di Emma Lupano
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Pechino, 12 mar.- Addio semplificazione, bisogna tornare indietro: per salvare dall’oblio un elemento fondamentale della tradizione cinese, è necessario riportare i caratteri non semplificati nei libri di testo delle scuole elementari e medie. È questa la proposta che Feng Xiaogang, regista di film di successo come The Banquet, If You Are The One, Aftershock e 1942, ha lanciato nel corso della riunione annuale dell’Assemblea politico-consultiva dei giorni scorsi a Pechino.
L’idea di Feng, non completamente nuova nel dibattito pubblico in Cina, sarebbe quella di far imparare agli studenti solo una piccola parte di caratteri nella loro versione tradizionale - versione ancora utilizzata a Hong Kong e Taiwan e in uso nella Cina popolare fino a quando, dal 1955, Mao Zedong avviò la riforma della scrittura. L’introduzione dei caratteri semplificati, riteneva Mao, era fondamentale per combattere l’analfabetismo nel paese.
La proposta di Feng ha suscitato reazioni favorevoli e contrarie, anche perché, solo poche settimane prima, dall’Accademia delle scienze sociali era arrivato un suggerimento diametralmente opposto: semplificare ulteriormente i caratteri per rendere il cinese ancora più facile da scrivere e leggere.
Liu Zhiquan, professore alla Nanjing Normal University e commentatore del Jinghua Shibao, in un commento pubblicato il 5 marzo cerca di fare un po’ di ordine nella discussione, analizzando pro e contro di entrambe le posizioni e cercando una soluzione.
“I due punti di vista [quello di Feng Xiaogang e dell’Accademia] possono essere identificati per sommi capi come appartenenti l’uno al ‘partito’ dei conservatori e l’altro al ‘partito’ dei progressisti in materia di scrittura. Il punto di vista dei ‘conservatori dei caratteri’ si articola in tre argomentazioni principali. La prima è che i caratteri cinesi incarnano la nostra tradizione culturale e in quanto tali vanno preservati, perché rappresentano la parte più importante della cultura cinese”.
La seconda argomentazione “riguarda il rischio che, se non salvaguardati” attraverso lo studio e l’uso nella vita quotidiana, “i caratteri non semplificati rischiano di scomparire per sempre”. Infine, sempre secondo i ‘conservatori’, “nella struttura grafica non semplificata di alcuni caratteri, per esempio nel caso del carattere di ‘amore’, si ritrovano rappresentati i principi morali della nostra tradizione”.
Il punto di vista di quelli che Liu Zhiquan chiama i ‘progressisti della scrittura’ è invece che “la scrittura è uno strumento di diffusione della cultura. La semplificazione della scrittura punta perciò a perfezionare questa funzione dei caratteri cinesi, perché questo favorisce la diffusione della cultura in modo ancora più esteso”. I caratteri non semplificati, nell’ottica dei ‘progressisti’, “sono difficili da studiare e da riconoscere, e ciò influisce negativamente sulla trasmissione e sullo sviluppo della nostra cultura”.
Dopo aver esaminato le due posizioni, Liu riconosce che “entrambi i punti di vista hanno un senso: il primo si basa sull’essenza stessa dei caratteri, il secondo sulla loro funzione strumentale. Questa disputa conferma i presupposti della filosofia moderna: due verità possono essere incompatibili. Quando si discute di cultura, non sempre ciò che non è nero è automaticamente bianco”.
E infatti in questo caso, scrive il commentatore, “il conflitto è tra giusto e giusto”. In assenza di soluzioni ovvie, l’unica è tentare un approccio di mediazione tra le due posizioni. “In questo modo, forse, possiamo riconoscere che, poiché il carattere è un elemento importante della nostra tradizione culturale, è anche lo strumento con cui trasmettere questa eredità culturale. Perciò bisogna preservarlo, ma anche svilupparlo. La chiave sta nel mantenere un giusto equilibrio tra queste due necessità”.
La distanza tra le due posizioni espresse dal regista e dallo studioso non è, a sentire Liu, “ampia quanto il pubblico immagina”. In effetti, fa notare il commentatore, “Feng Xiaogang ha sottolineato che bisognerebbe riportare nei libri di testo delle scuole solo ‘una piccola quantità di caratteri non semplificati’”, mentre chi si è espresso a sostegno della semplificazione della scrittura “ha sottolineato che è necessario farlo in modo scientifico e in maniera tale da non compromettere il valore estetico dei caratteri”.
Entrambe le parti del contendere, conclude Liu, si fondano sulla stessa volontà di base, quella di “proteggere e tramandare la cultura cinese”. Entrambe sono mosse dalla preoccupazione che “i caratteri tradizionali potrebbero essere persi per sempre, e che la calligrafia tradizionale e la pittura tradizionale potrebbero cadere nell’oblio”.
Il vero problema, allora, è piuttosto che non basta salvaguardare la scrittura per salvaguardare tutta la tradizione culturale cinese: “Quello di cui dovremmo preoccuparci ora è proteggere l’eredità della nostra tradizione culturale e ricostruire la nostra tradizione morale. Purtroppo – avverte Liu - per fare questo non basta riportare in vita la scrittura tradizionale”.
12 marzo 2015
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