ECONOMIA CINESE RALLENTA, MA ASPETTIAMOCI SORPRESE

Milano, 19 gen. - Scorrono brividi profondi a pensare, che il mondo guarda con apprensione alle difficoltà di una Cina che nell'ultimo trimestre del 2011 ha registrato una crescita del PIL dell'8,9% anziché a due cifre. Quanto lontana è la recessione in cui si trova ormai l'Europa e quanto piccoli devono apparire agli occhi del Governo di Pechino gli sforzi dell'Italia volti a cercare di individuare investimenti e condizioni di contesto in grado di innescare una crescita anche debolmente positiva.
È anche per queste ragioni che tutti speriamo in un buon 2012 della Cina. Sono ormai in molti coloro, che quasi inconsciamente vedono nella Cina una delle poche speranze per l'uscita dal tunnel della crisi; in particolare, taluni considerano la crescita del Dragone come fondamentale per sostenere le esportazioni dei prodotti occidentali; altri confidano in investimenti cinesi (in infrastrutture e aziende), che permetterebbero di risollevare, almeno in parte, le sorti di un contesto, come quello italiano, vittima di un deficit ormai cronico di liquidità e/o capacità di investimento.
Credo tuttavia che ancora una volta la Cina ci sorprenderà. Sono, in particolare, convinto che il Governo di Pechino sarà estremamente cauto ad intervenire in Europa per ridurre il rischio-Paese di Stati in difficoltà. Troppo rischiose e poco coerenti con la storia del Partito Comunista cinese – poco incline, almeno fino ad oggi, ad adottare iniziative di politica estera che interferiscono con le azioni dei Governi locali - sarebbero operazioni di acquisizione di titoli pubblici di Stati europei o operazioni di investimento inerenti la partita delle grandi infrastrutture. Se necessario, la Cina si muoverà solo dietro logiche di convenienza diretta; ovvero, a fronte di aiuti economici: il riconoscimento dello status di economia di libero mercato o l'acquisizione di know how ritenuto rilevante per sostenere il cambio di paradigma industriale verso una prospettiva sempre più orientata all'innovazione, così come sancito nel XII Piano Quinquennale.
Molto più decisi saranno invece gli sforzi del Governo di Pechino per mantenere la crescita del PIL superiore all'8%, ritenuto dai più come il limite minimo di crescita in grado di garantire all'economia cinese di far fronte al costante aumento della domanda di lavoro proveniente dai nuovi laureati e dagli immigrati, che dalle campagne si dirigono verso i grandi centri urbani. Questi sforzi non si concentreranno, a mio avviso, su politiche monetarie espansive, in quanto rischierebbero di alimentare nuovamente i due fronti caldi che, a fatica, il Partito è riuscito a contenere nel 2011: ovvero la crescita dell'inflazione e dei prezzi nel settore immobiliare.
Molto più saggiamente riguarderanno altri tre aree di intervento. In primo luogo, il Renminbi: dovrà proseguire il lento processo di rivalutazione intrapreso al fine di garantire condizioni sempre più vantaggiose sul fronte delle importazioni (anche a parziale discapito della competitività delle imprese locali sul fronte dell'export). Così come avvenuto nell'anno appena trascorso, sarà fondamentale il sostegno volto a favorire la crescita della domanda interna: è questo un obiettivo imprescindibile sia per ridurre il peso eccessivo della componente degli investimenti sul PIL che per disaccoppiare, almeno in parte, il destino del Dragone rispetto a quello delle economie occidentali in difficoltà. Giocherà, infine, un ruolo cruciale la capacità del governo di Pechino di creare nuove rotte commerciali rispetto a quelle tradizionali; in altre parole, un pò meno merci che dal Dragone prendono la via dei mercati del G7 e sempre più scambi nel sud-est asiatico e con gli altri paesi emergenti. Sono da interpretare proprio in questa prospettiva gli accordi intrapresi in ambito ASEAN per instaurare una sorta di mercato unico asiatico e gli accordi bilaterali con Brasile e Giappone, dove le transazioni potranno avvenire in Renminbi – così da proseguire il percorso verso la convertibilità della valuta cinese.
Sono insomma fermamente convinto che non sia assolutamente necessario fornire all'economia cinese uno scossone quale quello del 2008, ove furono immessi nel sistema oltre 550 miliardi di dollari di investimenti. Del resto, si assiste in Cina ad una riduzione estremamente graduale del ritmo di crescita del PIL (+9,7% nel primo trimestre, +9,6% e +9,1% rispettivamente nel secondo e terzo trimestre): condizione, questa, in fondo auspicata dal Politburo che anche nel recente passato si era dimostrato estremamente preoccupato dall'eventuale surriscaldamento dell'economia cinese.
Nell'anno del Dragone, l'ex Impero di Mezzo può guardare con relativa serenità al proprio futuro se avrà la forza e il coraggio di proseguire pazientemente nella direzione già tracciata di rafforzamento della valuta e sostegno della domanda interna. Naturalmente, con tempi e ritmi cinesi e non alle condizioni dettate dai paesi occidentali, che in questo momento hanno peraltro davvero un limitato potere negoziale nei confronti di un Paese, che si è rivelato fino ad oggi relativamente impermeabile ai venti di crisi che si respirano nel mondo.
di Giuliano Noci
Il Professor Giuliano Noci è prorettore del Polo Territoriale cinese Politecnico di Milano.
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