Esperto di geopolitica e autore del "Mutamento del sistema mondo" ilprimo, e professore di geopolitica presso l'universita' Cattolica delSacro Cuore di Brescia il secondo

Pechino, 23 dic. - Kim Jong-il è morto lasciando il Paese che ha governato per 17 anni nelle mani del figlio Kim Jong-un. Sebbene sia stato designato erede due anni fa, sono in molti a ritenere che il "Grande Successore" non sia all'altezza del padre. E' lecito ipotizzare un indebolimento del potere di Pyongyang?
Parenti: Al momento le dichiarazioni ufficiali non fanno trapelare alcunché sulle possibili frizioni e conflittualità interne all'establishment nordcoreano. Le ipotesi esistenti si basano su ricostruzioni che in genere sono approssimative. Per di più, Kim Jong-il aveva preparato da tempo la successione, e aveva lavorato per rinforzare anche il ruolo del cognato (Chang Suang-Taek), promosso a capo della Commissione nazionale di Difesa. Una manovra che, insieme ad altre, può essere interpretata come l'esplicito rafforzamento di un clan familiare, fedele all'ex leader, in grado di proteggere e garantire la non semplice transizione al potere. Il figlio prediletto del 'Caro leader' ha sicuramente poca esperienza e ancora una scarsa notorietà tra i suoi concittadini, per prendere subito in mano le redini del Paese. A mio avviso il passaggio di consegne non avverrà nell'immediato, ma avverrà con gradualità, come accaduto in passato. Difficile, tuttavia, azzardare previsioni. Secondo Maurizio Scaini, professore di Geografia economico-politica, "se cambiamenti dovessero arrivare, arriveranno dall'esercito, e ciò significherebbe mettere fine a un regime le cui fondamenta si basano sulla vicenda familiare dei Kim. Sarebbe come immaginare lo stalinismo senza Stalin o il nazismo senza Hitler, o il maoismo senza Mao… Si tratterebbe di cambiare tutto: programmi scolastici, riscrivere la storia del Paese dell'ultimo secolo, rivedere le cariche politiche ed economiche, inventare una nuova iconografia. Sinceramente - continua Scaini - la vedo una strada difficile, che non converrebbe nemmeno alle èlite rivali dei Kim".
Goldkorn: E' indubbio che il 'Grande Successore' non sia all'altezza del padre, per un motivo molto semplice: quando un giovane leader autoritario arriva al potere senza aver combattuto, difficilmente può dimostrare alla classe dirigente, e soprattutto alla popolazione, di essere in grado di gestirlo. Kim Jong-Un è stato designato all'interno di una ristretta cerchia di persone (i familiari e forse qualche militare che poteva aspirare a tale carica) - ma non di più. Perché allora cambiare un leader che si può manovrare? Una persona debole può essere pilotata, e il regime dà prova di reggersi su questi meccanismi. In fondo le tecniche per eliminare un leader sono infinite. Che la presenza di un leader 'debole' possa innescare un indebolimento della Corea de Nord, è indubbio; in assenza di un leader forte che riesce a tenere saldo il potere, che non gode di prestigio e rispetto da parte della popolazione, il sistema interno potrebbe incrinarsi.
A Pechino, e non solo, interessa preservare la stabilità della penisola coreana. Un indebolimento eventuale di Pyongyang potrebbe spianare la strada a Seul verso la riconquista della penisola coreana?
Goldkorn: Non credo che nel prossimo futuro sia realistico immaginare la riunificazione del Paese. Alla Corea del Sud la riunificazione non conviene. Quale potrebbe essere oggi l'interesse di Seul o la dimensione strategica di una eventuale unione? La risposta è semplice: nessuna! In una prospettiva di riunificazione, la Corea del Sud, pur essendo una potenza economica mondiale con enormi capacità industriali e commerciali, dovrebbe accollarsi i costi di mantenimento della popolazione nord-coreana ridotta alla fame. Ricordiamo l'esempio della riunificazione della Germania che è costato moltissimo alla Germania occidentale. In altre parole, i costi dell'operazione che Seul dovrebbe pagare sarebbero troppi alti, e in questo momento appaiono ingiustificabili. Mentre sul versante politico sussiste il sogno della riunificazione della Penisola Coreana, sul versante economico soggiungono problemi di altra natura. I sudcoreani sono disposti a perdere parte del loro benessere a favore dei fratelli nordcoreani? Non solo, ma c'è anche da chiedersi se la popolazione sudcoreana aspiri a riunificazione veloce, oppure se sia realistico ipotizzare un lento, ma progressivo, cambio di regime in Corea del Nord, così da rendere meno traumatico un accordo tra le due Coree.
La riunificazione non conviene neppure alla Cina: l'eventualità di un Paese unificato, nazionalista, caratterizzato da forte crescita economica, a ridosso della potenza cinese, potrebbe diventare non sostenibile sotto il profilo strategico. E non conviene al Giappone, anche se sul versante opposto.
