Il 2017 è stato l’anno il cui secondo semestre ha segnato la perdita di due elementi di spicco della sinologia italiana: Annamaria Palermo dell’Orientale di Napoli, deceduta il 22 luglio, e Mario Sabattini della Ca’ Foscari di Venezia, deceduto il 20 dicembre.
Palermo, formatasi all’Orientale, allieva prima di Martin Benedikter (1908-1969) poi di Piero Corradini (1933-2006), successivamente con borsa di studio a Parigi, intraprese al ritorno i primi passi dell’insegnamento generale di Lingua e letteratura cinese per poi passare a quello ben più congeniale per lei di Letteratura cinese moderna e contemporanea, disciplina di cui è stata professore associato dal 1980 al 2010, quando è entrata in prepensionamento per assumere la direzione dell’Istituto Confucio presso l’Ateneo napoletano. In tale qualità e quella di consulente per la Cina della Regione Campania, Palermo ha quindi svolto a Napoli, sua città natale, anche un’intensa attività promozionale di studi e ricerche con mostre ed eventi di gran successo quali la serie di MilleeunaCina.
Sabattini fu allievo a Roma di Lionello Lanciotti (1925-2015) poi con lui dal 1970 all’Università di Venezia e ben oltre l’ordinariato in Lingua e letteratura cinese. Inizialmente insegnava Storia della Cina e Storia politica e delle istituzioni dell’Oriente; in quest’ambito si muoveva ancora nel 1972 quando pubblicava per Ubaldini I movimenti politici della Cina nella collana Astrolabio-Ubaldini sui “Movimenti politici del Terzo Mondo” curata da Lanciotti. Un campo di suoi studi collaterale e di continuato approfondimento era in ambiti di estetica cinese e crocianesimo in Cina nel Novecento, benché non abbandonasse mai gli studi storici e storico-politici, pubblicando ancora nel 1986 in collaborazione con Paolo Santangelo il manuale della Laterza Storia della Cina. Dalle origini alla fondazione della Repubblica.
Un periodo travagliato
Vissero sia Palermo sia Sabattini da studenti e giovani laureati il periodo travagliato dell’assenza di rapporti diretti dell’Italia con la Cina Popolare quando questa non era ancora entrata a far parte dell’ONU ed era disconosciuta dal Governo italiano. La situazione politica era causa di un lungo stallo alla formazione di un cospicuo corpo docente sinologico parlante correntemente la lingua (in particolare il “dialetto” di Pechino), o affiancato da lettori e giovani elementi preparati, se non direttamente presso le Università della Cina Popolare, almeno di quelle di Taiwan o Hong Kong, ma le dotazioni finanziarie degli Atenei non consentivano impegni a copertura di spese tanto ingenti. Alcuni elementi erano dirottati in Giappone, con cui gli scambi culturali erano ben stabiliti ed efficaci e ove gli studi sinologici erano certo all’avanguardia, ma i pochi laureati o laureandi di cinese che gli si inviavano andavano il più delle volte perduti alla sinologia improntata al moderno e al contemporaneo a vantaggio degli studi giapponesi o sempre di quelli classici sulla Cina.
Fu iniziativa della generazione docente di Benedikter, Bertuccioli, Lanciotti, e ancora di quella di Corradini, prodigarsi per i propri laureati a farsi aprire le porte di Università di paesi europei che avevano più regolari relazioni con la Repubblica Popolare cinese ed erano attrezzate di personale docente e di lettorati, nonché di strutture librarie e strumenti didattici e di ricerca (microfilm soprattutto) per una specialistica pure sulla Cina del Novecento. Fu così che i nostri giovani più promettenti potevano formarsi come studiosi presso varie istituzioni accademiche europee.
Dopo l’apertura delle relazioni ufficiali nel 1970 e i primi scambi culturali fra i due paesi culminati con l’accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnica del 1978 si moltiplicavano per laureandi e laureati le possibilità di brevi e lunghi soggiorni formativi e di ricerca in Cina, e ne cominciavano subito a usufruire pure i nostri docenti e loro allievi.
La Cina Popolare viveva il periodo della riforma della scrittura con l’abbreviazione dei caratteri e quello della traslitterazione della loro pronuncia secondo il nuovo sistema pinyin. Gli unici insegnamenti allora in Italia di cinese moderno erano stati istituiti a Roma su iniziativa di Giuseppe Tucci (1894-1984) in qualità di presidente dell’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO) con la rifondazione postbellica dei Corsi triennali di Lingue e culture orientali; tali corsi erano stati poi attivati anche a Milano presso la sezione lombarda dell’IsMEO. A Roma li avrebbe diretti per molti anni lo stesso Sabattini in successione a Lanciotti. Da tali corsi uscivano diplomati ferrati nel cinese scritto e parlato, e anche alcuni di loro ben si qualificavano nella ricerca e nella traduzione di opere di autori del Novecento, portate finalmente dal cinese e non da lingue europee come l’inglese, il tedesco o il francese. Molti diventavano perfino validi interpreti, e le stesse Università se ne giovavano ampiamente per insegnamenti e collaborazioni: pensiamo ai casi più famosi di Filippo Coccia, Edoarda Masi, Anna Bujatti.
