Curatrice del libro "Confucio, re senza corona"

Roma, 12 set.- Il volume "Confucio, re senza corona" (ObarraO Edizioni, 16 euro) nasce come rielaborazione di un ciclo di conferenze, tenutesi a Milano nel 2010 su iniziativa dell'Istituto Confucio, che hanno tentato di delineare i contorni storici, politici, culturali e spirituali della figura di Confucio dal 551 a.c., data della sua nascita, sino ad oggi.
Nel libro ripercorriamo l'alterna fortuna che Confucio e il suo pensiero hanno conosciuto nella storia fino a smascherare la rielaborazione e la manipolazione culturale che hanno subito le parole del Maestro Kong. Negli ultimi anni il confucianesimo e il suo fondatore sono stati protagonisti di una straordinaria riscoperta e "canonizzazione", ufficializzata dalla trasmissione tv di Yu Dan dedicata a "I Dialoghi", dal film "Confucio" e da alcuni sondaggi che lo vedono fra i simboli più rappresentativi della Cina. Come interpretare la sorte della statua di Confucio in piazza Tian'anmen, inaugurata il 10 gennaio e rimossa il 21 aprile durante la notte?
È difficile fornire un'interpretazione certa, esistono varie supposizioni in merito, le ipotesi più gettonate fanno riferimento a tensioni interne al Partito e a un eventuale momento favorevole per la corrente più "rossa" che avrebbe visto di cattivo occhio il trionfale ritorno in auge del confucianesimo. Inoltre c'è anche chi pensa alla lesa sensibilità di qualche personaggio di spicco ad alto livello: che la statua di Confucio così vicina al ritratto di Mao sia stata vista come un affronto alla supremazia del timoniere sulla piazza-simbolo del potere?
Per capire meglio la Cina e il futuro della Cina è meglio cercare di scoprire chi era realmente Confucio e cercare il messaggio più autentico fra i suoi scritti o osservare il modo in cui, senza apparente conflitto, Confucio è stato interpretato, strumentalizzato e accolto ogni volta in forme diverse dalla popolazione cinese e dalla sua classe dirigente?
Come diceva Edoarda Masi, "leggere i Dialoghi, prescindendo dall'interpretazione dei letterati e dal significato che essi hanno assunto nella storia della classe dirigente cinese, è impresa ardua e infine priva di senso". Le forme assunte da Confucio nei secoli ci dicono molto della Cina di oggi e di ieri, ma anche di noi stessi. Questo non significa che un viaggio alla scoperta del pensiero originale del Maestro non sia un'impresa esaltante da un punto di vista sia storico che filologico, e non solo. Ma seguire le vicissitudini del pensiero di Confucio attraverso lo spazio e i secoli significa dotarsi di una lente formidabile per leggere la Cina e, alle volte, la "vecchia" Europa. Ad esempio, lo sbarco del cristianesimo in Cina tra la fine del 1500 e gli inizi del 1600, che venne presentato dai missionari - Matteo Ricci in primis - come una dottrina simile al confucianesimo, tant'è che si presero a prestito formule dei Classici reinterpretandole (come "temere il Cielo" o "servire il Cielo"). E non è un caso se ancora oggi in Occidente rimane diffusa la falsa convinzione che Confucio fosse un profeta e il confucianesimo una religione (e non una dottrina etico-politica). Se pensiamo, poi, che lo stesso termine "confucianesimo" è occidentale e non ha un reale corrispettivo in cinese…
Perché è così importante capire Confucio per capire la Cina di domani? Cosa ci può raccontare del futuro della Cina la riscoperta dei valori confuciani?
Intanto è importante leggere Confucio ed esplorare le sue alterne vicende per prendere coscienza della nostra miopia, per aprire finalmente gli occhi sulla Cina. Si dice sempre che la Cina è vicina, ma poi, a conti fatti, resta per molti un Paese esotico che incute addirittura timore. Allora, forse, dotarsi degli strumenti atti alla comprensione di questo Paese, il cui dinamismo e la cui crescita economica tanto stupiscono, può darci delle chiavi di accesso non solo alla Cina, ma al nostro stesso futuro. È straordinario come il semplice tentativo di rinuncia all'eurocentrismo in uno slancio di stupore e di desiderio di conoscenza dell'altro possa dar luogo a incontri insperati.
Nel libro colpisce la dissacrante ironia di Lu Xun, fra i più brillanti e intuitivi scrittori cinesi, che senza mezzi termini definisce Confucio un "mattone per tenere la porta aperta", un uomo che ha parlato solo ai potenti e per il potere. Perché avete scelto di includere questi due articoli di Lu Xun?