Forse potrebbe convenire agli Usa: però Washington, sebbene sia un attore rilevante nell'aerea, non è coinvolto tanto quanto lo sono Tokyo, Pechino e Seul.
Dal regime, ovviamente, non trapela nulla tanto che gli stessi Stati Uniti hanno appreso della morte del 'caro leader' solo lunedì, nonostante il loro sofisticato apparato di intelligence. La stessa Pechino, alleata di Pyongyang, si è detta all'oscuro di cosa stia succedendo nelle ultime ore in Corea del Nord e "preoccupata". Giovanni Andornino su AgiChina24 ha scritto che "sbaglia chi ritiene Pechino in controllo della situazione". Quali rapporti legano la Repubblica popolare al regime nordcoreano e che influenza ha Pechino sulla leadership coreana?
Parenti: I rapporti tra Pechino e Pyongyang sono anzitutto diplomatici, politici e strategici, prima che economici. Rapporti, tuttavia, né semplici, né lineari. Il nazionalismo è infatti forte in entrambi i Paesi, e la Corea del Nord non si fa dettare le regole neanche da Pechino. Se ci sarà continuità nel sistema nordcoreano, Pechino potrà esercitare l'influenza di sempre che, seppur indebolita negli ultimi anni, e con il blocco dei colloqui a sei, è l'unica che ha realmente attecchito (ottenendo aperture formali sull'invio di ispettori internazionali e ridimensionamento del programma nucleare nel 2007). Lo scenario rimane, però, complesso: tutti gli stati coinvolti nei negoziati a sei sono in competizione tra loro, benché con modalità e intensità variabili, e nessuno desidera l'instabilità nella penisola coreana. Cina, Stati uniti, Corea del Sud e Giappone vanno incontro a un 2012 di elezioni, altro motivo per cui è bene evitare manovre destabilizzanti sulla Corea del Nord. Ma non si può escludere che strateghi e consiglieri presidenziali la possano pensare diversamente.
Goldkorn: Sul versante politico, concordo con l'analisi di Andornino. Sul versante economico, invece, l'influenza è totale: Pechino è determinante per la sopravvivenza del regime di Pyongyang. Su un paese come la Corea del Nord, povero e a rischio di fratture sociali, il controllo che può esercitare la Cina, che garantisce a Pyongyang fornitura di energia elettrica e di generi alimentari, è pressoché totale. Nel momento in cui la Cina dovesse interrompere gli aiuti alla Corea del Nord, il Paese rischierebbe se non l'implosione, sicuramente il collasso sociale o addirittura un disastro umanitario. Ma attenzione: che la Cina dichiari di essere preoccupata, non vuol dire che lo sia effettivamente. I timori mostrati da Pechino costituiscono un modo per porre sul tavolo della trattativa Giappone e Usa in primis sul futuro della Corea del Nord.
La Corea del Nord è talmente fuori dal contesto internazionale e versa in condizioni di arretratezza economica talmente gravi, che difficilmente gli Stati confinanti desiderano assumersi direttamente gli oneri del problema. Credo sia prevedibile, se non auspicabile, che Usa, Cina, Giappone e Russia sia siedano a un tavolo per stabilire che tipo di processo politico si potrebbe innescare, attraverso pressioni non di carattere politico – non tramite appelli alla democratizzazione dell'area o invio di truppe - ma attraverso il bastone e la carota degli aiuti umanitari.
E' quindi ottimista rispetto a una possibile e graduale apertura di Pyongyang nel dopo Kim Jong-il?
Goldkorn: L'apertura è fondamentale per il regime nord-coreano. Se il Paese non si apre, quanto potrà resistere? Questo è sicuramente un tema caldo ai vertici di Pyongyang. Se da un lato è vero che la Corea del Nord resiste da diversi decenni, oggi il mondo è cambiato, così come è cambiata la disponibilità delle risorse e gli interessi degli Stati nella regione. Ogni cambiamento esterno alla Corea del Nord incide sugli equilibri interni, e Pyongyang vive di aiuti esterni. Nulla di diverso rispetto a quanto accaduto finora. Il problema è che il successore dovrà vedersela con fazioni interne al regime che potrebbero pensarla diversamente.
Il regime nordcoreano trova un forte alleato in Pechino che ha tutto l'interesse nel proteggere il difficile vicino e preservare lo stato cuscinetto che la separa dalla Corea del Sud e, di conseguenza, dagli alleati americani di Seul.
