Shanghai, 25 mar. - Ci racconta com'è nata l'idea di scrivere un libro su quello che accade nelle fabbriche del sud della Cina?
Questo libro è nato per caso. Non conoscevo nessuno nel capo dell'editoria e non avevo nemmeno intenzione di scrivere un libro, almeno inizialmente. Mi limitavo a prendevo appunti su quello che mi succedeva quotidianamente mentre facevo da tramite tra compratori americani e le fabbriche cinesi. Rivedendo tutto il materiale mi sono accorto che c'erano dei temi ricorrenti che poi erano quelli riguardanti la produzione e la questione della qualità. Era il 2007, e quello che avevo in mano parlava chiaramente dell'imminenza di una crisi di qualità su scala globale di cui la Cina era destinata ad essere il centro, crisi che in effetti scoppiò di lì a poco. Purtroppo non ero pronto, l'idea del libro non aveva ancora preso definitivamente forma e quindi persi una buona occasione. Ma quello che successe mi diede l'opportunità di rendermi conto del modo in cui i giornali americani trattavano la questione Cina. C'era una grande pressione nei confronti degli importatori americani ma nessuno pareva interessarsi a quello che succedeva veramente all'interno delle fabbriche cinesi, delle logiche e dei meccanismi che avevano causato i problemi di qualità di cui tutto il mondo parlava. Decisi quindi di scrivere un pezzo ("Quality Fade: China's Great Business Challenge") su quali erano, a mio parere, le cause culturali di quello che io chiamavo il "quality fade" in Cina e lo proposi a Knowledge@Wharton, il bollettino dell'università di Wharton dove avevo frequentato il mio Mba. La stampa diede grande seguito all'articolo e questo rappresenta il punto di partenza da cui poi l'idea del libro è nata e si è sviluppata in seguito.
Esiste una versione in cinese del libro?
Per il momento i diritti dell'edizione inglese sono stati acquistati da un editore taiwanese ed esiste una traduzione per il mercato interno in caratteri tradizionali.
Molti osservatori sostengono che la Cina si stia velocemente evolvendo verso un modello produttivo più sofisticato e che in alcuni settori sia addirittura in grado di disegnare e produrre prodotti di buona qualità, utilizzando idee e design propri. A livello politico, il tema della "soft power" cinese ha, tra gli altri, lo scopo di migliorare la percezione del brand China a livello globale. Crede veramente che si stia assistendo a un passaggio dal Made in China al Designed in China o bisognerà aspettare ancora qualche tempo?
Penso che la questione si possa porre in questi termini: nonostante la Cina produca la maggiorparte dei beni in circolazione nel mondo, in questo paese non esiste ancora una scuola di design che si possa considerare tale. Dove sono gli ingegneri industriali, chi sviluppa i prodotti? Fino a quando non si avrà una base di questo genere non sarà possibile fare un salto come quello di cui parlavi. E la mancanza di centri di formazione ad alto livello non è che uno dei sintomi di uno sviluppo economico avvenuto in maniera talmente veloce e convulsa, da travolgere qualsiasi altra cosa. Ti faccio un esempio, questo libro l'ho scritto mentre vivevo a Canton, in una provincia che produce merci per tutto il mondo. Eppure nemmeno in una città come quella riesci a trovare cose stupide come un avocado, una libreria con libri stranieri, un paio di scarpe di buona qualità. E si che scarpe di buona qualità se ne producono in Cina! ma sono fatte per l'esportazioni e non vengono immesse nel mercato interno. I cinesi stessi si lamentano della scarsa qualità dei prodotti presenti sul loro mercato e questo non è altro che uno degli effetti del mancato sviluppo, insieme a quello economico, di una coscienza collettiva e di un innalzamento della qualità dei servizi. Si usa il GDP come misura dello sviluppo di un paese ma ci sono talmente tanti altri benchmark su cui è possibile misurarlo. Un altro interrogativo concerne lo stile. Quale stile puo affermarsi in Cina che possa andare bene per il resto del mondo? Nelle produzioni di mobili che mi è capitato di seguire, le aziende cinesi producono con uno stile che è piu europeo di quello degli stessi europei, o meglio è una caricatura di un certo stile che si ritiene possa essere quello europeo.
Cosa ne pensa quindi di quelle iniziative che ambiscono a declinare il gusto e l'estetica cinese per un pubblico occidentale?
Certo ci sono e sono esperienze interessanti ma rimangono eccezioni e rappresentano delle sfide di cui è difficile prevedere gli esiti.
Nelle pagine del suo libro si trovano molti elementi che permettono di tracciare un profilo dell'imprenditore cinese tipo, descrivendone difetti e manie. Molti di questi produttori sono partiti dal nulla e hanno costruito in pochi anni delle fortune, ora sta ai loro figli continuare. Figli che in molti casi hanno avuto la possibilità di viaggiare e di studiare, spesso in università straniere. Pensa che le nuove generazioni di imprenditori che si avvicenderanno alla guida delle aziende di famiglia cinesi potranno portare dei cambiamenti rilevanti nel modo in cui il business è condotto a livello generale?