Proprio per la lucidità e la lungimiranza irripetibile e senza precedenti di un genio, non solo letterario, come Lu Xun, padre della letteratura moderna cinese. I suoi scritti continuano, e continueranno, a essere attuali, oltre che pregevoli pagine di vera e propria arte. I due brani da noi riproposti sono stati scelti da una raccolta di saggi pubblicata da Quodlibet e dal titolo "La falsa libertà": in quelle pagine si può assaporare pienamente la penna incisiva dello scrittore nella magistrale traduzione della grande sinologa Edoarda Masi, recentemente scomparsa.
Oltre alle manipolazioni che il suo pensiero ha subito dalla classe politica e intellettuale, qual è l'eredità più concreta che Confucio ha lasciato al popolo cinese nella vita di tutti i giorni?
Secondo il pensatore contemporaneo Tu Wei-ming, il confucianesimo è una visione del mondo, un'etica sociale, un'ideologia politica, una tradizione letteraria e un modo di vivere; e il popolo cinese è confuciano nel profondo, a trecentosessanta gradi. Il mosaico dei testi che compongono "Confucio re senza corona" rappresenta una mappatura dell'eredità di Confucio: oltre ai due saggi di Lu Xun appena citati, Alessandra Lavagnino ci introduce nella "civiltà del segno scritto" e traduce la prima biografia di Confucio, quella del grande storico imperiale del II sec. a.C. Sima Qian; Elisa Sabattini presenta uno studio sulla musica e Confucio, Amina Crisma ci illumina sull'accoglienza del saggio in Europa, Valeria Varriano racconta quale Confucio appare oggi sui teleschermi delle famiglie cinesi ecc.. Se, invece, parliamo del Confucio dei Dialoghi, c'è un eredità che dovrebbe essere raccolta nella vita di tutti i giorni non solo dal popolo cinese, ma da tutti noi: meritocrazia e centralità dell'uomo.
Nel suo intervento lei parla dello "sconcertante rispolvero di alcuni concetti chiave del confucianesimo da parte del governo". Perché lo ha definito "sconcertante"?
Lo sconcerto trae origine dalla rapidità con la quale il confucianesimo è passato nel giro di un trentennio dall'essere stigmatizzato come simbolo della "classe dei proprietari di schiavi, la prima classe rovesciata della storia" al proprio glorioso rilancio.
Nel suo intervento racconta che, secondo un recente sondaggio, Confucio è tra i dieci simboli culturali della Cina contemporanea. Come rivela poi in seguito, il sondaggio era stato somministrato a 2.000 studenti universitari, campione ben poco rappresentativo della popolazione cinese. Inoltre la maggior parte dei simboli fra i quali era possibile scegliere fossero molto più tradizionali che contemporanei. Perché si è voluta dare un'immagine di una Cina moderna "affossata" nel passato?
Difficile indovinare le intenzioni di chi ha "costruito" il sondaggio. Certamente il ritorno al passato e alla tradizione può essere rassicurante, ma esistono in Cina più forze, più movimenti: alle spinte nazionaliste e conservatrici senz'altro si contrappongono "germogli di società civile", per citare Cavalieri e Franceschini (questa intervista). La rete ha creato uno spazio preferenziale per il moltiplicarsi delle voci, nascono così personaggi anche "contro", come il giovane Han Han, blogger seguitissimo che il Time ha decretato come uno dei personaggi più influenti del 2010, bastonatore della Cina "affossata" nel passato. Il suo primo romanzo "Le tre porte" che si abbatte contro il sistema dell'istruzione cinese, uscirà in Italia il 14 settembre, mia la traduzione per Metropoli d'Asia.
La ritrovata popolarità di Confucio sembra attribuibile ad una crisi di valori in una Cina in veloce trasformazione e senza saldi punti di riferimento. Ma è stato un ritorno "dall'alto", in cui la classe politica ha saputo cogliere questo senso di smarrimento e ha saputo riempirlo con la "malleabile" spiritualità delle parole di Confucio (basta vedere la trasmissione di Yu Dan sui "I dialoghi" o il film "Confucio"), oppure la leadership cinese ha abilmente cavalcato e fatto proprio uno spontaneo ritorno in auge delle parole di Confucio fra la popolazione cinese?
Forse sono ipotizzabili entrambi i movimenti, ma più che di uno spontaneo ritorno in auge, parlerei di un rispolvero del patrimonio genetico di una civiltà che spesso coincide con precise politiche di soft power.
Si sente dire spesso che i manager asiatici lavorino con un computer in mano e una copia dei " I Dialoghi" nell'altra. In che modo le parole e gli insegnamenti del Maestro hanno formato la classe dirigente cinese?
