DIRETTORE DI ENOPRESS E PRESIDENTE DELLA SOCIETA' AGROTECH
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DIRETTORE DI ENOPRESS E PRESIDENTE DELLA SOCIETA' AGROTECH

DIRETTORE DI ENOPRESS E PRESIDENTE DELLA SOCIETA' AGROTECH

Intervista a Giancarlo Panarella
DIRETTORE DI ENOPRESS E PRESIDENTE DELLA SOCIETA' AGROTECH
Roma, 24 mag. – AgiChina24 ha intervistato GiancarloPanarella, Direttore di Enopress e Presidente della società Agrotech

Come è iniziata lasua avventura in Cina?

E' iniziata come tutte le avventure: in modo inatteso. Inizialmentela nostra produzione nel settore delle grandi opere di viticoltura e dellecantine era perlopiù incentrata sul mercato dell'Unione Sovietica, ma già nel1984-85  iniziarono a emergere i primisegnali delle difficoltà finanziarie che il Paese avrebbe affrontato. Così abbiamoiniziato a guardarci intorno e nel 1986 abbiamo siglato un primo contatto perla fornitura di una cantina completa in Cina, nella costa del Lianyungang nelJiangsu. In seguito partecipammo a una mostra molto indovinata che si tenne a Pechinoe a quella seguirono numerosi incontri. Dalla mostra ci spostammo su Hong Kong dove,grazie soprattutto al supporto di una grande banca italiana con cuicollaboravamo da tempo, iniziammo a infittire la rete di rapporti conoscitivi ecommerciali dapprima nel settore delle bevande e poi nel settore del vino.

Si può parlare di unacollaborazione attiva e costante tra i due Paesi?

Direi di no. La decisione di partecipare alla mostra è statafortuita così come quella di prendere conoscenza delle capacità del Paese. Senon ci fossimo stati noi lì non ci sarebbe stata nessuna collaborazione. Aconferma di ciò le racconto che nel 1984 ricevemmo una delegazione composta dauna ventina di enologi cinesi che erano stati invitati in Italia a curadell'Ufficio commerciale dell'ambasciata. Un'iniziativa di grandissimo rilievoche ha permesso loro di trascorrere sei mesi in Italia. Nonostante molti di lorosiano rimasti segnati dal soggiorno e dall'esperienza maturata nel nostroPaese, l'iniziativa non ha prodotto alcun seguito.

Tramite la suaazienda Agrotech lei esporta impianti enologici di alto livello. Come ècambiata la produzione del vino cinese dal suo arrivo?

Noi abbiamo avuto la fortuna di operare in Italia con leprimarie aziende produttrici di macchinari e tecnologie e abbiamo avuto laventura di beneficiare di una profonda conoscenza produttiva grazie a unpersonaggio come Ezio Rivella, che allora era il primo presidente del consorzioTecnivino trasformata poi nella società Agrotech. In Cina, quindi, non abbiamospostato solo la produzione ma abbiamo trasferito anche le nostre conoscenze ele nostre migliori tecnologie che ad oggi hanno portato alla creazione di circa500 aziende, quattro delle quali sono annoverate tra le più importanti delPaese e controllano circa il 70% della produzione.

Quali sono le zonepiù adatte alla coltivazione delle viti?

Di sicuro lo Xinjiang, nell'estremo occidente della Cina, èuna delle regioni che produce la miglior qualità di vino rosso. Già nel 1986, quandoabbiamo lavorato ad una delle primissime istallazioni di una cantina completain quella regione, abbiamo trovato dei vigneti sperimentali che erano statiimpiantati dal professor Einard dell'università di Torino in collaborazione condelle società giapponesi. Già allora qualcuno in Italia aveva visto dellepossibilità importanti e aveva individuato i luoghi della produzione; ma poiquesto interesse è scemato e l'Italia, nel settore vinicolo,  è stata superata dalla Francia che hainaugurato la collaborazione attraverso una serie di accordi diretti tra ilministero dell'agricoltura cinese e quello francese.

La produzione delvino richiede tempi lunghi, pazienza e dedizione: caratteristiche tipiche dellalontana Cina imperiale, ma meno conformi ai ritmi della società moderna. Icinesi hanno mai cercato di prendere una scorciatoia?

Ne hanno prese tante, moltissime. Questa domanda mi riportaa una meravigliosa immagine legata alle cantine della Dragon Seal di Pechino:nel museo della cantina dietro il Dragone si nasconde la figura a grandezzanaturale di un padre gesuita. E' davvero emozionante. Il perché della figura èpresto detto: furono questi monaci a iniziare la coltivazione di viti e laproduzione del vino  per far fronteall'esigenza del vino da messa. Direi quindi che la pazienza risale ai tempi piùremoti ed è di sicuro di stampo occidentale.

Qual è stata larisposta dei cinesi? Sono fedeli al vino tradizionale cinese o hanno benaccolto la novità semi-italiana?

Il vino tradizionale cinese è stato completamentedimenticato, complice anche la grossa confusione che si ritrova nellalegislazione cinese: l'industria delle bevande alcoliche si chiama brewingindustry che equivale a dire "industria della fermentazione", una definizioneche però si addice più alla birra che al vino. Una ambiguità che negli altriPaesi è stata risolta con l'adozione del termine "fermentation". E forse ancorapiù caotico è il significato della parola cinese "vino" con la quale siintendono molti tipi di bevande alcoliche tra le quali è compreso persino ildistillato da cereali o dal sorgo. Questo porta confusione anche nellaetichettatura e nella qualità.

