CULTURA E ARTI NELLA CINA YUAN

di Adolfo Tamburello*




Pechino, 30 giu. - Precedette la politica culturale Yuan (1271-1368) quella dei sovrani mongoli che regnarono su parti sempre più vaste della Cina a partire da Gengis Khan dal 1211. Cinesi e non, come Liu Bingzhong (1216-1274) e prima di lui Yelu Chucai (1190-1244), furono i promotori della sinizzazione ai massimi vertici di uno stato programmativamente “sino-mongolo” . Istituirono i primi uffici di interpretariato, compilazione di lessici e traduzioni di testi: una schiera di uomini di varia origine e  appartenenza etnica, fino al lama tibetano Phag pa (Drogon Chogyal Phagpa, 1235-1280), incaricato da Kubilai di elaborare un nuovo sistema di traslitterazione plurilingue (uiguro, mongolo, sanscrito, tibetano, cinese). Ne nacque il cosiddetto “alfabeto Phagspa” o dei “caratteri quadrati” ) in sostituzione delle varietà di scritture fino allora in uso per gli idiomi mongoli derivate dall'uigurico. Furono i prodromi dell'accademismo yuan, che crebbe con accademie per gli studi sia cinesi e sia mongoli, tibetani e islamici, largamente diffusi attraverso l'editoria a stampa su imprese statali e private.     
 
Prima dinastia barbarica a regnare su tutta la Cina con un esteso impero continentale e marittimo fino alla Corea, si contornò di esperti nelle varie lingue e culture e grazie anche alle scienze arabo-persiane innovò geografia e cartografia col diretto concorso di viaggiatori centroasiatici e navigatori arabi e indoiranici. Il culmine delle scienze geografiche e cartografiche fu raggiunto nel 1285 col testo Dayuan Dayitong zhi e col merito dell'astronomo persiano Jamal al-Din, il quale voluto da Kubilai alla sua corte fin dagli anni Sessanta, fece curare una mappa cosmografica dal titolo Tianxia dili zongtu. Nel 1297 il monaco taoista Zhu Siben (1273-1337) fu autore del trattato Jiuyu zhi e fra il 1311-20 di una mappa della Cina andata perduta dal titolo Yujitu. Viaggiatore nei mari del Sud, Wang Dayuan pubblicava il Daoyi zhilue, sui “barbari insulari”.

Interessi di natura in prima istanza politico-economica sostenevano gli studi agronomici che produssero nel 1273 il Nonsang jiyao e agli inizi del 1300 il Nongshu di Wang Zhen.

Nel campo degli studi per la Cina, uno scibile a vasto raggio fu compendiato nell'opera enciclopedica Yuhai di Wang Yinlin (1223-1296). 

L'Accademia storica, Hanlin guoshi yuan, assicurò la continuità della tradizione storiografica ufficiale producendo le storie delle precedenti dinastie Liao, Jin e Song, quest'ultima completata tra il 1344-45 e diretta dal mongolo Toktogha (cin. Tuotuo).

Il cinese letterario dell'epoca accentuò l'unificazione della lingua scritta con quella parlata attingendo ai gerghi dialettali e in particolare al dialetto di “Pechino” (l'allora Dadu) che cominciò a farsi strada come “mandarino” e lingua viva dalla maggiore semplificazione tonale. Un processo su tempi lunghi di cui gli studi sui testi di Dunhuang scoperti nel Novecento hanno da tempo illustrato come ormai da secoli il cinese colloquiale tendesse a divenire un  mezzo di comunicazione orale e scritta sempre più accreditato anche sul piano letterario, si voglia o non che il fenomeno risalisse  all'osticità del cinese classico per le élite barbariche frattanto intervenute in Cina.

Fu comunque una svolta  di grande futuro per la letteratura sia colta sia popolare, e la prima, soprattutto quella di genere storiografico, incentivò la popolarizzazione della narrativa storica a cominciare dal Wudai shi pinghua (Storia delle Cinque Dinastie in lingua corrente), che fu un prototipo di numerosi romanzi nati dagli huaben, cioè dai “testi recitativi” di anonimi cantastorie, presi anche solo come soggetti da molta nuova narrativa d'autore e soprattutto per il repertorio teatrale.

Il teatro Yuan fu il primo di cui ci sono arrivati testi e nomi di drammaturghi e fece la gloria di Pechino col suo “Teatro del Nord” (peiqu), antesignano della moderna Opera di Pechino. Era un teatro d'uomini in carne e ossa, non un teatro d'ombre, né di burattini e marionette. Questi proseguivano la loro storia rinnovandosi anch'essi per mutui contatti in particolare con lo zaju.