Parenti: Condivido questa interpretazione, che si spiega in gran parte con la competizione esistente tra Cina e Stati uniti, ma anche con le ragioni dell'orgoglio nazionale cinese e sudcoreano. Che è profondamente anticoloniale e contrario a ogni interferenza straniera in grado di ledere la loro autonomia. Ma Pechino, che ha un più alto profilo internazionale da preservare, a volte si trova in difficoltà a giustificare l'alleato coreano. Per capire alcuni eccessi militari di Pyongyang, è bene ricordare che la Corea del Nord è in stato di guerra permanente da decenni, dopo aver subito un vero e proprio sterminio nel periodo più caldo della guerra fredda. Secondo il generale statunitense Curtis Lemay, nel giro di tre anni le forze armate statunitensi avrebbero ucciso il 20% della popolazione nordcoreana, che all'epoca contava tra gli 8 e 9 milioni di persone. Una proporzione enorme se si considera che durante la seconda guerra mondiale il Regno Unito ha perso lo 0,94% della sua popolazione, la Francia l'1,35% e gli Usa lo 0,32%. Quindi, se la Cina ha subito l'umiliazione della lunga dominazione da parte potenze occidentali tra la metà del XIX e la prima parte del XX secolo, la Corea del Nord è reduce da una devastante distruzione di massa causata da lunghi e pesantissimi bombardamenti. Anche queste considerazioni sono utili per capire le convergenze storiche tra Pechino e Pyongyang.
Goldkorn: La Cina avrebbe tutto l'interesse a preservare uno 'stato cuscinetto', ma non è detto che possa permettersi uno stato cuscinetto debole come il regime nordcoreano di oggi. Per "debole" non intendo dire che sia innocuo, ma che non è un interlocutore prevedibile. E ciò potrebbe rivelarsi più un problema che un vantaggio. Per questo ritengo che forse la Cina abbia l'interesse a condizionare il regime interno, mirando a un lento passaggio di consegne da un sistema autoritario a uno più democratico sotto la sua guida.
Disarmo nucleare: qual è il futuro dei colloqui a sei?
Parenti: Com'è noto, dopo l'interruzione avvenuta di fatto nel 2009, i colloqui a sei avevano recentemente riacquistato credito tra le potenze coinvolte. Tuttavia, nella migliore delle ipotesi, la transizione che si apre a Pyongyang rallenterà il metodo multilaterale messo in piedi da Pechino, e al quale comunque non rinuncerà facilmente.
Goldkorn: Non abbiamo molti elementi per stabilirlo. La strada è una sola: arriveranno gli aiuti economici nel momento in cui, come avvenuto in tutte le parti del mondo, la Corea del Nord aprirà gli impianti agli ispettori. Questa, però, è una soluzione che la Cina vuole evitare perché agli 'aiuti internazionali' corrisponde un'americanizzazione di Pyongyang . Pechino preferisce esportare il suo modello economico. Il Modello Cina - un'economia di stato a partito unico ma semi-capitalista - rappresenta per Corea del Nord un prototipo che potrebbe essere adottato nel futuro.
La settimana scorsa, prima della morte di Kim Jong-il, Pyongyang aveva all'improvviso annunciato il blocco programma nucleare all'uranio che per anni ha ostacolato i colloqui a sei.
Goldkorn: La rinuncia a un programma nucleare è sempre motivo di apertura nei confronti della comunità internazionale, ed è la notizia che in genere apre alle trattative per ricevere fondi in cambio di uno pseudo-controllo sull'attività nucleare. La comunità internazionale si divide sempre sul reale pericolo nucleare della Corea del Nord, che a mio avviso non costituisce un pericolo diretto, quanto come possibile venditore di tecnologia nucleare verso altri paesi. Il vero pericolo sicurezza riguarda l'armamento convenzionale, un problema reale nei confronti di Seul, che è a una distanza piuttosto breve dal confine nord-coreano, confine che si trova su posizioni tattico-strategiche dominanti sulla pianura dove si colloca Seul.
La Corea del Nord è un ottimo costruttore di missili a corto e medio raggio, che ha venduto in giro per il mondo per anni (tecnologia tedesca passata attraverso i sovietici e finita in Corea del Nord). Questo costituisce il vero problema della sicurezza internazionale rispetto al regime di Pyongyang.
Il problema nucleare è solo un pretesto per sedersi attorno a un tavolo e discutere di altro.
Una decisione come quella annunciata una settimana prima della morte di un leader carismatico, può avere solo due significati: o esiste un nuovo leader fortissimo, che è in grado di dettare una nuova linea – ipotesi da escludere visto che la decisione è stata annunciata prima della scomparsa del 'Caro Leader'-; oppure all'interno del regime regna una situazione di caos totale. Una decisione così importante, che riapre i colloqui e quindi l'accesso alle relazioni internazionali, che viene resa nota una settimana prima del decesso, non si spiega se non in presenza di qualcosa che non va. Se fosse stato l'erede, Kim Jong-Un, a rilasciare questa dichiarazione con lo stesso tempismo, allora il messaggio sarebbe stato diverso.
Sarebbe stato un segnale di forza e di autorita'.
Goldkorn: Esatto, come a dire: "Non vi preoccupare, adesso ho in mano le redini del Paese, e lo annuncio al mondo" .
di Sonia Montrella e Alessandra Spalletta
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