Docente di economia (Cina e Taiwan) presso il Soas–Cefims e Direttore di China Research presso Trusted Sources
Roma, 26 ago. - Nel corso della 4th edizione di TOChina Summer School (28 giugno-09 luglio), AgiChina24 ha intervistato Robert Ash (professore di economia con specializzazione in Cina e Taiwan presso il SOAS-Cefims, direttore del Centre of Taiwan Studies), e Jonathan Fenby (Direttore di China Research presso Trusted Sources, in passato giornalista del South China Morning Post e dell'Economist, autore tra gli altri di "Modern China: The Fall and Rise of a Great Power, 1850 to the present") e.
Pechino è consapevole della difficile sostenibilità del modello di sviluppo cinese. Gli squilibri interni e il livello di indebitamento dei governi locali solo alcuni degli elementi che potrebbero far scricchiolare il sistema. Quando la Cina potrà permettersi di porre fine al pacchetto di stimoli da 4mila miliardi di yuan (varato dal governo centrale per fronteggiare la crisi globale nel novembre 2008)?
Fenby. Il pacchetto di stimoli va visto in due forme, fiscale e monetario. Il pacchetto di stimoli fiscale è destinato principalmente alle infrastrutture e alla ricostruzione delle zone colpite dal terremoto del 2008 nella provincia del Sichuan. Non è previsto un rinnovo del piano fiscale alla fine di quest'anno, ma la spesa destinata ad alcune voci continuerà e sarà maggiore rispetto a quanto prevedesse il piano originario; il finanziamento dei grandi progetti ferroviari nel 2009 è aumentato del 40% e nel 2010 crescerà dell'80%. In generale, però, a fronte di un rinnovato supporto finanziario ai progetti di lunga scadenza, gli investimenti sulle infrastrutture si assesteranno su livelli inferiori. il record di nuovi prestiti registrato l'anno scorso (9590 miliardi di yuan; 1100 miliardi di euro al cambio attuale).
Le misure monetarie destano invece qualche preoccupazione in più? Da diversi mesi, ormai, la CBRC sta varando misure per arginare l'incredibile corsa al credito registrata a partire dall'anno scorso: nel 2009, infatti, su impulso del governo, gl'istituti cinesi hanno erogato la cifra record di 9590 miliardi di yuan in nuovi prestiti (circa 1033 miliardi di euro), un immenso fiume di liquidità che ha alimentato numerosi timori in merito alla formazione di bolle speculative all'aumento dei crediti non esigibili detenuti dalle banche
Fenby. Le autorità monetarie hanno fissato un tetto massimo di nuovi prestiti a 5 trilioni per il 2010, con l'obiettivo di ridurre le erogazioni creditizie del 25%, una cifra che se anche fosse raggiunta, sarebbe sempre del 25% superiore rispetto al livello dell'anno precedente. Il governo sta prendendo tempo e sta facendo il possibile per chiudere gradualmente i rubinetti del credito. Ma è come fare uscire prima una tigre dalla gabbia e poi costringerla a rientrare.
Le istruzioni delle autorità centrali di Pechino sono molteplici. L'uso degli effetti allo sconto per regolare i crediti di lunga scadenza verrà accantonato, e probabilmente vedremo una riduzione nei prestiti bancari nella seconda metà di quest'anno. Allo stesso tempo l'industria finanziaria di Pechino sta cercando di codificare i progetti varati con le autorità locali al fine di intercettare le speculazioni. L'obiettivo è quello di diffondere l'audit dai villaggi e le contee a livello provinciale per consentire a Pechino di selezionare i progetti che avranno il semaforo verde.
Anche se il pacchetto di stimoli varato dalla Cina nel 2008 è enorme, non dobbiamo dimenticare che negli ultimi 10 anni la Cina ha fatto sovente uso di questo tipo di strumenti, forse in modo meno spettacolare, facilitando l'erogazioni di prestiti nei progetti di finanziamento delle infrastrutture. Per il 2010 è previsto un rallentamento della crescita dell'economi cinese. Le proiezioni degli istituti bancari parlano del 10.5%. Ma poiché all'inizio di quest'anno la crescita ha registrato il 12%, credo che il tasso annuale finale non potrà che essere inferiore al 10%, attorno al 9%.
