COORDINATORI DEL SUZHOU WORKING GROUP (SWG)
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FEDERICO BONOTTO E RENATO SOGGIA
COORDINATORI DEL SUZHOU WORKING GROUP (SWG)
Shanghai, 28 giu. - Doppia intervista: Federico Bonotto e Renato Soggia, coordinatori del Suzhou Working Group (SWG)
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La parola a Federico per un'introduzione alla realtà delle imprese italiane operative nella municipalità di Suzhou.
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F.B: Nel 2006 a Suzhou c'erano soltanto sei imprese italiane e i sei General Manager che le rappresentavano hanno pensato di istituire un appuntamento mensile, una sorta di meeting, nel corso del quale affrontare temi e problematiche di interesse comune. Nell'arco di 4 anni le cose si sono evolute gradualmente ma costantemente. Oggi le imprese raggruppate sotto il nostro ombrello sono ben 64 e il gruppo di lavoro si è unito alla Camera di Commercio Italiana in Cina (CCIC), in quanto tutte queste aziende sono associate alla Camera. Sotto la giurisdizione del SWG, sono inoltre stati creati dei piccoli gruppi di lavoro 'ad hoc', come l'HR (Human Resources) Club e il Financial Club. Attualmente in cantiere ci sono altri due progetti, che prevedono la realizzazione di un Logistic Club e di un Quality Club. Il concetto alla base della creazione del SWG è 'fare massa' nei confronti della realtà locale. Poiché la dimensione delle nostre aziende è medio-piccola – mentre le aziende cinesi locali o le multinazionali sono di grandi dimensioni – il dialogo con il governo deve avvenire in coordinamento. Se ci relazionassimo come singoli interlocutori non riusciremmo a produrre alcun risultato concreto.

'Fare massa', per far fronte a problematiche comuni. C'è competizione?

R.S.: Noi siamo tutte aziende manifatturiere, non dei servizi. Pertanto all'interno del nostro gruppo non vi è competizione. Quello che ci accomuna e ci da forza è indubbiamente avere obiettivi comuni. Come diceva pocanzi Federico, l'unione fa la forza: nel complesso, le aziende operative nella municipalità di Suzhou vantano oltre 659milioni di euro di investimenti, occupano circa 10mila addetti e coprono, con i loro capannoni produttivi, più di 600mila metri quadrati di spazio. Questi numeri parlano da soli, ma hanno efficacia solo a patto che restiamo un fronte compatto.

F.B.: Confermo quanto ha detto Renato. Come aziende manifatturiere produciamo un prodotto, sappiamo da chi rifornirci e dove lo piazzarlo. La competizione sarebbe un problema se fossimo aziende operative nel settore dei servizi.  Allora, per aumentare il portafoglio clienti, la competizione sarebbe feroce. All'interno del gruppo c'è comunicazione totale: lo scambio di informazioni è vitale, equivale a creare delle sinergie. 

Spesso si lamenta il fatto che l'Italia non è in grado di fare sistema tra le sue istituzioni. Che opinione avete a riguardo della missione di sistema che ha visitato Chongqing, Shanghai e Pechino all'inizio di giugno?

R.S.: Di sicuro la realtà italiana è molto diversa dalle altre realtà internazionali, come ad esempio la Francia o la Germania. La dimensione delle nostre aziende è molto più piccola rispetto a quella delle multinazionali europee. Spero che la missione di sistema organizzata da Confindustria, ICE e ABI abbia interpretato la propria visita al fine di creare dei contatti per iniziare delle produzioni per il mercato locale. Produrre in Cina per la Cina, è questa la nuova filosofia da sposare. E mi auguro che le occasioni in cui, come questa volta, le autorità scendono in campo direttamente per dare sostegno agli operatori siano sempre di più.

F.B.: Mi trovo nuovamente in sintonia con Renato. Oggi ha senso guardare al mercato locale: la Cina è il più grande mercato al mondo e quello con un ritmo di crescita più elevato. Per sfruttare questa opportunità dobbiamo puntare a mantenere prezzi competitivi rispetto a quelli delle aziende cinesi e essere loro superiori in termini di know-how tecnico e manageriale.

Competitività sul prezzo, know-how e management. Questi gli ingredienti che costituiscono il plus valore delle aziende italiane. Come sono organizzati i centri di ricerca e sviluppo delle vostre aziende?

R.S.: la fase di ricerca e sviluppo è e sarà mantenuta in Italia. Per avere successo nel mercato cinese le nostre aziende devono proporre un prodotto di qualità e ad alto contenuto tecnologico. Se producessimo un prodotto competitivo solo sul prezzo le nostre aziende avrebbero un futuro molto breve, perché ci confronteremo con le imprese cinesi laddove queste si esprimono al meglio. Solo immettendo nel mercato un prodotto di qualità superiore – che le aziende locali non sono ancora in grado di produrre – si aprono per noi degli spazi di mercato interessanti. Questo è il nostro punto di forza e lo sarà anche nel prossimo futuro.

F.B.: Anche nella mia realtà industriale, il centro di ricerca e sviluppo è localizzato in Italia. Qui in Cina la mia azienda produce un prodotto finito, ma i componenti utilizzati nel processo di assemblaggio si suddividono in due categorie: chiave e no. I componenti 'chiave' vengono importati e, a causa dei dazi e dei prezzi di logistica, hanno un costo assai elevato; quelli 'non-chiave' vengono invece reperiti nel mercato locale e ci permettono di risparmiare sui costi di produzione.

Il 9 giugno scorso, in occasione del terzo "Meeting tra le Autorità Municipali di Suzhou e le Aziende Italiane", è stato più volte elogiato il vostro lavoro, tanto da essere considerato un 'modello da imitare'. Qual è la vostra opinione da interni?

R.S.: Sinceramente non ci siamo mai posti l'obiettivo di diventare un modello, né tantomeno ci sentiamo di esserlo. Quello che facciamo e abbiamo fatto è in primo luogo nell'interesse di tutti noi; se poi costituisce un punto di partenza e fonte di ispirazione per altri imprenditori, non può che farci piacere.

Il Governo cinese come interlocutore. I vostri rapporti hanno risentito della crisi dello scorso anno?

R.S.: La crisi in Cina non si è sentita forte come in Europa. Il Governo ha sostenuto le aziende e ha supportato l'economia in maniera massiccia. Qui c'è stato un piccolo calo della produzione tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009, ma già dalla seconda metà dell'anno l'economia ha iniziato a riprendersi. La crisi si è sentita maggiormente fra le aziende che avevano come mercati di riferimento quello europeo o americano.

Il concetto di 'indigenous innovation' è il nuovo baluardo della politica del Governo cinese. Le strategie e le condizionalità del governo sono cambiate nei confronti degli investimenti esteri diretti (FDI)?

R.S.: Il nocciolo della questione è che oggi la Cina ha un'economia forte e una crescita costante e quindi non ha più bisogno delle aziende straniere e degli FDI come l'aveva in passato. Pertanto tanto il governo centrale che i governi locali locale hanno la possibilità di rifiutare degli investimenti che non sono conformi con le nuove regole e i nuovi obiettivi. Possono scremare, selezionare e dare priorità a quelle imprese e a quei progetti che più possono essere utili al loro sviluppo futuro.

di Giulia Ziggiotti

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