contenerne il bellicoso risveglio ora sotto la bandiera degli Oirati persino combattendoli, ma vedevano le proprie truppe battute nel 1449 nell’ingloriosa campagna di Tumubao con la cattura e la deportazione di Zhengtong preso prigioniero dell’oirat Esen Temur.
È stato detto che Esen, il riunificatore del momento, non era un Gengis Khan e si lasciò respingere nel 1453 dalle porte di Pechino cui era arrivato, concludendo una pace col nuovo imperatore e restituendo il “vecchio” su riscatto. Ma, tralasciando che morì l’anno dopo, neanche la sua controparte, il “nuovo” imperatore Jingtai (r. 1449-1456) era un Hongwu o uno Yongle, e la pace che concordava, oltre a essere onerosa e umiliante per la Cina, per di più effimera, significava la definitiva regressione dell’impero Ming nel più ristretto circuito della Muraglia interna (neichangcheng) eretta a ridosso di quegli anni.
Jingtai (r. 1449-1457) era fratello minore di Yinzhong e, fatto imperatore nell’occasione della cattura del fratello, rimase sul trono anche dopo che lui era stato rilasciato. Lo onorava di titoli equivalenti a un imperatore in pensione ma lo relegava a un domicilio coatto. La goccia che forse faceva traboccare il vaso era la revoca che Jingtai faceva del titolo di principe ereditario al figlio di Yinzhong a pro del proprio, che però moriva poco dopo. Soprattutto per sventare altre successioni collaterali, Yinzhong si decideva nel 1457 a una congiura di palazzo, riassumendo il trono col nome ironico di “Volontà del Cielo” (Tianshun, 1457-1464).
Il figlio che gli succedeva sedicenne, Zhu Jianshen (Chenghua, 1464-1487), fu per anni sotto l’alea della moglie, la quale aveva il doppio della sua età e che dopo la morte dell’unico figlio avuto dal consorte non si rassegnava a perdere il ruolo di effettiva “imperatrice madre”, costringendo all’aborto le varie concubine o facendole avvelenare o strangolare dai suoi fidati eunuchi.
Tornavano con lei al pettine in modo eclatante i nodi tradizionali e insoluti di cui soffriva la Cina dall’antichità e avrebbe continuato a soffrire.
A monte la causa prima erano i ginecei. La Cina aveva, diciamo, giuridicamente costumi monogami col diritto-dovere dell’unica moglie di farsi carico della maternità della prole che le concubine davano al proprio coniuge. Fra parentesi, i ginecei non erano solo imperiali, ma di principi, nobiltà e di quanti altri potessero permetterseli. Da qui il costante ed elevato incremento demografico degli strati più abbienti della popolazione, che, si potrebbe dire paradossalmente, rappresentavano la classe più “proletaria” della Cina. I pletorici assi ereditari di terre e beni tornavano presto a ridurre alla fame le masse dei sudditi. Al momento, i piccoli fondi voluti da Hongwu ripassavano in mano ai grandi possidenti, eunuchi compresi, e il ceto rurale era nuovamente trasformato in fittavoli e braccianti con estese categorie di servi e praticamente schiavi.
Intanto, gli eunuchi di corte erano tornati ad acquisire ruoli che esulavano dalla sola stretta sorveglianza delle donne dell’harem e dalla cura o soppressione della loro prole. Dubitiamo che dopo Hongwu crescesse, come lui voleva, qualche eunuco per questi soli compiti e lasciato incapace di leggere e scrivere. Fra l’altro, dal 1426 erano istituite per loro Alte Scuole con personale didattico fatto di membri dell’accademia Hanlin. Molti assumevano i comandi delle guardie di palazzo, i servizi d’ordine pubblico, di polizia e spionaggio, l’amministrazione dei lavori pubblici, le forniture interne, la gestione degli arsenali e delle manifatture imperiali, il controllo dei traffici interni ed esteri, i registri riservati dell’intero personale fonti preziose per estorsioni e ricatti. Pressoché unici ad avere libero e diretto accesso ai sovrani, di cui erano spesso i paterni tutori, detenevano le chiavi di un potere accresciuto dalle complicità con le imperatrici, le concubine e le loro famiglie. Infine, l’acquisizione già antica del diritto d’adozione li invitava a una crescente rapacità coi figli putativi eredi delle loro fortune e privilegi.
Nel generale stato di cose e la corruzione dilagante, all’interno del paese le condizioni di vita peggioravano rapidamente e originavano fenomeni di brigantaggio, sedizioni e sommosse come le rivolte di minatori e contadini fra il 1442 e il 1445 e delle popola¬zioni minoritarie della Cina sud-occidentale nel 1459. Nel mentre si susseguivano grandi calamità: l’Huai straripava nel 1452, il Fiume Giallo inondava vaste regioni nel 1456; nel 1472 grandi alluvioni sommer¬gevano le regioni del centro e del meridione colpite pure nel 1475 da epidemie.
Il decentramento della capitale a Pechino si faceva sentire con la sua lontananza mentre l’attenzione del governo rimaneva più puntata sulle frontiere che non sulla stabilità economica e politica del paese e in particolare del centro-sud che rimaneva il cuore economico della nazione. D’altra parte anche il Nord non viveva condizioni migliori, tanto che quando nel decennio 1482-91 inondazioni e carestie affliggevano pure il settentrione, erano vani i tentativi dei quadri migliori della burocrazia imperiale di coordinare interventi efficaci fra la disinformazione degli stessi sovrani e gli intrighi degli eunuchi e degli stessi alti burocrati.
29 SETTEMBRE 2015
* Nella foto l'imperatore Hongxi (16 agosto 1378 – 29 maggio 1425).
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
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