La Cina si sta quindi avvicinando lentamente a una crescita più "contenuta" dell'8% che penso sia il livello che la leadership cinese auspica: un tasso di crescita che spazza via le preoccupazioni sui livelli di disoccupazione e riduce le pressioni esterne, ad esempio con l'Europa - il maggior partner commerciale della Cina -; a seguito del deprezzamento dell'euro del 15% contro lo yuan, la Cina forse temeva di ricevere maggiori pressioni dai dall'Eurozona. Questo è uno dei motivi che spiega la prudenza adottata dalla leadership cinese da due anni a questa parte.
Ash. All'inizio della crisi, mi sono sempre chiesto in che misura il pacchetto di stimoli avrebbe fatto cambiare i binari della strategia di sostenibilità del governo cinese. Le previsioni di un rallentamento della crescita dell'8% nei prossimi anni infondono senz'altro ottimismo e mi inducono a pensare che la crescita si assesterà su un livello che è compatibile con la strategia di sostenibilità enucleata dal governo cinese. Cinque anni fa Li Keqiang delineava gli obiettivi di sostenibilità della Cina – dalle questioni sociali al dossier ambientale -; oggi, a 5 anni dall'inizio dell'implementazione di questa politica, non sono stati ancora raggiunti risultati evidenti, eccetto per alcune aree. Il mancato raggiungimento di questi obiettivi è senza dubbio allarmante.
Fenby. La Cina sa cosa deve fare e dove deve andare. Ma deve ancora capire come andarci. Alcuni pensatori cinesi oggi parlano di un approccio taoista: la cosa importante non è tanto la fine del percorso, quanto il percorso in sé.
Ash. E la presenza di diversi attori rende l'evoluzione del percorso più complicato…
Fenby. Alla luce di un numero crescente di gruppi di interesse e di fazioni, oggi le pressioni che la leadership cinese deve gestire sono maggiori rispetto a 20-30 anni. Li Keqiang, che sarà probabilmente il futuro Primo Ministro della Cina, in un recente rapporto della Scuola Centrale del Partito, ha dichiarato in modo eloquente: "oggi paghiamo il prezzo di 30 anni di crescita", una presa di coscienza che impone quindi un cambiamento. Ma ovviamente quando sei l'economia con il maggior tasso di crescita a livello mondiale, prima di prendere qualsiasi decisione, ci pensi fino a tre.
Capitalismo senza democrazia. Zheng Yongnian (intervenuto alla 4th edizione di ToChina, professore e direttore presso l' East Asian Institute della National University di Singapore e autore di "The Chinese Communist Party as Organizational Emperor: Culture, Reproduction and Trasformation") è ottimista sul processo di democratizzazione delle istituzioni politiche cinesi. La "democrazia all'interno del Partito" promossa da Deng Xiaoping nell'ambito del processo di istituzionalizzazione della successione al potere, con l'obiettivo di sviluppare un sistema di competizione e selezione interna al PCC della leadership politica, avrebbe messo in moto un ingranaggio che gradualmente potrebbe estendere il principio democratico di competizione politica anche in altri rami dell'amministrazione pubblica. Cosa cambierà con la successione al potere dei leader della 5th generazione?
Fenby. Sappiamo molto poco sulla nuova leadership. Sappiamo che Xi Jinping è un esponente del cosiddetto Partito dei Principi (formato dai figli dei quadri di alto livello entrati nella carriera politica, ndr), suo padre era un veterano del Partito, ha costruito l'intera carriera sulle province costiere dove gode di contatti e appoggi. Li Keqiang proviene invece dalla Scuola centrale del Partito, dalla fazione "populista" di Hu Jintao. Poi ci sono gli emergenti leader locali come Bo Xilai…
Bo Xilai ce la farà?
Fenby. Chi lo sa. Degli attuali nove membri del Comitato permanente del Politburo, solo due – Xi e Li – resteranno al potere. Gli altri sette verranno sostituiti: un importantissimo ricambio generazionale, quindi. I dirigenti concordano unanimemente sul fatto che sia prioritario mantenere la crescita economica a un livello che possa garantire occupazione, stabilità, un alto profilo nello scacchiere internazionale e il PCC al potere. Ovviamente ci sono opinioni divergenti su come questo obiettivo possa essere raggiunto: in altre parole, non c'è competizione sugli obiettivi, ma sulle strategie di gestione.
