CINA: INVESTITORI STRANIERI POTRANNO REGISTRARE GRUPPI E-COMMERCE
di Giovanni Pisacane
(Managing Partner GWA - Greatway Advisory)
Shanghai, 19 giu. - Il commercio in rete ha oggi in Cina un volume ragguardevole e in rapida espansione. Sono rappresentati i due modelli della “vendita in proprio”, in cui l’operatore vende prodotti direttamente attraverso una piattaforma propria (Amazon e, in origine, JD.com), e del c.d. marketplace website, in cui la piattaforma internet fornisce solo un “mercato” dove gli operatori possono aprire un proprio “negozio online” (è il caso di Alibaba, Taobao e, oggi, anche JD.com).
Il commercio online si sta espandendo non solo in termini di volume d’affari, ma anche con riguardo ai tipi di prodotti smerciati. È prossima, ad esempio, l’apertura al commercio in rete di medicinali: JD.com e Alibaba stanno negoziando, rispettivamente, con Shanghai Pharmaceutics e con la statunitense Merck, mentre le autorità di Pechino approntano una lista di medicinali dei quali sarà permesso il commercio in rete.
La revisione del Foreign Investment Guidance Catalogue entrata in vigore il 10 Aprile 2015 ha eliminato le preesistenti restrizioni all’investimento estero nel settore dell’e-commerce (49% del capitale di una joint venture): i soggetti stranieri possono investire nel settore attraverso joint venture con investimento maggiore del 49%, oppure costituendo società a totale partecipazione estera (WFOEs). Inoltre, la registrazione della joint venture o della WFOE presso l’Amministrazione Statale per l’Industria e il Commercio (SAIC) può oggi essere ottenuta senza necessità di previa approvazione da parte del Ministero del Commercio.
Detto sviluppo è stato anticipato da una sperimentazione condotta nella zona di libero commercio di Shanghai, dove il tetto del 49% per l’investimento estero nel settore dell’e-commerce è stato abolito già il 13 Gennaio 2015. La lista dei settori soggetti a restrizioni all’investimento estero (c.d. negative list) per le quattro zone di libero commercio di Shanghai, Fujian, Guangdong e Tianjin, entrata in vigore l’8 Maggio 2015, non sottopone il settore in oggetto ad alcun limite.
Ad oggi, nonostante i limiti all’investimento estero nel commercio online siano stati eliminati in tutto il territorio nazionale, effettuare tale tipo di investimento nelle quattro Free Trade Zones presenta ancora rilevanti vantaggi, dovuti essenzialmente all’extraterritorialità doganale che caratterizza dette zone e alla forte razionalizzazione delle procedure amministrative. Un’ulteriore attrattiva è data dal prossimo avvio di forme di cooperazione doganale fra, rispettivamente, la FTZ del Guangdong e Hong Kong e Macao, fra la FTZ del Fujian e Taiwan, fra la FTZ di Tianjin e Pechino e la provincia dello Hebei.
Una prima tematica intuitivamente rilevante per l’e-commerce è quella della firma elettronica. La Legge sulla firma elettronica della Repubblica Popolare Cinese, in vigore già dal 2005, ha subito lievi modifiche con la riforma entrata in vigore il 24 Aprile 2015. La firma elettronica ha lo stesso effetto della firma tradizionale o dell’apposizione del timbro societario, purché sia “affidabile”; sono posti precisi requisiti per la validità del documento elettronico a cui essa è apposta.
La firma elettronica deve essere certificata da un fornitore di servizi di certificazione elettronica (electronic certification service provider) autorizzato dall’autorità competente. La Legge pone inoltre regole riguardanti il tempo e il luogo dell’invio e ricevimento del documento elettronico; è disciplinata la responsabilità del firmatario e dell’ente certificante per i danni causati a terzi i quali abbiano fatto affidamento su una firma elettronica viziata.
Una seconda tematica rilevante per l’e-commerce è quella dei pagamenti da e verso l’estero. I pagamenti effettuati dall’estero verso la Cina non sollevano problematiche diverse da quelle a cui l’operatore occidentale è abituato. Lo stesso non si può dire dei pagamenti effettuati dalla Cina verso l’estero, i quali sono controllati dall’Amministrazione Cambiaria Statale (SAFE) e possono avvenire solo attraverso istituti da essa autorizzati.
Già nel 2013 la SAFE ha lanciato un programma pilota riguardante i pagamenti transfrontalieri risultanti da transazioni online, limitato ad istituti autorizzati nelle zone di Shanghai, Pechino, Chongqing, Shenzhen e Zhejiang. Una circolare datata 16 Marzo 2015, preso atto dell’esito soddisfacente della prima fase sperimentale, ha introdotto alcune significative innovazioni. Il limite per singola transazione è innalzato da USD 10.000 a USD 50.000; è allentato il limite al numero di conti abilitati al pagamento estero che possono essere aperti da ciascun istituto. Gli istituti attraverso cui il pagamento è effettuato sono tenuti a verificare l’autenticità delle transazioni, conservando la documentazione rilevante per cinque anni dalla data della transazione, ed a collaborare prontamente con la SAFE per qualsiasi richiesta di informazioni od ispezione.