Credo che la Cina di oggi sia il risultato stupefacente degli enormi stravolgimenti del suo recente passato. Come ama ripetere lo scrittore Yu Hua, la Cina ha compiuto in trenta anni un salto analogo a quello che l'Europa ha spiccato in quattrocento anni, dal Medioevo alla modernità: dalla Rivoluzione culturale i Cinesi sono stati catapultati nell'economia di mercato, è il paese delle possibilità, ma anche del "senza limite". Non so se i manager sfoglino i Dialoghi che si dice tengano in mano, quel che è certo è che sono passati pochi decenni da quando la gente in mano stringeva il Libretto rosso. I Dialoghi sono stati la base della formazione della classe dirigente cinese per duemila anni e, indirettamente, hanno scolpito la forma mentis dell'intero popolo cinese. Come dice Edoarda Masi, sono stati il cemento che ha tenuto insieme una società fortemente gerarchizzata e con differenze abissali fra classi e gruppi sociali. La classe dirigente di oggi è cresciuta in un mondo globalizzato, con differenze fra classi e gruppi sociali ancora più abissali che nel passato, dove arricchirsi è glorioso e dove non importa se un gatto è bianco o nero, finché cattura i topi; non so quale sarà il cemento che terrà tutto questo insieme.
Qual è il segreto della longevità e dell'attualità, come sottolineato da Qu Qingbiao nel suo intervento, del pensiero e delle parole di Confucio, punto di riferimento negativo o positivo ma sempre presente durante la millenaria storia cinese? E' sbagliato puntare l'indice sull'apparente contraddittorietà dell'unico testo tradizionalmente attribuitogli, "I Dialoghi", che potrebbe aver reso il pensiero confuciano anche un contenitore vuoto, un simbolo da poter strumentalizzare o utilizzare come catalizzatore?
Il ventaglio di contributi contenuti in "Confucio re senza corona" offre una catena di risposte a questa domanda. Il nostro viaggio alla scoperta di Confucio, quello storico e quello inventato e reinventato, sia in Cina che in Occidente, rivela essenzialmente le contraddizioni della Cina, così come un approccio cinese alle stesse, ossia che non esiste mai nulla senza il suo contrario. È la nostra cultura che ci ha forzato-formato a pensare al mondo in modalità binaria, dualistica, eppure "l'estate è l'autunno del grano, il sole che sorge è il crepuscolo della lucciola" ci dice Wang Fuzhi, filosofo confuciano del 1600. La Cina è un paese contraddittorio: insegue la tradizione e la sfugge, la riverisce e la sfascia. Non dimentichiamoci, però, che Mao Zedong sottolineava il carattere universale della contraddizione, senza contraddizioni non esisterebbe l'universo.
Secondo Lin Yutang (1895-1976) "i precetti morali della dottrina confuciana sono splendidamente congeniali alla gente comune, perfetti per la classe dirigente come per tutti coloro che si genuflettono al suo cospetto". Per Lu Xun Confucio "escogitò straordinari metodi di governo ma, erano metodi per chi governava per i potenti" e aggiunge che "Si tratta di cose per grandi uomini e per signori". Yu Dan lo consegna al popolo e alle masse grazie alla sua personale esegesi dei Dialoghi nella CCTV e Qiu Qingbiao inquadra le sue parole e i suoi in un contesto globale e attuale. Ma a chi parlò veramente Confucio? Per chi sono le parole de "I Dialoghi"?
Confucio parlava ai signori che erano disposti ad ascoltarlo e a mettere in pratica i suoi insegnamenti per un buon governo. La storia di Confucio è essenzialmente la storia di un fallimento, perché vagò per i regni in cui era frammentata la Cina dell'epoca in cerca di un principe che volesse applicare i suoi consigli. La sua ricerca fu vana e, infine, affidò i suoi insegnamenti ai discepoli. I suoi detti, gli aneddoti sulla sua vita e su quella dei suoi seguaci compongono i Dialoghi, che potrebbero sembrarci solo una collezione di pillole di buon senso, la forma frammentata del testo, del resto, non ci aiuta; ma vale la pena di non arrendersi di fronte alla distanza culturale e temporale. Faccio un esempio: un breve brano racconta la prima delusione vissuta da Confucio, quella che lo porta ad abbandonare tutto e a dare avvio alle sue peregrinazioni: nel suo regno, Lu, il principe accetta in dono dal regno di Qi delle danzatrici e per tre giorni trascura le udienze, l'indignazione per l'inadempienza del principe ai propri doveri spinge Confucio ad andarsene. Credo che noi tutti avremmo molto da imparare dalla sua integrità.
di Giulia Massellucci
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