Rimangono i primi nomi di famosi drammaturghi. Uno degli eminenti  fu Guan Hanqing, attivo nella seconda metà del secolo XIII e annoverato per fama e popolarità come lo Shakespeare cinese. Altri famosi: Ma Zhiyuan, autore del Huangliang meng (Il sogno del miglio giallo), Wang Shifu, di cui si ricorda lo Xi xiangji (La storia del padiglione occidentale) e il meridionale Gao Ming, rimasto celebre per il suo Pipaji , ispirato a una storia sull'omonimo strumento musicale.      

Nel campo dell'architettura e delle arti, artisti e tecnici stranieri introducevano nuove piante di edifici, strutture monumen¬tali di fortificazioni, porte, archi. Molti ponti di Khanbaliq, costruiti precedentemente in legno, erano sostituiti tra la fine del secolo XIII e gli inizi del XIV da strutture in pietra. In pietra erano lastricate strade su lunghi chilometraggi.

Alle corti mongole prestavano regolare servizio tecnici e lavoranti stranieri fra i quali molti europei. Alla metà del secolo XIII, a Karakorum, operava un rinomato orefice di Parigi, Guillaume Boucher,  una situazione che si ripeteva a Pechino, pur con artisti rimasti anonimi. Specialmente gli artigianati basati su materie prime d'importazione (come corni, avori, nefriti e altre pietre preziose o semipreziose), si avvalevano di gran numero di tecnici stranieri che introducevano nuove lavorazioni presso le manifatture imperiali. 

Su influenza iranica attecchiva il cloisonné, una tecnica di smaltatura “tramezzata” o a “cellette” e “alveoli”, applicata a oggetti di bronzo, ottone o rame con fili metallici saldati o incollati con adesivi vegetali. Di sostenuta origine bizantina, era estesa in Cina con successo alla lacca e alla ceramica. Lo steso dicasi dello champlevé.

Dalla Corea era conosciuta la tecnica della lacca rossa intagliata, perfezionata durante la successiva epoca Ming per diffondersi in tutto il mondo.

Mentre Jingdezhen diventava fin da allora il più grande centro ceramistico della Cina, la porcellana bianco e blu iniziava il suo glorioso cammino verso Occidente fino in Europa.

Arte maggiore nella considerazione intellettuale rimaneva la pittura. Quella religiosa, su influenza del lamaismo, coltivava iconografie tantriche, ma una parte di essa continuò a nutrirsi dello spirito del Chan e presentò figure di personaggi buddhisti di una spiritualità briosa e ilare o con “ritratti” di Arhat, animò intorno alle figure di estatici eremiti un'atmosfera magica non priva di una sottile vena umoristica.

Lo spirito della pittura dei letterati continuò a informare gran parte della produzione e in particolare il genere paesaggistico che annoverò in Gao Kegong (1248-1310) e Ni Zan (1301-1374) i due artisti forse più ispirati e fecondi. In particolare Ni Zan, dotato di uno stile molto lineare, fu annoverato fra i “Quattro Grandi Maestri” dell'epoca con Huang Gongwang (1269-1354), Wang Meng (1308-1385) e Wu Zhen (1280-1354), quest'ultimo monaco taoista, poeta e calligrafo. Una pittura naturalistica fu sviluppata attraverso raffigurazioni di elementi tratti dal mondo vegetale (orchidee, bambù) e da quello animale (pesci, uccelli) con un attento studio dal vero. Il ritratto e il genere celebrativo profano si alimentavano delle istanze documentaristiche e di annotazioni storiche e di costume: genti straniere, scene di caccia e di guerre, talora immersi in un'atmosfera epica. Fra i dipinti di cavalli figurarono i destrieri arrivati in Cina con la missione Marignolli donati dal nostro Roberto d'Angiò. Una personalità di spicco fu quella di Zhao Mengfu (1254-1322), rimasto famoso proprio per le figure di animali e specialmente di cavalli. Il rotolo raffigurante il “bivacco dei cavalieri mongoli” è caratteristico di un repertorio aperto ai nuovi tempi e alle nuove mode per i temi allusivi ai costumi dei dominatori stranieri, che furono coltivati da tutto un filone della pittura Yuan.  Curiosa l'adesione a tali repertori da parte di Zhao Mengfu, principesco discendente dei Song, mentre il nipote, Wang Meng, fu su estreme posizioni anti-Yuan e fu pittore di montagne e foreste, condividendo con gli altri Maestri calligrafi la pittura su carta, più idonea della seta come materiale scrittorio.

Il ritiro o l'esclusione di molti intellettuali da cariche ufficiali alimentò un'intensa vita di circoli letterari e artistici.


30 giugno 2015

 

*Adolfo Tamburello già professore ordinario di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente all'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'.

 

30 giugno 2015

 

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