Roma, 23 giu. - Ai Weiwei è tornato a casa mercoledì sera attorno alle 23:30 dopo 81 giorni di detenzione, incriminato per evasione fiscale. Rilasciato su cauzione, non può lasciare Pechino senza il permesso del governo. "Sono di nuovo con la mia famiglia. Sono felice e sto bene, ma vi prego di non chiedermi commenti sulla mia detenzione, almeno non ora" ha dichiarato l'artista. Una libertà che è apparsa fin da subito parziale. Detenzione per reati economici o detenzione politica?
I capi di imputazione nei confronti di Ai Weiwei sono cambiati due o tre volte dopo l'arresto dell'artista. La prima accusa era di evasione fiscale, subito dopo è emerso invece un caso di bigamia. Chiaramente Ai non è stato arrestato per un reato economico, ma di base c'è un'evidente questione politica; Pechino ha voluto far passare il messaggio che nessuno è al di là del potere del Partito, e che anche un artista molto famoso internazionalmente, e che espone al Tate Gallery di Londra, può essere arrestato se critica le autorità governative in modo eccessivo.
Contemporaneamente, Pechino ha rilasciato Xu Zerong, un dissidente in carcere da dieci anni. Sembra che tutte queste manovre siano state attuate in vista della visita di Wen Jiabao in Europa. Perché il governo cinese ha deciso di liberare Ai Weiwei con questo tempismo?
Sono due gli elementi che possono avere influito a riguardo. In primo luogo, la pressione internazionale esercitata sia dagli Stati Uniti che dall'Unione Europea. Ai Weiwei è un artista molto famoso e arrestare un personaggio di questo calibro costituisce sempre un problema. In secondo luogo, in vista della successione al potere del 2012, all'interno del Partito si registrano una serie di divergenze tra i leader. Di recente molti articoli pubblicati sul Quotidiano del popolo sottolineavano tanto l'importanza di ascoltare le voci - non dissidenti ma diverse -, quanto di comprendere che senza la tutela dei diritti non si può avere la protezione della stabilità. I funzionari cinesi hanno quindi mandato segnali contraddittori; se la linea politica ufficiale rimane molto dura dall'inizio dell'anno, in presenza di forti pressioni internazionali – come in questo caso – si aprono delle divergenze che possono portare a un risultato, come in questo caso la liberazione di Ai Weiwei. Adesso si spera che il prossimo ad essere liberato sia il premio Nobel per la pace che è ormai in prigione da due anni.
A proposito di Liu Xiaobo, il capo d'accusa che grava sul premio Nobel cinese – "istigazione alla sovversione dello Stato" - sembra più pesante rispetto a quello di Ai Weiwei, accusato formalmente di frode fiscale. Per questo sembra difficile che Pechino possa cedere alle pressioni internazionali che ne invocano la scarcerazione. Lei crede che una liberazione di Liu Xiaobo, a questo punto, possa essere un obiettivo raggiungibile?
E' ovviamente molto difficile fare previsioni; il regime cinese rimane molto opaco, quindi non si sa bene cosa stia succedendo all'interno. Ma non dobbiamo escludere che i dirigenti cinesi possano procedere alla liberazione di Liu - come accaduto per Chen Zeming e Wang Jintao – per motivi di salute; Liu Xiaobo soffre di epatite e la detenzione non può che peggiorare le sue condizioni. In altre parole, se i leader cinesi vogliono trovare un escamotage per salvare la faccia, un modo lo trovano senz'altro. Questo dipende, ovviamente, dalle pressioni esercitate sia dalla società cinese sia dalla comunità internazionale che, per il momento, si è esposta con moderazione sul caso Liu Xiaobo.
Pechino potrebbe consigliare informalmente a Ai Weiwei di lasciare la Cina?
Beh, bisogna vedere se Ai Weiwei desidera lasciare la Cina! Comunque, questa è senz'altro un'opportunità per l'artista. Per ora non può lasciare Pechino senza l'autorizzazione del governo, nemmeno per andare a Shanghai, ma nei prossimi mesi potrebbe ottenere l'autorizzazione per andare a Londra o a New York, dove sono esposte le sue opere. Questa soluzione non è mai stata ampiamente utilizzata da Hu Jintao, mentre era molto frequente ai tempi di Jiang Zemin.
di Alessandra Spalletta
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