Sono invece meno ottimista sulla democratizzazione in Cina. La classe media, che dovrebbe teoricamente porsi alla guida di un processo di democratizzazione, è stata largamente cooptata nel sistema, ed è soddisfatta di ciò che ha ottenuto negli ultimi 10-20 anni. Al di là di chi sostiene che i meccanismi di competizione interni al PCC possano rappresentare in nuce un elemento democratico, se osserviamo i meccanismi politici cinesi da un punto di vista occidentale, la democratizzazione in Cina ci appare vuota: lo scopo di uno strumento come quello della "democrazia all'interno del Partito" è rafforzare l'autorità del Partito, che conta 78 milioni di persone, un sacco di persone ma meno del 10% della popolazione. Il risultato di questo processo non può che essere uno Stato-Partito sempre più forte, un po' come è accaduto per il PRI in Messico. Il PCC è così poco trasparente che sarei molto prudente nell'intravedere la possibilità di una transizione democratica – anche se so che forse sto esprimendo una visione abbastanza diffusa.
Ash. Sono d'accordo con Jonathan quando obietta l'approccio clintoniano – La Cina sempre più globalizzata, la Cina che inizia a operare una riforma politica -: nulla ci suggerisce che questo stia accadendo. Non ho mai pensato che la classe media potesse essere il motore della democratizzazione in Cina. Forse le cose cambieranno tra 10-20 anni, ma per ora la Cina si pone altri obiettivi.
Fenby. Qualcuno potrà pensare che la nostra posizione sia un'apologia del regime monopartitico. Non è così, siamo solo realisti. Tempo fa ho fatto colazione con uno studioso cinese, advisor del Consiglio di Stato, che mi diceva che i cinesi trovano abbastanza ridicolo la tendenza di alcuni autori occidentali a pubblicare libri su "dove va la Cina", "la Cina modificherà l'ordine mondiale", "la Cina collasserà", "la Cina adotterà il rule of law" –; forse in Occidente sottovalutiamo il fatto che la Cina non ha mai avuto l'illuminismo e l'affermazione del rule of law, ma ha conosciuto il rule by law. Perché all'improvviso Wen Jiabao dovrebbe cambiare idea e applicare i modelli occidentali?
I cinesi replicherebbero a queste sollecitazioni che negli ultimi 30 anni la crescita della Cina è stata un vero successo. Perché dovrebbero quindi abdicare alle prerogative di un sistema che apparentemente funziona? Personalmente penso che se in Cina si affermasse un sistema socio-politico trasparente e democratico, sarebbe una buoca cosa. Ma sostenere che la Cina debba farlo è miope. Alimenta pregiudizi anche chi pensa che la Cina modificherà l'ordine mondiale. La Cina non ne ha assolutamente l'intenzione.
Ash. Questo non per dire che il PCC non continuerà a cambiare e a reinventarsi, ma lo farà per preservare il suo potere e la sua legittimità. E' questa la posta in gioco.
La nuova leadership sarà in grado di fornire una risposta più adeguata alle esigenze di una società sempre più complessa?
Fenby. No, non mi risulta….
Ash. Non vedo dei segnali…
Fenby. Ma andrà fatto. La leadership cinese non può permettersi di arrivare impreparata al 2015, quando l'unica via di uscita per allentare le pressioni sociali e scongiurare una crisi interna potrebbe configurarsi nell'adozione di una politica permissiva sugli hukou o i diritti sulla terra. Tenendo sempre ben presente che ogni mossa sarà volta a garantire la legittimità del PCC e non all'insegna di un "diamo il benvenuto alla competizione democratica".
Ash. ...che è esattamente ciò che accaduto negli ultimi anni. IL PCC ha sempre dimostrato si saper gestire le pressioni interne e mantenersi al potere.
Fenby. Se la Cina fosse economicamente, politicamente e socialmente efficiente, avrebbe già da un pezzo iniziato a dominare il mondo. In un certo senso, il mondo è salvo da una eventuale dominazione cinese proprio grazie alle inefficienze interne al Paese. Ciò che è certo è che il Partito è stato molto abile nel preservare il potere dimostrando al tempo stesso grande capacità di adattamento.
La politica di Deng Xiaoping - "crossing the river by groping for stones" - non sarebbe stata possibile senza il consenso ai vertici del Partito. Oggi la sfida della nuova leadership è l'assenza del leader forte. I nuovi esponenti politici - Xi, Li, Bo - si riuniscono attorno a un tavolo per discutere e trovare un accordo, un criterio più sano rispetto all'autorità assoluta del singolo leader, ma che implica maggiori complicazioni e rallentamenti nel processo decisionale..
