Milano, 21 gen. - La Cina accenna a premere il pedale del freno della politica monetaria e i mercati di tutto il mondo tremano. Temono che il sogno possa interrompersi, la bolla esplodere. E continuano a domandarsi: riparte, non riparte, il ciclo mondiale? L'avvicendarsi dei giudizi sull'andamento dell'economia mondiale si va facendo sempre più vorticoso. Ed è difficile convincersi dell'una o dell'altra tesi, tali sono i margini di incertezza che il quadro generale ancora presenta.
Su un elemento, però, tutti paiono concordare. La chiave della ripresa sta nella capacità delle nuove economie di acquisire il ruolo di locomotiva. Il consumatore Usa, che per anni si è sobbarcato questo compito, è chiaramente messo fuori gioco dalla fine del credito facile. E dunque, devono essere le nuove economie, in primis i paesi del BRIC, a prendersi carico di trainare il mondo intero fuori dalle secche della recessione e della stagnazione. E tra questi paesi, è evidente che è la Cina quello in cui si ripongono le maggiori speranze e su cui si concentrano gli sguardi ansiosi degli analisti di ogni dove. Sia perché emerge chiaramente come quello che è riuscito a contrastare la crisi in maniera più rapida ed efficace, sia perché è quello che è riuscito a mantenere il ritmo di espansione più elevato, ormai da diversi anni.
Visto il valore della posta in gioco, i tempi e i modi della ripresa mondiale, è lecito sollevare un altro dubbio. Quanto è solida la crescita della Cina? E' davvero sostenibile il mantenimento di un tasso di crescita così elevato (per il 2010 la previsione ufficiale è per un Pil in crescita poco più dell'8%) per altri cinque-dieci anni? E, ancora, può la Cina fungere da motore dell'economia mondiale?
Lo scetticismo appare pienamente giustificato, perché quanto è accaduto all'economia cinese negli ultimi venticinque anni non ha precedenti nella storia economica. Il mantenimento di un tasso di espansione così significativo per così tanto tempo è un fatto mai riscontrato in precedenza. E la capacità del sistema economico cinese di attraversare senza eccessivi scossoni i momenti di crisi, anche drammatici come quella più recente, non può non lasciare senza parole.
Nei giorni scorsi l'Economist ha affrontato questi temi, mettendo a confronto il fenomeno cinese con il percorso fatto dal Giappone e paventando la possibilità che anche Pechino possa finire come Tokio, e cioè dopo una lunga fase di forte sviluppo possa cadere in una stagnazione da eccesso di investimento. Il prestigioso settimanale è giunto però alla conclusione che Cina e Giappone non sono paragonabili, soprattutto perché la Cina parte da un livello di sviluppo e di stock di capitale, estremamente più basso. Ha quindi ampi spazi per crescere ulteriormente e a ritmi elevati.
Ma quello dell'eccesso di investimento è in effetti un rischio che la Cina corre per davvero. Gli imprenditori cinesi hanno sempre mostrato una formidabile tendenza a reinvestire in azienda quanto guadagnato, senza peritarsi di valutare quale possa essere l'effettivo ritorno atteso di tali investimenti e se il mercato in cui operano offra le prospettive per assorbire la produzione aggiuntiva. E anche se nel complesso, fino ad oggi, gli è andata bene, perché lo sviluppo dell'economia ha consentito abbondanti ritorni sull'investimento, diversi settori e diverse aree del paese soffrono crisi, magari non visibili dall'esterno, ma sicuramente molto serie.
Un esempio tipico è quello dell'industria tessile. Gli operatori cinesi sono qui da noi considerati i killer del tessile di basso gamma italiano. In realtà, oltre a spingere fuori mercato tante aziende italiane a partire dal 2000, le aziende cinesi, crescendo e investendo a tutto spiano, hanno anche attivato un processo di concorrenza feroce che ha alla fine messo in ginocchio molte di loro. Il Guandong, ma anche il Fujian e lo Zhejiang, sono province in cui il tessile e l'abbigliamento stanno vivendo, ormai da un paio di anni, una forte crisi, di cui si parla poco, ma che è visibile ad esempio a occhio nudo osservando l'enorme numero di capannoni vuoti lungo l'autostrada che da Hong Kong porta a Guangzhou. Un discorso analogo potrebbe essere fatto per il calzaturiero.
Altro settore in bilico è quello del real estate, anche se il mercato immobiliare nelle grandi città si mostra ancora robusto. E va detto che il governo fino ad ora è sempre parso in grado di controllare e gestire le situazioni critiche. E che lo sviluppo del mercato interno dovrebbe consentire nuovi sbocchi ad un'industria finora trainata dall'export.
Insomma, il gigante cinese è ancora forte e in salute, ma vanno seguite da vicino le situazioni specifiche di alcuni settori. Oggi si tratta di macchie di leopardo. Un domani le macchie potrebbero estendersi. E mai come adesso, un problema in Cina, sarebbe una catastrofe per il mondo intero.
di Lorenzo Stanca
Lorenzo Stanca, salernitano, 47 anni, tra i founding partners di Mandarin Capital Partner, il fondo di private italo-cinese che ha cominciato ad operare a fine 2007, Lorenzo Stanca vanta una carriera venticinquennale in istituzioni fianziarie di alto profilo.Precedentemente all'esperienza di Mandarin, Stanca era stato responsabile delle Strategie Operative al Sanpaolo Imi. Al Sanpaolo era arrivato nel settembre del 2005 proveniente dal gruppo UniCredito dove era stato Capo dell'ufficio studi e poi capo dell'area mercati in UniCredit Banca Mobiliare, la banca di investimento del gruppo, di cui era stato uno dei fondatori.
E' presidente dal 2006 del Gruppo Economisti di impresa, l'associazione italiana degli economisti che lavorano in azienda sia negli uffici studi che in altre posizioni.Lorenzo Stanca è autore di numerosi paper su riviste accademiche e co-autore di libri di economia e finanza (di recente è stato tra gli autori di "Cina: la conoscenza è un fattore di successo" e "L'elefante sul trampolino" pubblicati dall'Arel), oltre a pubblicare frequentemente articoli su riviste e giornali economici.
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternerano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Lorenzo Stanca cura per AgiChina24 la rubrica di economia e finanza.