Quanto ai profili fiscali, nonostante il commercio online sia teoricamente sottoposto alle stesse regole che valgono per ogni altra forma di commercio, esso è molto difficile da controllare, vuoi per la sua rapida espansione e per le modalità diverse da quelle del commercio tradizionale, vuoi per la mancanza di adeguate infrastrutture di controllo. Pertanto, l’e-commerce ad oggi sfugge, in gran parte, alla tassazione. Tuttavia, le competenti autorità hanno abbondantemente segnalato la volontà di sottoporre ad un’effettiva tassazione anche l’e-commerce: un esempio è dato da una recente circolare dell’Ufficio Generale delle Imposte di Pechino riguardante la tassazione del commercio di software e pubblicazioni elettroniche.
Al commercio online si applica una serie di disposizioni in tema di tutela dei dati personali. Nell’assenza di una legge unica, le basi della materia sono sintetizzate nella Decisione sul rafforzamento della protezione delle informazioni in rete, emanata dal Comitato Permanente del Congresso Nazionale del Popolo alla fine del 2012. Alla menzionata Decisione si sono affiancati, nel tempo, altri atti normativi: fra essi spiccano le Regole sulla protezione dei dati personali degli utenti di telecomunicazioni ed internet, del 2013, e le Misure amministrative sul commercio online, del 2014. Inoltre, alla materia si rivolge anche la Legge sulla protezione dei consumatori, da ultimo rivista nel 2013.
La tutela dei dati ha per oggetto tutte le “informazioni elettroniche che possono essere usate per identificare un singolo cittadino o coinvolgono la privacy di un cittadino” (Decisione sul rafforzamento). I dati in questione devono essere raccolti ed usati in modo legittimo ed appropriato e solo nella misura in cui ciò sia necessario, similmente a quanto avviene nella direttiva UE sulla protezione dei dati (principi di trasparenza, scopo legittimo e proporzionalità). In particolare, nel settore delle telecomunicazioni – il quale è definito in maniera piuttosto ampia ed include anche il commercio online – valgono i requisiti della prior disclosure (l’utente deve essere informato circa il trattamento dei suoi dati) e del previo consenso dell’interessato.
Non risulta presente, ad oggi, alcuna normativa che regoli il trasferimento dei dati all’estero.
L’ultima riforma della Legge sulla protezione dei consumatori ha ampliato il raggio della tutela ad includere i dati personali dei consumatori, ricalcando sostanzialmente i principi posti dalla citata Decisione sul rafforzamento. La Legge pone una serie di sanzioni civilistiche ed amministrative per la violazione delle pertinenti regole (notevole la previsione della sanzione pecuniaria fino a dieci volte l’ammontare dei ricavi illeciti, o di RMB 500.000 in mancanza di ricavi). Nel complesso, nonostante il quadro normativo sia ancora piuttosto nebuloso, l’evoluzione va nel senso di una sempre maggiore precisione nella normativa e di un sempre maggior rigore nell’applicazione.
L’e-commerce pone particolari problemi in termini di protezione della proprietà intellettuale. La piattaforma internet che ospiti offerte di prodotti contraffatti può andare incontro a responsabilità per violazione indiretta o a titolo di concorso con il venditore (c.d. contributory infringement); pertanto, ogni piattaforma di e-commerce ha interesse a rimuovere le offerte di prodotti contraffatti. Occorre tuttavia distinguere la situazione dei maggiori siti di commercio in rete da quella delle piattaforme minori.
Alibaba e Taobao, fra gli altri, hanno una procedura standardizzata e automatizzata per la rimozione delle offerte che violino diritti di proprietà intellettuale (online complaint system). È possibile presentare un reclamo allegando copia della licenza commerciale, documenti comprovanti la titolarità di un diritto di proprietà intellettuale e, ove il reclamo sia fatto per conto terzi, un atto di procura. Il soggetto responsabile dell’offerta “incriminata” ha la possibilità di replicare al reclamo; ove egli non replichi, o qualora a seguito del dibattito fra le parti la violazione risulti sussistere, l’offerta è eliminata. Il responsabile può essere inoltre sanzionato con la cancellazione dell’account.
Ciò non significa, tuttavia, che i grandi operatori dell’e-commerce cinese siano al sicuro da accuse di incoraggiamento all’infrazione della proprietà intellettuale. Nel Maggio 2015 il gruppo Kering, titolare dei marchi Yves Saint Laurent, Gucci, Balenciaga ed altri, ha agito a New York contro Alibaba Group per le numerose transazioni compiute nelle sue piattaforme online in violazione dei diritti di proprietà intellettuale.