Una debolezza della cosiddetta leadership collettiva…
Fenby. Esattamente. Deng sarebbe riuscito a lanciare le prime riforme economiche se avesse dovuto trovare un accordo attorno a un tavolo più ampio? Un advisor del Consiglio di Stato mi ha raccontato che Zhu Rongji, quando doveva prendere una decisione, chiedeva a ciascuno dei presenti "Cosa ne pensi? Stronzate. Cosa ne pensi? Stronzate. Cosa pensi? Buona idea, vieni a trovarmi nel mio ufficio. La riunione è finita".
Wen Jiabao invece si annota le opinioni di tutti, ringrazia e programma nuovi incontri. Il secondo metodo è sicuramente più gradevole, ma il primo più efficace se devi prendere decisioni importanti con una crisi in corso, dal terremoto del Sichuan alle rivolte nel Tibet e nel Xinjiang.
Michael Pettis (intervenuto nella 4th edizione di ToChina, esperto di finanza internazional e professore presso l'Università di Pechino) sostiene che nessun paese potrà assorbire il surplus della Cina nei prossimi anni. In Cina il volano dei consumi non si sviluppa perché i salari dei nuclei familiari non crescono, e la causa principale va ricercata nella repressione finanziaria operata dal governo per ripulire il sistema bancario dai crediti in sofferenza. Un welfare system carente giustificherebbe solo in parte la scarsa crescita dei consumi interni. E' d'accordo?
Fenby. Abbiamo assistito nell'ultimo anno a un aumento dei crediti in sofferenza e a un progressivo indebitamento del governo locale. Ma il debito è pari al 60% del Pil nazionale, un livello tutto sommato sostenibile. Inoltre, se si guarda l'altra faccia della medaglia, gli asset statali rappresentano una garanzia di stabilità: l'80% della ricchezza economica è in mano al governo (SOEs).
Le riserve non rappresentano necessariamente una garanzia di stabilità economica…
Fenby. Proprio così. La banca centrale avrebbe quindi gli strumenti per assorbire un eventuale aumento dei crediti in sofferenza, anche se Pechino non può usare le riserve in valuta straniera – nella misura in cui lo yuan resta una valuta non convertibile –, e la gestione dell'inflazione impone al governo centrale un controllo sul tasso di cambio. I cinesi maledicono gli americani per aver reso i forzieri vulnerabili a causa di un dollaro debole, ma per adesso non hanno intenzione di ridurre l'acquisto dei buoni del tesoro usa, anche alla luce del fatto che l'euro in questo momento non rappresenta una valuta alternativa verso cui diversificare il portafoglio".
Ash. Quando si parla di consumi non possiamo dimenticare le campagne cinesi. La sicurezza alimentare è un tema che ossessiona Pechino tanto da indurla a non abbandonare l'obiettivo di mantenere il tasso di autosufficienza cerealicola al 95%; nonostante il processo di desertificazione – e la conseguente riduzione di terreni arabili – abbia determinano una diminuzione della produzione di grano, la Cina preferisce non importare. La Cina è un paese ancora prevalentemente agricolo, ma è proprio sull'agricoltura che si registrano i maggiori ritardi e inefficienze. La modernizzazione dell'industria agricola è una priorità nazionale: l'agricoltura oggi contribuisce per il 40% al tasso di occupazione ma solo per il 10% ai consumi.
Quando Pettis sostiene che il freno ai consumi non si spiega (solo) con l'assenza di reti di sicurezza sociale, forse pecca di miopia?
Se ci si mette nei panni di un abitante delle zone rurali, si capisce immediatamente che i risparmi di una vita vengono necessariamente destinati alla creazione di un cuscinetto che possa sostentarlo in vecchiaia in assenza di fondi pensionistici adeguati. Sullo sviluppo dei consumi sono però ottimista. Se guardiamo al trend degli ultimi 20 anni, il modello dei consumi è cambiato in modo significativo; il processo iniziato nelle aree urbane si sta diffondendo anche nelle regioni più periferiche – West in testa – dove si individuano i segni della stessa rivoluzione dei consumi che ha caratterizzato le province costiere. La chiave di volta è sviluppare il mercato rurale. E – ripeto – sono ottimista: questo trend è irreversibile.