Ci ha parlato di ungrave pregiudizio che condiziona i cinesi, secondo i quali i migliori vini sonoquelli che provengono dalla Francia mentre l'Italia eccelle nelle tecnologie.Da cosa deriva questa concezione? I vini francesi si avvicinano di più ai lorogusti o è "solo" una questione di marketing?

E' proprio una questione di marketing e di immagineindovinata. Basti pensare che uno dei prodotti vinicoli che ha segnato ilmaggior incremento delle vendite negli ultimi anni è quello che i cinesi amanodi meno: lo champagne. Il vino per i cinesi deve essere amabile e colorato - ilvino rosso è senza dubbio quello che incontra maggiormente il loro favore - esenz'altro il consumo di champagne è legato a una questione di ottimo marketingin grado di esaltare il prodotto.  Ementre in Europa e nel mondo le vendite diminuivano, in Cina hanno registratoun incremento superiore al 60%. All'immagine si aggiunge inoltre una presenzaassai robusta della parte ufficiale: non c'è delegazione francese che nonviaggi con il rappresentante del ministero dell'Agricoltura, con irappresentanti delle ambasciate e delle banche francesi a supporto del prodotto.

Restiamo nelmarketing. L'Italia ha ancora molto da imparare? E cosa potrebbe farenell'immediato futuro?

L'Italia dovrebbe senz'altro puntare su quei vini che ifrancesi non hanno e che a mio parere -  condiviso anche da molti esperti - potrebberoincontrare assai di più il palato dei consumatori cinesi. Pensiamo ad esempio all'IceWine: un vino essenzialmente prodotto in Canada, in Germania e in altri Paesi caratterizzatida inverni estremamente rigidi,  dolce,dolcissimo,  che è piaciuto molto aicinesi e che adesso viene prodotto anche localmente. La strategia hafunzionato.

E' di pochi giorni fala notizia che sono sempre di più i ricchi cinesi che comprano wine future divini francesi. E l'Italia è stata di nuovo penalizzata. Qual è il motivosecondo lei? Sempre il marketing?

Direi che il nostro Paese viene penalizzato in primo luogoil marketing  e poi, se mi consentequesta chiosa, dalla politica del controllo, o dalla reprimenda, dei consumialcolici che vede come obbiettivo principale il vino quando in realtà non ècosì in quanto molti di questi consumi "sballati" sono da ricondursi a una diversaprovenienza alcolica che non è quella del vino. Nonostante la sua importanzaper numero e per quantità prodotte nel Paese pare che il vino non sia negliobiettivi di salvaguardia del Made in Italy.

Ormai è un dato difatto: nonostante non occupino il primo posto, le cantine italiane stannoconquistando la Cina. Secondolei, il vino cinese riuscirà mai a conquistare il palato degli italiani?Potrebbe diventare una seria minaccia sia dal punto di vista qualitativo chequantitativo?

Mai. Le do una notizia e assieme alla notizia unarassicurazione: pochi giorni fa si è tenuto a Palermo (per la prima volta inItalia a testimonianza dell'indifferenza che nel nostro Paese accompagna questoprodotto) il Concour Mondial de Bruxelles che premia i migliori viniprovenienti da più di quaranta nazioni. Ai cinesi sono andate ben settemedaglie: tre d'oro  e quattro d'argento.Una delle cantine vincitrici, la Dinasty, si avvale delle più sofisticate tecnologie italianepiù sofisticate come ad esempio il fermentatore ganimede che per la produzionedi vini rossi o dei bianchi di gusto molto moderno è riuscito a nobilitare ilmedagliere di tanti prodotti e di tanti Paesi. Qual è il pericolo? Il pericoloè nelle statistiche e nella legislazione: se si andasse a esaminare a fondo latipologia dei vini importati in Cina si vedrebbe che molti di questi sono divini sfusi, e  condizionati con dei vinibase prodotti in Spagna, in Cile, e in Australia. Assai meno in Italia. In Cinanon esiste una legislazione che consenta il controllo dell'origine e dellaqualità, pertanto il vino cinese, almeno per molti anni, non rappresenterà unaconcorrenza valida né per il nostro mercato né per quello mondiale.
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Parliamo di export.Quanto e dove esporta la Cina?

La Cinaesporta pochissimo vino nonostante abbia un potenziale enorme costituito daimolteplici ristoranti presenti in tutti i Paesi, che però non servono vini diorigine cinese. Tempo fa parlavo con il responsabile della produzione dellacantina Dragon Seal a Pechino la quale si serve di un importatore belga - unicoimportatore in Europa - e che nonostante abbia esportato circa un milione dibottiglie, adesso soffre della crisi generale dei consumi del vino. Quindi aiproblemi legati alla  qualità o al gustosi aggiunge anche questa grossa difficoltà che l'intero settore sta abbracciando.
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Ci consiglia un vinocinese?

Io consiglierei gli stessi vini che hanno vinto la medagliadi Bruxelles la cui qualità è effettivamente ottima. Suggerirei quindi lo chardonnaydella cantina Dinasty o un merlot della Great Wall.

di Sonia Montrella
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