Milano, 06 ago. - È stato il tema più "caldo" degli ultimi mesi, sia dentro che fuori la Cina. Così, ispirati dal susseguirsi di proteste piccole e grandi, di incidenti più e meno noti, i commentatori cinesi hanno continuato a scrivere di lavoratori e di fabbriche, di salari e di sindacati. Tra la fine di luglio e l'inizio di agosto un nuovo caso, avvenuto nella provincia dello Shanxi, vicino a Xi'an, ha rimesso le penne in movimento. La vicenda riguarda un gruppo di lavoratori migranti, provenienti dalla provincia dello Hubei, impiegati nei pressi di Xi'an da una azienda di proprietà statale per la costruzione della linea ferroviaria Xi'an-Baotou. Vari editorialisti hanno preso spunto da questo caso per riflettere sulla necessità di difendere i lavoratori migranti dovunque essi si trovino – e dunque sull'importanza di un'azione dei sindacati locali che trascenda i confini delle province di riferimento.
«Il 21 luglio – scrive sul Xin Jing Bao del 2 agosto Yu Jianrong, professore dell'Istituto di ricerca sulle campagne dell'Accademia cinese delle scienze sociali - nella città di Xinfeng, nel distretto di Lintong, nei pressi della città di Xi'an, durante una protesta collettiva legata al salario, 118 lavoratori migranti originari dello Hubei sono stati assaliti per 40 minuti da 300 persone armate di bastoni. Trenta sono stati feriti, 9 in modo grave». Il sindacato locale non è intervenuto, la polizia nemmeno. È stato invece il sindacato della provincia dello Hubei, di cui i lavoratori sono originari, ad aprire un'inchiesta e a recarsi sul luogo per verificare l'accaduto, il 31 luglio. Per Yu, va innanzitutto notato come la causa della protesta, il mancato rispetto dei termini di pagamento del salario ai lavoratori, e l'aggressione armata dei manifestanti siano responsabilità non di imprenditori privati senza scrupoli, ma di una azienda dipendente dallo Stato.
Ancora più grave è il fatto che all'incidente non sia seguita un'azione delle forze di polizia locali: «L'aggressione da parte di alcune centinaia di violenti che ha portato a gravi ferite per decine di lavoratori è un atto criminale che la polizia dovrebbe perseguire attivamente, colpendo i criminali e difendendo le vittime. Invece la polizia locale non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione sull'argomento, facendo apparire i diritti dei lavoratori ancora più difficili da proteggere». In questo quadro, scrive Yu, «l'iniziativa del sindacato dello Hubei di difendere le vittime è stata positiva. Negli ultimi anni, alcuni dipartimenti di giustizia locali hanno costruito, insieme con i sindacati, un sistema interregionale per la difesa dei diritti dei lavoratori migranti, una iniziativa che è stata di grande utilità per la difesa dei diritti dei lavoratori. Se il sindacato dello Hubei continuerà a difendere i diritti legittimi dei lavoratori rurali rispettando la legge, forse alla fine questi diritti saranno rispettati».
Ma perché il sindacato dello Shanxi non ha fatto nulla di fronte a un simile caso di sopruso nei confronti dei lavoratori avvenuto nel suo territorio? «Poiché è nello Shanxi che i lavoratori dello Hubei non hanno ricevuto il salario e sono stati aggrediti, il sindacato dello Shanxi ha la responsabilità di difendere i loro diritti – afferma Yu -. Ma in questa rivolta, le organizzazioni sindacali della provincia non hanno agito nel nome della giustizia. Il motivo è semplice: è una questione di interesse o di terrore. Le aziende che osano trattare i lavoratori in questo modo hanno grandi risorse e influenza e legami poco chiari con funzionari politici e governativi ad ogni livello e perfino con oscuri gruppi di pressione. Proprio questi rapporti fanno sì che i dipartimenti amministrativi e di partito locali, inclusi gli uffici sindacali, tendano a difendere gli interessi locali».
Sempre di diritti dei lavoratori scrive sul Nanfang Dushi Bao Chen Zhiwu, professore universitario a Yale. Il suo commento, però, tralasciando i fatti di cronaca, punta a giustificare con obiettivi di grandeur economica l'urgenza di innalzare i salari e di rafforzare i diritti dei lavoratori, soprattutto di quelli migranti. «Il problema principale del mondo del lavoro cinese oggi sta nel rispetto dei diritti dei lavoratori e dei lavoratori migranti – afferma Chen -. Rafforzando la protezione dei diritti dei lavoratori, però, si innalza il grado di libertà dell'economia rurale e si provoca un aumento del costo della forza lavoro. Per l'economia e la società cinesi questa sarebbe una svolta positiva o no?». Molti ritengono che un simile fenomeno brucerebbe il vantaggio competitivo internazionale dell'economia cinese, portando ancora più lavoratori rurali a perdere il lavoro. Per Chen «questi timori non stanno in piedi».
Trenta anni fa, quando i cinesi «non avevano a sufficienza da mangiare durante le crisi di produttività, la gente non poteva che accettare di avere pochi diritti e un basso reddito, e di lasciare che si investisse per aumentare la capacità di produzione e per sviluppare rapidamente una manifattura da esportazione. Tuttavia – spiega Chen - oggi la produzione è in grande eccesso e limitare i diritti dei lavoratori e dare maggiori profitti alle aziende rischia soltanto di provocare una riduzione del reddito della popolazione, ostacolando la crescita dei consumi e aggravando la sovrapproduzione». Consuetudini tipicamente cinesi come la distinzione tra identità cittadina e rurale e il vincolo dello hukou (residenza) «riducono il potere di negoziazione dei lavoratori migranti e deprimono il costo della forza lavoro, compiendo il destino della Cina come fabbrica del mondo». Ma questo, lungi dall'essere uno scenario desiderabile, per Chen è la causa di molti mali.
Da una lato, equivale a «concentrare l'inquinamento dell'industria manifatturiera mondiale in Cina, compromettendo gli interessi di lungo periodo della società cinese. Più a lungo durerà la competitività del costo della nostra forza lavoro, più gravi saranno gli effetti sull'ambiente e sulle risorse naturali cinesi». Dall'altro lato, nel lungo periodo, «la distinzione tra città e campagna e il sistema dello hukou, che contengono il costo della forza lavoro, non fanno altro che indebolire le nuove forze scientifiche e creative della società. Alla catena di montaggio si assemblano oggetti, ma non si possono produrre nuove idee. La competitività del costo del lavoro di oggi è un ostacolo al progresso scientifico e tecnologico di domani e, nel lungo periodo, taglierà le gambe alla competitività dell'economia cinese». Al contrario, spiega Chen, l'aumento dei diritti dei lavoratori porta inevitabilmente a un aumento del loro reddito che, nel breve periodo, può certamente frenare la crescita dei posti di lavoro nel settore manifatturiero. Tuttavia, «l'innalzamento del salario dei lavoratori migranti e dei lavoratori delle città spingerà l'aumento dei consumi sia in città che in campagna, generando un boom di posti di lavoro nell'industria dei servizi». E la crescita dell'occupazione nel settore dei servizi, secondo Chen, supererà quella dell'industria manifatturiera.
Favorire l'aumento del reddito per i lavoratori cinesi, insomma, per Chen è un cambiamento necessario. Che si voglia o no: «In una situazione in cui, a causa della limitazione dei diritti è difficile che i redditi dei lavoratori crescano velocemente, o provochiamo un cambiamento di nostra iniziativa, oppure saranno le proteste sul lavoro a obbligarci a farlo».
di Emma Lupano
Emma Lupano, sinologa e giornalista, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
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