di Adolfo Tamburello*
Napoli, 30 giu.- Nel 9 d.C. Wang Mang, parente di un’imperatrice consorte e già fatto reggente e ‘vice-imperatore’, si impadroniva del trono fondando la dinastia Xin (la “Nuova”), la quale durava fino al 23 d.C.
L’idealizzata tradizione dei Chou - Wang Mang in persona reincarnava ai propri occhi il ‘Duca’ di Zhou - ispirava al sovrano una serie di riforme per le quali proclamava la proprietà demaniale della terra, aboliva la schiavitù privata, stabiliva il commercio statale dei cereali a prezzi imposti, assoggettava gli stipendi dei funzionari a variazioni annuali sulla base del reddito agrario, allungava la lista dei generi sotto monopolio, istituiva casse di prestito statali. Sarebbe stato chiamato, fra il serio e il faceto, il primo socialista al mondo.
Alle opposizioni e ai disordini che le riforme provocavano, seguivano carestie e calamità che spopolavano in specie il bacino del Fiume Giallo. Agghiaccianti i dati demografici: la cifra di circa 57 milioni di abitanti registrata nel 2 d.C. scendeva a quella di 21 milioni del 57 d.C., pur dopo un periodo più che trentennale di ripresa seguìto al regno di Wang Mang.
Wang Mang finiva nel 23 d.C. e trascinava con sé la caduta della sua effimera dinastia. Ne segnava il crollo l’insurrezione delle Sopracciglie Rosse, un movimento di rivolta non solo contadino, nel quale convergevano - come era avvenuto e sarebbe tornato ripetutamente a succedere nella storia cinese - sia le tendenze autonomistiche di singole aree regionali sia le sotterranee politiche di società segrete, espressioni di poteri economici e di organizzazioni religiose di massa di quello che sarebbe poi fatto rientrare nel cosiddetto taoismo ‘popolare’. Il movimento delle Sopracciglie Rosse, fra i primi forse informato a un’ideologia a sfondo messianico, finiva con l’essere presto manovrato dalle forze della restaurazione Han, al punto che i ribelli domati entravano nella nuova armata imperiale ampiamente gratificati di beneficî agrari.
Aveva così inizio un secondo impero Han, con la famiglia dei Liu nuovamente sul trono fino al 220 d.C. La storiografia lo avrebbe tramandato col nome di “Han Posteriori” o di “Han Orientali”, per il trasferimento della capitale da Chang’an a Luoyang, a causa della parziale distruzione della prima durante le sommosse.
L’alleggerita pressione demografica sofferta con la decimazione subìta dalla popolazione prima e durante le insurrezioni favoriva comprensibilmente la ripresa economica. L’affrancamento degli schiavi e la percen¬tuale di terre ridistribuite a coloni aumentava il reimpiego di manodopera nel settore agrario con vantaggio anche delle entrate fiscali. L’amministrazione centrale era ricostituita da una burocrazia informata ai valori del confucianesimo, sia pure nella riflessione in senso legalista già proposta da Xunzi e nella rielaborazione di Dong Zhongshu (179-104 a.C.). Il clima favorevole alla classicità si rifletteva attraverso la formalizzazione del culto di stato confuciano per il quale era tenuto presente l’antico rituale dei Zhou.
La floridità dell’erario spingeva a una rinnovata espansione dell’impero, la quale tornava a investire l’Asia centrale, grazie anche ai Xiongnu meridionali che si sottomettevano stanziandosi a difesa delle linee confinarie. Con i successi che arridevano nel deserto del Gobi e fino al bacino del Tarim al generale Ban Chao, questi completava nel 91 d.C. la conquista dell’Asia centrale e in qualità di “Protettore generale dei paesi occidentali” stabiliva la sede del comando a Kucha. Successive campagne gli valevano conquiste fino al Mar Caspio, con una sconfitta inferta all’impero Kushana. La Cina godeva di un dominio momentaneamente incontrastato e del controllo delle carovaniere della seta.
Nel 97 Ban Chao inviava in esplorazione attraverso la Parthia un ufficiale, Gan Ying, il quale arrivava fino al Golfo Persico, ma, pavido dell’ignoto e dei fantomatici pericoli che i Parti gli prospettavano, desisteva dal proseguire verso i territori orientali dell’impero romano, il Da Qin (“Grande Qin”), come i Cinesi allora lo conoscevano con nome di inusuale rispetto. La rinuncia toglieva alla Cina l’occasione di instaurare rapporti diretti con l’Occidente e di monopolizzare i commerci, in ispecie della seta, dal cui smercio gli intermediari centroasiatici continuavano a ricavare lauti profitti. I traffici tuttavia si allargavano con le carovane cinesi che si spingevano fin oltre il bacino del Tarim, ove si incontravano con i mercanti partici.
In direzione del Sud, il generale Ma Yuan ultimava la “pacificazione” della Cina meridionale e del Vietnam settentrionale, reprimendovi nel 43 una rivolta. Era quindi esplorato il sud della penisola indocinese anche per via di mare. Navigazioni raggiungevano l’India e Ceylon (l’odierno Shri Lanka). L’influenza della Cina arrivava all’Indonesia, dove affluivano merci come bronzi e ceramiche.
La situazione di prosperità dei secondi Han non durava a lungo. La politica imperiale registrava un ripiegamento fin dal 107 d.C., quando erano abbandonati per i costi delle guarnigioni gli avamposti nel bacino del Tarim. Nello stesso anno, i disordini scoppiati fra i Tibetani del Gansu accrescevano le difficoltà di un controllo armato delle regioni occidentali, mentre lungo le frontiere le difese cedevano con le deboli truppe mercenarie arruolate in sostituzione degli eserciti di leva divenuti troppo costosi. All’interno della Grande Muraglia, il depauperamento dell’agricoltura seguiva alla politica fondiaria che moltiplicava il numero dei grandi proprietari esenti da imposte. Il peso fiscale sui piccoli possidenti induceva nuovamente costoro all’alienazione o all’abbandono delle terre, con ripresi esodi verso il Sud, arruolamenti nell’esercito o attrazioni verso il banditismo o gli stessi movimenti di rivolta fomentati dalle sette segrete. A corte si succedevano imperatori in età minore, mentre fazioni e cricche fra gli alti ranghi della burocrazia, generali, parenti di imperatrici e favorite tornavano a monopolizzare cariche e privilegi ereditari. Gli eunuchi godevano dal 135 d.C. del diritto dell’adozione e della trasmissione di beni e titoli. Il loro strapotere provocava la reazione di un gruppo di alti burocrati, i quali, facendo leva sulla piccola burocrazia e i candidati al funzionariato, ordivano una congiura per spodestarli. Gli eunuchi la sventavano, incarcerando e massacrando, fra il 166 ed il 170, migliaia di persone coinvolte o sospettate. La repressione provocava l’intervento di alti ufficiali, i quali, nel 189, dirigendo i propri eserciti sulla capitale, sterminavano in massa gli eunuchi e mettevano a sacco il palazzo imperiale e la città.
Intanto, le sette dei Turbanti Gialli e delle Cinque Misure di Riso guidavano dal 184 sommosse nel Sichuan e nelle regioni orientali. Sanguinose rivolte dilagavano su tutta la Cina ed erano sedate solo dall’intervento delle armate provinciali. Il regime militare che ne seguiva, con il generale Dong Zhuo che nel 189 prendeva e saccheggiava Luoyang, esautorava la dinastia fra le lotte sanguinose di capi militari che fi¬nivano col disgregare l’impero in stati regionali.
*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.
30 giugno 2014
@Riproduzione riservata