Se in Cina spunta un cartello che vieta l'ingresso ai cani. E alle femministe
La Cina è stato uno dei primi paesi nel dopoguerra a promuovere l'emancipazione di genere, tanto da ispirare diversi intellettuali del '68 europeo. Oggi la situazione è profondamente cambiata.

Vietato l'ingresso a cani e femministe. Questo cartello non è stato ancora affisso su alcun muro, ma è piuttosto la fotografia di un retroscena culturale scomodo in Cina. Ultimamente, con il crescere dei moti femministi, è sempre più popolare un nuovo termine, coniato nel 2015 dai conservatori di entrambi i sessi:tiányuán nǚquán (田园女权), ovvero “Femminismo di Campagna”. Un chiaro richiamo al cane pastore cinese (tiányuán quǎn), una razza utile per il lavoro nei campi, ma altrettanto docile e impura. Il femminismo è screditato come volgare e contaminato da influenze occidentali. Una sorta di malattia da addomesticare, non diversamente da chi in Europa etichettava le donne in cerca di emancipazione come affette da isteria.
Eppure, la Cina è stato uno dei primi paesi nel dopoguerra a promuovere l'emancipazione di genere, tanto da ispirare diversi intellettuali del '68 europeo. A differenza dell'Europa però, il femminismo mandarino non è nato dal basso, ma è stato un chiaro disegno statale ispirato dalla visione di Mao, nella quale le donne reggono “l'altra metà del cielo” .
Una delle prime azioni della Repubblica Popolare Cinese all'indomani della vittoria comunista, fu infatti riformare i matrimoni, introducendo nel 1950 il divorzio e gli equi diritti sui beni; abolendo concubinaggio, matrimoni forzati e combinati. Non solo, la legge permise alle donne anche il diritto di mantenere il cognome, un gesto che al tempo in occidente non sarebbe stato solo progressista, ma persino radicale.
Il problema è che da allora sono stati pochi i passi avanti. Questo perché l'emancipazione della donna era prima che un diritto umano, una necessità per l'agenda economica del Partito. Con la Legge del Figlio unico, l'avvento del capitalismo e il ritorno all'ideologia neoconfuciana, il femminismo non è divenuto solo un tema secondario, ma soprattutto un tema scomodo, capace di dar voce al pluralismo della società civile.Questa scultura presente nell'Università Tsinghua di Pechino rappresenta le donne in fila ai bagni pubblici.
In Cina i bagni sono distribuiti equamente, metà agli uomini e metà alle donne, senza tener conto delle differenze di genere, tempi e bisogni. E' un rapporto equo ma non eguale. E' partendo da qui, che nel 2012 il movimento Occupy's Men Toilet, guidato da giovani studentesse di Guangzhou, ha occupato i bagni maschili. Un iniziativa giudicata “un successo” dal quotidiano di stato China Daily e capace di riscuotere il favore dell'84% dei netizen cinesi.
L'arresto delle femministe l'8 marzo 2015
L'8 Marzo 2015, festa internazionale della donna, alcune giovani attiviste cinesi, passate alla cronaca come le “Feminist Five”, furono invece arrestate per aver protestato con abiti da sposa insanguinati nelle strade di Pechino, Guangzhou e Hangzhou. Denunciavano le violenze domestiche, che in Cina vedono ancora il 72% degli abusi impuniti. La loro detenzione scatenò un caso mediatico internazionale. Immagini di Rosie the Riveter, icona del femminismo occidentale, iniziarono a circolare nei social cinesi. Hillary Clinton puntò il dito contro Xi Jinping di fronte alla comunità internazionale per le sue politiche e affermazioni misogine. Organizzazioni europee chiesero pubblicamente il loro rilascio mentre quelle cinesi diffusero gli aggiornamenti censurati dal governo. In pochi giorni #FreetheFive divenne un hashtag popolare su Twitter. Un mese dopo le autorità rilasciarono le attiviste.
Il problema delle molestie subite dalle donne cinesi
Non solo, nel 2016 il governo ha introdotto la prima legge contro la violenza domestica, che non sarà più considerata come un fatto privato. Mentre un'azienda di trasporti di Zhengzhou, allo scopo di ridurre le molestie, ha introdotto un servizio di bus per sole donne. Tutti casi sintomo di una forte sensibilizzazione e della crescente influenza di media, ong, imprese e cittadini nelle politiche di regime. Un'influenza che, nonostante i numerosi ostacoli, si dimostra sempre più inarrestabile sia a livello domestico che globale.
Il gala dell'ultimo Capodanno Cinese ne è un altro esempio. Uno show definito “spettacolarmente misogino”da Foreign Policy ed etichettato come “imbrarazzante” e “vergognoso” persino da China Daily. 44 sono i casi di discriminazione contro le donne rinvenuti nello show, portando le organizzazioni civili a promuovere petizioni di migliaia di firme o a richiedere le scuse della CCTV, la tv nazionale.
Qualche settimana dopo, l'account social di Feminist Voices, importante organizzazione femminista cinese, è stato censurato per 30 giorni, scatenando un altro caso mediatico. Questo per aver appoggiato e promosso in Cina lo sciopero indetto negli Usa per la Festa della Donna. La provocazione era chiara: cosa accadrebbe al mondo se stesse “un giorno senza le donne”?