Milano, 20 mag.- Saranno oltre 900 milioni i cinesi chiamati a votare a livello di contea e 600 milioni quelli chiamati ai seggi a livello di città in occasione delle elezioni per la selezione dei rappresentanti che, come previsto dal sistema cinese, sceglieranno in forma indiretta i componenti della nuova Assemblea nazionale del popolo, nel marzo del 2013. Le votazioni (che si svolgono ogni 5 anni) si terranno a partire dal primo luglio, ma i lavori di preparazione sono cominciati il 9 maggio.
Come scrive il 10 maggio l'agenzia di stampa Xinhua, varie sono le novità prevista dalla revisione della legge elettorale - approvata nel 2010 dalla stessa Assemblea - che sarà applicata per la prima volta in questa tornata: la più importante è che per la prima volta gli eletti dai residenti urbani e rurali rappresenteranno la stessa quota di popolazione. Fino ad ora, infatti, ciascun eletto in area rurale rappresentava una popolazione quattro volte maggiore di quella degli eletti in area urbana, rendendo così di fatto ultra rappresentate, nel "parlamento" cinese, le istanze delle zone cittadine.
Nonostante l'inizio dei preparativi elettorali, e nonostante le novità in vigore da quest'anno (tra cui anche la creazione di aree riservate per il voto, al fine di proteggere la privacy degli elettori, e l'aumento della proporzione, tra i candidati, di «lavoratori, contadini e intellettuali», come sottolinea la Xinhua), poche sono state finora le testate che hanno dedicato spazio all'avvenimento.
Se ne lamenta Jian Sujing, editorialista dello Huanqiu Shibao, quotidiano del gruppo del Renmin Ribao con simpatie nazionaliste, cogliendo l'occasione per puntare il dito contro quanti - intellettuali, attivisti politici, blogger, giornalisti e cinesi "liberali" non meglio specificati - invocano la democrazia, ma poi non si impegnano quotidianamente e su piccola scala per costruirla.
«Le elezioni dei rappresentanti dell'Assemblea nazionale del popolo a livello di contea e di villaggio sono è un avvenimento molto importante nella vita costituzionale del nostro paese - esordisce Jian -, ma i media cinesi hanno scritto ben poco sull'argomento. Ancora più stupefacente è il fatto che persino i nuovi media che godono di un maggiore livello di libertà, come i microblog e i bbs, hanno prestato poca attenzione all'evento: un atteggiamento in netto contrasto con le tendenze dominanti dell'opinione pubblica in rete, spesso percorsa da appelli alla democratizzazione della Cina».
Secondo Jian, lo scarso interesse riposto da queste persone nelle elezioni di base è la spia di un paradosso insito nell'opinione pubblica cinese: «Molti invocano la democrazia a livello ideale, ma pochi si dedicano all'esercizio della democrazia a livello di base».
Il commentatore, originario di una piccola conta nel sud della Cina, racconta che, ad ogni suo ritorno nel paese di provenienza, sente pronunciare molti discorsi su ciò che non funziona e su casi di malgoverno «che lasciano a bocca aperta». Questo lo ha convinto che in Cina «la democrazia sta avanzando con fatica e che sarà necessario in processo lungo, fatto di molto impegno, di caos e anche di sofferenze, per creare un ambiente realmente democratico per 1,3 miliardi di persone, per fare emergere candidati di alto livello, per vigilare efficacemente sulle elezioni e per fissare i principi e le regole della democrazia». Per un processo simile, continua Jian, «probabilmente saranno necessari meno dei 300 anni impiegati dall'Occidente, ma di certo 30 anni sono un periodo troppo breve per pretendere di percorrere una strada così impegnativa».
Oltre a una buona scorta di tempo e di pazienza, la Cina ha bisogno anche di élites filodemocratiche che sappiano dialogare e operare a livello di base. «Purtroppo - segnala Jian - queste élites al momento sono insufficienti, sia dal punto di vista numerico che da quello qualitativo. La maggior parte di queste persone sono infatti attive soltanto in grandi città come Pechino e Shanghai e, quando occasionalmente si recano in aree meno centrali, non ci rimangono un tempo neanche lontanamente paragonabile ai lunghi periodi che trascorrono all'estero». Eppure sempre più persone hanno capito che «la Cina non può adottare il modello occidentale tout court, e che non esistono nemmeno altri modelli che la Cina possa copiare automaticamente».
Come insegna il pragmatismo di denghiana memoria, per il commentatore dello Huanqiu shibao «dovremmo occuparci meno degli "ismi" e discutere piuttosto di come promuovere la democrazia nella pratica, con piccoli passi, e di quale sia il tipo di democrazia migliore per la Cina e di come ciascuno debba comportarsi per raggiungerla». Inoltre, suggerisce Jian, «dovremmo porre fine alla nostra abitudine di dire sempre "il governo dovrebbe fare questo e quest'altro", "le persone dovrebbero fare così e così", perché queste critiche, oltre a mettere pressione sull'opinione pubblica cinese, non sono altro che una maniera per le nostre responsabilità individuali».
È nell'impegno e nella vita di tutti i giorni - nelle piccole cose - che la democrazia deve germogliare: «I cinesi devono maturare una consapevolezza comune sul fatto che la democrazia non è qualcosa che riesce al primo tentativo, ma che è necessario un processo lungo e faticoso per ottenerla; e che per realizzarla non basta gridare e fare appelli di principio, ma bisogna procedere in modo graduale. La democrazia non è un miraggio lontano: cresce nei comportamenti di ogni persona di fronte alle questioni di ogni giorno. La democrazia, per dirsi davvero raggiunta, deve diventare parte integrante della vita quotidiana delle persone. E richiede l'impegno incessante da parte di tutti».
di Emma Lupano
Emma Lupano, giornalista professionista e dottoranda di ricerca sui media cinesi, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
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