Tre grandi scuole
Negli atenei di Roma e Napoli si era continuato a insegnare il cinese classico; erano i due unici centri sinologici universitari in Italia, fino a quando Lanciotti dal 1966 a Venezia e successivamente in loco con Sabattini dal 1970 (e poi con Sandra Carletti e Cristina Pisciotta) non vi gettava le basi di un terzo centro, mentre Bertuccioli consolidava la scuola di Roma con Gabrella Molè, e Corradini quella di Napoli, col concorso di Palermo (Maurizia Sacchetti, Emilio Bottazzi, Antonio De Napoli e Anna Chang), e quindi tutti e tre i centri aprivano gli studi anche al moderno e contemporaneo della Cina.
Palermo scriveva a fine 2006 sugli Atti del IX Convegno dell’Associazione Italiana di Studi Cinesi (AISC) La Cina e l’Altro (Napoli 2007) : “la sinologia italiana negli ultimi trent’anni è uscita fuori dalle strettoie dell’orientalistica pura e dello specialismo sinologico, per affrontare la complessa galassia che fa capo alla civiltà cinese con metodologie e strumenti critici più sofisticati e moderni rispetto alla sinologia tradizionale che, quale che fosse il campo della ricerca, aveva sempre e solo privilegiato l’approccio filologico alla cultura cinese nel suo insieme”. L’autrice si riferiva evidentemente a discipline come quelle di genere giurisprudenziale, politologico, di sociologia e antropologia culturale (storia del teatro e dello spettacolo, cinema), che erano venute arricchendo sicuramente in quei trent’anni la sinologia classica di nuovi strumenti e metodologie di studio.
Intanto all’Orientale di Napoli (e a favore anche delle altre Università italiane) forte impulso all’organizzazione e all’avvio degli studi specialistici sul moderno e il contemporaneo della Cina continuava a darlo Corradini, che, in qualità di docente di Storia e Civiltà dell’Estremo Oriente (professore ordinario dal 1973), si muoveva efficacemente per l’attivazione di discipline come Storia moderna e contemporanea della Cina, Istituzioni politiche e sociali dell’Estremo Oriente ecc., materie tutte che venivano poi attivandosi in altre Università.
Fra gli anni 1993-1996 Annamaria Palermo dirigeva l’Istituto Italiano di Cultura di Pechino; seguiva qualche anno dopo nella direzione dello stesso Istituto e sempre per chiara fama Mario Sabattini.
A un’aggregazione di forze sinologiche erano intervenuti entrambi anche con la fondazione nel 1979 dell’AISC, “Associazione Italiana per gli Studi Cinesi”, subentrata a un ormai dormiente Comitato di Studi Sinologici. L’AISC operava intensamente nella periodica attività convegnistica e pubblicava a Roma nel 1988 una prima Bibliografia sinologica italiana, cui seguiva nel 2007 La Cina in Italia. Una bibliografia dal 1899 al 1999 a cura di Francesco D’Arelli, edita dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente.
Fra libri e mostre
Intanto Sabattini a Venezia, con l’ausilio di validi collaboratori e la positiva risposta dell’Ateneo e delle autorità cittadine impegnate a rinnovare i fastigi della Cina nella città di Marco Polo, promuoveva un’intensa attività editoriale di carattere scientifico e divulgativo presso le Edizioni Ca’ Foscari e curava l’organizzazione di prestigiose mostre a Palazzo Ducale, quali Settemila anni di Cina a Venezia e Dalla dinastia Han a Marco Polo, illustrate nei materiali espositivi da sontuosi cataloghi con contributi di illustri sinologi ed esperti italiani e stranieri, molti i cinesi.
Nel 2014 usciva, dedicato a Sabattini, a cura dei suoi allievi e ormai colleghi Magda Abbiati e Federico Greselin, Il liuto e i libri. Studi in onore di Mario Sabattini, pubblicato dalle Edizioni Ca’ Foscari, volume inaugurale della collana “Sinica Venetiana” sotto la direzione scientifica di Tiziana Lippiello e Chen Yuehong, quest’ultimo dell’Università di Pechino: un’opera che raccoglie una vasta saggistica dei tanti estimatori, colleghi e allievi del loro Maestro.
A ricordo di Palermo, Il Torcoliere delle Officine Grafico-Editoriali dell’Orientale stampava a gennaio 2018 il volumetto Per Anna Maria, una prima raccolta di brevi testi in memoria della compianta e illustre scomparsa che veramente operava fino all’ultimo per rendere sempre più familiare la Cina a Napoli soprattutto nelle arti dello spettacolo e del cinema. Così la ricorda Lida Viganoni, già rettore dell’Orientale: “... mentre eravamo lì a ragionare sulle cose da fare, afferrava il cellulare e con stupefacente disinvoltura telefonava a Umberto Eco, Bernardo Bertolucci, Cristina Donadio, Anna Bonaiuto, Gaia Riposati, Mariano Rigillo, Beppe Barra... e tanti altri suoi amici artisti per invitarli a partecipare alle nostre iniziative. Volava alto Annamaria, sempre!”.
Per Sabattini rileggo il “ricordo personale”che ne ha dato in rete il suo allievo e collega Maurizio Scarpari, divenuto anche lui poi membro alto della Ca’ Foscari: “erano giovanili una certa sua timidezza e alcuni suoi atteggiamenti impacciati che si esprimevano in un sorriso imbarazzato e gentile, quella noncuranza nello scegliere il proprio abbigliamento…”.
Insomma, due persone molto diverse, ma ricche e generose entrambe di doti umane e di cultura.