Milano, 24 giu. - Nella relazione Cina-Taiwan stanno accadendo fatti significativi, ma che purtroppo passano praticamente inosservati nel nostro mondo.
Al Palace Museum di Taipei dal 1° giugno al 5 di settembre sarà in esposizione lo scroll (rotolo) completo della famosa opera di pittura e calligrafia "Dwelling in the Fuchun Mountains". Quest'opera fu dipinta nel 1350 da Huang Gongwang, uno dei più grandi artisti della dinastia Yuan (1271 – 1368). Ebbe poi una storia travagliata e, a metà del 1600, in seguito ad un incendio che la danneggiò, fu divisa in due parti che ebbero storie diverse. Oggi una parte si trova al Palace Museum di Taipei (lì portata da Chiang Kai-shek in fuga dopo la vittoria di Mao Zedong) ed una parte è invece al Zhejiang Provincial Museum nella Cina continentale. I due pezzi sono stati temporaneamente riuniti per questa mostra che è frutto di un'alleanza tra vari musei della Cina continentale e il Palace Museum di Taipei.
Altre operazioni simili verranno fatte nei prossimi mesi riunendo pezzi che erano stati separati dalla guerra civile e mostrati, almeno temporaneamente, insieme in varie città cinesi. Il tutto è stato annunciato in prima pagina dal China Daily del 12 giugno con il titolo a tutta pagina "When two are one" di sapore ovviamente anche metaforico.
Un'altra notizia passata inosservata è che da giugno sono possibili viaggi "turistici" individuali per i cittadini continentali a Taiwan e viceversa (questo articolo). Finora erano possibili solo viaggi di gruppo. Tutto questo segue l'accordo di oltre un anno fa con cui venivano finalmente permessi i collegamenti diretti (senza stop over ad Hong Kong) tra continente e Taiwan.
In aggiunta vanno citati gli innumerevoli gruppi di lavoro congiunti sui temi più svariati per facilitare la collaborazione tra le due comunità. Siamo quindi in presenza di una forte "normalizzazione" dei rapporti tra Cina madrepatria e la provincia "ribelle" (definizione del Governo di Pechino) di Taiwan. Non siamo certo alla pace: la tensione è ancora alta e il cahier de doleance da ambedue le parti lungo e importante. Taiwan non ha ancora ufficialmente rinunciato all'indipendenza, né ha rinunciato alle armi (fornite dagli Stati Uniti) e viceversa la Cina non ha rinunciato all'uso della forza per la "liberazione" della provincia ribelle.
E' però indubbio che la situazione è fortemente migliorata e si è spostata sempre più verso gli obiettivi di Pechino, ovvero la riunificazione, eventualmente con la stessa formula di Hong Kong e Macao: uno stato, due sistemi.
Come siamo giunti a questo risultato?
Pechino ha mantenuto una rotta stabile negli ultimi 15 – 20 anni. Quando era al potere il partito democratico con il Presidente Chen (oggi in prigione per 19 anni per corruzione) che dichiarava di volere l'indipendenza, Pechino si è sempre opposta a gran voce e con grande fermezza. Appoggiava invece, con indubbio senso di real politik, il partito di opposizione, il Kuomintang, anche se era lo stesso partito di Chiang Kai-shek battuto da Mao Zedong e con cui è ancora ufficialmente in guerra, perché si oppone all'indipendenza.
Oggi il Kuomintang è ritornato al potere e con lui il governo di Pechino sta tessendo una relazione di forte collaborazione e "normalizzazione" dei rapporti basata su alcuni capisaldi.
Il primo caposaldo è ovviamente l'interesse politico di Pechino di mantenere Taiwan all'interno del proprio stato. Ricordo che il punto di vista del governo cinese, ma anche della maggioranza della popolazione cinese, è che Taiwan è parte integrante dello stato cinese e che si può permettere di essere "ribelle" solo e perché gli Stati Uniti la appoggiano. In un certo senso, il loro punto di vista è come se Mussolini sconfitto, con le truppe di Salò, si fosse rifugiato in Sardegna e lì si fosse "ribellato" al governo italiano con l'appoggio di qualche potenza straniera.
Il secondo è il forte interesse economico dell'industria taiwanese che ha decentrato la stragrande maggioranza della propria capacità produttiva (si stima oltre 100 miliardi di dollari) nella Cina continentale e che ha tutto l'interesse a rendere più semplice possibile i collegamenti economici e logistici tra i due territori.
Il terzo è ovviamente l'identità etnica e culturale, forte da ambedue le parti dello stretto.
Tutto è ancora possibile, anche eventuali incidenti catastrofici. Tuttavia sembra più probabile un finale di successo per Pechino.
Credo che un'osservazione attenta dello svolgersi pluridecennale di questa relazione possa confermare alcune indicazioni sulla strategia della Cina e sul suo modo di realizzarla.
La Cina si dà obiettivi strategici chiari e li persegue con assoluta perseveranza per tempi anche molto lunghi.
Sa alternare fermezza assoluta, al limite dell'uso della forza, con blandizie e appeasement. Poco più di dieci anni fa era arrivata alla mobilitazione sulle coste del Fujian minacciando (forse bluffando un po') un'invasione militare di Taiwan. Oggi siamo – in situazione formalmente conflittuale – alla liberalizzazione del turismo privato individuale!
Se necessario sa mettere da parte posizioni di principio e di forma ed è capace di farlo senza "perdere la faccia".
Cosa voglia dire questa capacità strategica vis à vis le capacità strategiche dell'occidente, giustamente condizionate dall'opinione pubblica e dalle esigenze elettorali (si veda l'attuale tormentone italiano sulla Libia) è una domanda credo difficile, ma allo stesso tempo importante. Dovremmo forse, noi europei, dedicargli più tempo e cercare una risposta non banale.
di Paolo Borzatta
Paolo Borzatta è Senior Partner di The European House-Ambrosetti.
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Paolo Borzatta cura per AgiChina24 la rubrica di economia
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