Un altro grande problema del commercio online in Cina è dato dalle vendite fittizie (c.d. brushing). Un soggetto, il brusher, riceve un compenso da un commerciante per fare ordini nel suo negozio online; una parte del compenso serve a pagare gli ordini; il commerciante invia al fittizio acquirente imballaggi vuoti. Il maggior numero di transazioni effettuate – e di “commenti” positivi – permette al commerciante di essere più visibile e di aumentare i propri ricavi.
Dall’altra parte, la pratica delle vendite fittizie può giocare anche a favore del gestore della piattaforma di commercio online, dato che aumenta il volume (teorico) d’affari. Sia Taobao sia JD.com sono state recentemente accusate di incoraggiare il brushing; Alibaba, invece, si fa un vanto del fatto che le transazioni fittizie vengono scomputate dal calcolo finale del volume delle vendite.Non vi è, ad oggi, alcun atto normativo statale che indirizzi specificamente il problema; vi è tuttavia una chiara tendenza a sanzionare con severità le condotte in oggetto, come indicano recenti provvedimenti presi da alcune Amministrazioni locali per l’Industria e il Commercio.
Se da una parte la Cina ha aperto il mercato dell’e-commerce all’investimento straniero, dall’altro lato alcune politiche perseguite dal Governo centrale potrebbero creare ostacoli all’espansione delle imprese estere nel settore. Per operare nel settore in parola è necessario, ovviamente, poter accedere ad internet in maniera veloce ed efficiente; date le restrizioni esistenti in Cina all’uso di alcuni siti (Google, ecc.), è prassi normale servirsi di piattaforme VPN (Virtual Private Network), le quali, convogliando il flusso di dati attraverso un server posto all’estero, permettono una sorta di “esterovestizione” dell’utente, il quale riesce così ad aggirare le restrizioni all’uso di determinati siti.
Il Governo cinese applica da anni misure volte a contrastare l’uso di servizi VPN, le quali, vuoi per una politica di maggiore severità nell’applicazione della normativa sul tema, vuoi per un miglioramento dei mezzi tecnici a disposizione delle competenti autorità, dall’inizio del 2015 hanno cominciato a colpire anche i providers di servizi VPN situati all’estero. Di conseguenza, è divenuto nel complesso più difficile accedere a siti e piattaforme internet non cinesi.
Eloquenti indicazioni vengono dal disegno di riforma della Legge sulla sicurezza nazionale reso pubblico nell’Aprile 2015. Secondo l’art. 26 del disegno, “Lo Stato stabilisce sistemi nazionali per la salvaguardia della sicurezza di internet e informatica […] e protegge la sovranità nazionale sullo spazio internet, nonché gli interessi della sicurezza e dello sviluppo”. Inoltre, il Paese deve “ottenere sicurezza e controllo circa le tecnologie di base di internet e dell’informatica, le infrastrutture chiave ed i sistemi di dati ed informazioni importanti”.
I nuovi problemi generati dall’espansione del commercio online hanno fatto sorgere la necessità di una normativa più puntuale in materia. È all’esame delle competenti commissioni governative una bozza di atto normativo sul commercio in rete, il quale sarà formalmente pubblicato come Progetto di Legge entro la fine del 2015. Secondo le dichiarazioni rilasciate in proposito da rappresentanti del Congresso Nazionale del Popolo, obbiettivi della legislazione saranno la promozione di un commercio in rete onesto, trasparente e sano, la tutela della qualità dei prodotti e dei diritti dei consumatori, nonché la protezione della proprietà intellettuale. Si tratta, in sintesi, di spronare l’innovazione mantenendola però, al tempo stesso, entro i limiti della legalità.
Eloquenti segnali sono giunti dal Governo centrale nel primo semestre del 2015. Una relazione resa pubblica dalla SAIC ha criticato Taobao per le violazioni della proprietà intellettuale e per la scarsa qualità di alcuni prodotti venduti. L’8 Maggio 2015, poi, il Consiglio di Stato ha emanato un documento intitolato Opinioni Guida sul vigoroso sviluppo del commercio in rete, rivolto in prima battuta al commercio online di prodotti agroalimentari, il quale mira a lanciare misure di sostegno allo sviluppo congiunto di internet e agricoltura attraverso l’implementazione di concetti moderni di catena industriale, dei prezzi e delle forniture.
In conclusione, il nuovo approccio del Governo cinese alla regolamentazione del commercio in rete è improntato ad una combinazione di innovazione e controllo.In questo contesto va inquadrata l’apertura del settore del commercio in rete agli operatori stranieri: le misure per lo sviluppo del settore sono volte in primo luogo – come del resto è naturale – ad incoraggiare lo sviluppo delle imprese domestiche. L’apporto degli operatori esteri – ai quali peraltro sono offerte rilevanti opportunità di profitto – a tale sviluppo dovrà collocarsi nel solco di una normativa sempre più precisa e dall’applicazione via via più rigorosa.
17 aprile 2015
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