Come dobbiamo interpretare i recenti scioperi nelle fabbriche che in alcuni casi – come Foxconn e Honda – hanno portato a una raffica di aumenti salariali? E' un segno che il mondo del lavoro sta cambiando? In Cina il bacino di mano d'opera a basso costo si è prosciugato?
Fenby. Occorrono alcune precisazioni. In primo luogo, finora gli scioperi hanno interessato principalmente aziende straniere, non cinesi. A parte il Guangdong, il fenomeno non si è diffuso in altre province della Cina; altrove non sono stati avvertiti simili segnali di disagio. In secondo luogo, in tutti i casi si è trattato di un aumento del salario minimo. La risposta di Foxconn sarà peraltro quella di trasferire le basi produttive da Shenzhen verso, probabilmente, zone dell'entroterra, una mossa che rispecchia la volontà di Pechino, ossia quella di spostare l'industria al centro della Cina. La politica economica cinese è – come abbiamo visto - tesa a aumentare i consumi; per aumentare i consumi bisogna aumentare i salari che in proporzione al Pil sono nettamente più bassi nelle regioni centrali. In altre parole, l'aumento dei salari va nella direzione della politica governativa. Finora l'impatto di questi aumenti sui costi di produzione è stato marginale: innanzitutto perché, come abbiamo detto, l'aumento riguarda i salari minimi. E teniamo presente che la maggioranza della forza lavoro cinese percepisce un reddito che è superiore al salario minimo: il 40% del reddito pro capite proviene infatti da attività extralavorativa o dagli straordinari. Un altro elemento da tener presente è che le aziende si stanno muovendo verso modelli di produzione più efficienti – operando un ridimensionamento graduale del modello labour-intensive - attraverso l'impiego di macchinari e tecnologie d'avanguardia. Cambiamenti positivi, quindi. Com' è positivo l'aumento dei salari minimi in Cina, contrariamente a quanto spesso si pensi. Di sicuro se tutti i lavoratori ottenessero un aumento salariale del 20%, questo inciderebbe sull'inflazione e sull'export, ma per il momento si tratta di un rischio lontano.
Infine, La scarsa disponibilità di mano d'opera si riferisce quasi esclusivamente alla scarsa disponibilità di mano d'opera qualificata; quest'ultima ha oggi esigenze diverse, ad esempio non è disposta a lavorare troppo lontano da casa. E' un problema relativo che però assume un aspetto prioritario se la Cina vuole ridurre la dipendenza da un modello industriale ad alta intensità di forza lavoro.
Ash. Di sicuro vedere in questi scioperi, che riguardano l'aumento dei salari minimi, l'inizio di una rivoluzione industriale, è una esagerazione. Ma ai media piace enfatizzare questo genere di notizie. Per ricapitolare, a fronte di un surplus generale di forza lavoro, vi è una insufficienza di forza lavoro qualificata. Per molti anni la Cina è stata affetta da carenza di mano d'opera che è difficile da misurare, una materia su cui gli studiosi si cimentano da 50 anni, a partire dal famoso saggio di Arthur Lewis del 1954. La conclusione cui gli studi sono arrivati è che oggi c'è un surplus di manodopera nel settore agricolo che riguarda 150 milioni di persone.
Fenby. Il tasso di disoccupazione in Cina è pari al 4.3%, ma si tratta di un cifra relativa al settore industrial. Nelle campagne il tasso è del 10-12%, ma le statistiche non racchiudono la cosiddetta popolazione fluttuante: persone non esattamente disoccupate, ma che non possono essere definitive attive sul mercato del lavoro in maniera produttiva. Rientrano in questa categoria, ad esempio, i lavoratori occasionali che trovano impiego in fabbrica nelle province costiere per qualche settimana e poi tornano a casa; oppure i contadini statisticamente inattivi che vivono di quel poco che la terra offre loro.
E poi ci sono 4 milioni di neolaureati in attesa di trovare occupazione, che spesso accettano lavori di ripiego lontani dalle aree di formazione universitaria. Molti di questi rientrano nella categoria delle risorse qualificate.
Ash. Molte aziende straniere scartano i neolaureati perché nonostante siano qualificati, non rispondono al profilo professionale richiesto.
Fenby. Ho sentito spesso funzionari cinesi lamentarsi "Abbiamo troppi laureati in scienze sociali ma nessuno che sappia amministrare un'azienda"
Di Alessandra Spalletta