Penso che certamente l'istruzione sia una parte importante del discorso sulla Cina, ma rimane una costante che è rappresentata dalla filosofia delle persone che è difficile cambiare. Per spiegarmi userò la metafora del parrucchiere - di cui dovrei essere l'ultimo a parlare perché non ho capelli -; ma comunque, supponiamo che io avessi una lunga chioma e decidessi di andare da un parrucchiere, pretendendo che mi faccia assomigliare a Nicole Kidman! Se il parrucchiere fosse un professionista, mi dovrebbe rispondere dicendomi la verità, ovvero che quello che gli chiedo non è possibile, spiegandomi i motivi e cercando di indirizzarmi verso una soluzione più appropriata. In Cina le cose vanno diversamente, esistono determinati elementi culturali per cui integrità e professionalità, caratteristiche che permettono di rispondere alle richieste di un potenziale cliente con sincerità, non esistono. Mi piacerebbe sentirmi per una volta dire da un produttore cinese che le nostre richieste sono troppo basse e che è possibile fare di meglio. Mi piacerebbe incontrare una persona che per una volta dica chiaramente al suo capo: "se produrremo qualcosa di così bassa qualità, io me ne andrò", insomma qualcuno che rifiuti questo sistema, purtroppo non mi è mai capitato di incontrarne alcuno. Penso ad esempio agli italiani che lavorano per Ferrari. Me li immagino a uscire durante il week end con i loro amici, andandosene in giro a vantarsi del fatto che lavorano per un marchio prestigioso. E' un pò come se legassero la loro reputazione al fatto di lavorare per Ferrari e questo si riflette sul mantenimento della qualità nell'azienda stessa. Processi di identificazione di questo tipo non se ne vedono in Cina. Il focus è sul guadagno immediato, e l'attenzione alla qualità del prodotto esiste solo nel frangente iniziale, nel momento in cui l'ordine arriva, ecco che tutto si dissolve.
A metà del suo libro, azzarda una spiegazione del perché, dopo una fase iniziale in cui le cose vanno bene e l'attenzione alla qualità è alta da parte dei produttori cinesi, improvvisamente e impercettibilmente ha inizio un processo di abbassamento dei costi, attraverso tagli indiscriminati ai materiali, che finisce col deteriorare la qualità finale del prodotto. L'impressione che ne ha ricavato è che i produttori si lascino andare a questa manipolazione della qualità perché "annoiati" di come vanno le cose e dei successi ottenuti. E' una spiegazione abbastanza sorprendente, non crede?
Sì, ma i fatti stanno effettivamente così. Quando inizi a lavorare con delle aziende cinesi, le cose vanno piu o meno sempre nello stesso modo. All'inizio c'è grande entusiasmo generale e le energie vegono indirizzate nel tentativo di accappararsi l'ordine. Per le prime tre, sei settimane si lavora duramente, ma una volta dimostrato al potenziale cliente che si è in grado di produrre quel determinato prodotto secondo le richieste e si ottiene l'ordine, l'adrenalina cala. E' in quel momento che scatta un meccanismo in virtù del quale si inizia a pensare su che cosa sia possibile risparmiare, tagliare ed è li che i guai iniziano.
C'è stato un momento in cui l'aumento del costo del lavoro in Cina ha fatto pensare che molte delle produzioni potessero rilocalizzarsi in altri paesi asiatici dove i costi continuano ad essere molto bassi e vi è abbondanza di forza lavoro. Cosa pensa di questa possibilità?
Non credo a questo trend, se si vanno a vedere le cifre si scopre che non si tratta di un fenomeno significativo. I costi non sono così bassi ma i cinesi continuano ad essere molto bravi ad abbassare i costi di investimento e a diminuire le barriere all'entrata. Esiste poi un sistema di network localizzato nelle zone di produzione che rende possibile che le produzioni vengano avviate velocemente, senza costi eccessivi, perché tutto quello che serve si trova vicino, quindi penso le cose continueranno in questo modo. Un punto che rendo in maniera chiara nel mio libro è che gli acquirenti americani arrivano in Cina e vogliono fermarsi nel paese il meno possibile. Tendono a condensare al massimo le loro visite e questo sistema dei distretti produttivi rappresenta un vantaggio in tal senso, che una delocalizzazione su vasta scala in altri paesi del sud est asiatico non permetterebbe.
Una domanda personale. Lei stesso dice che "i guai sono il mio lavoro", e spesso leggendo il libro, viene da chiedersi come riuscisse a gestire dal punto di vista emotivo le pressioni provenienti dai buyer stranieri e i meccanismi messi in atto dai produttori cinesi...
Mi sono abituato abbastanza presto a gestire questo tipo di situazioni. Ma le dirò che spesso il problema è più quello di avere a che fare con i compratori stranieri che di fatto ritengo siano i responsabili di come vanno le cose perchè tentano sempre di tagliare sui costi e salvare qualcosa per loro a discapito della qualità. Si tratta di relazioni talmente cariche di rischi che non è possibile calcolare o controllare in maniera completa quello che avviene. Aggiungiamoci la barriera linguistica e infine il fuso orario. Se succede qualcosa alla produzione e negli Stati Uniti è notte, non è possibile comunicare con nessun e quindi quello che si tende a fare nelle fabbriche cinesi è mettere da parte il problema, minimizzare e continuare come se nulla fosse successo. Detto questo, capiamo come per un americano sarebbe molto più facile produrre in Sud America che in Cina.
Quello che sta dicendo scoraggerebbe chiunque dal venire a produrre in Cina, non crede?
Non ho certo l'intenzione di fare questo, nel mio libro non lo accenno mai. Quello che voglio far capire sono i motivi per cui le cose in Cina non vanno sempre come desideremmo. Fornisco solo delle spiegazioni utili per prevedere i problemi e gestirli una volta che si presentano.
A proposito, sta ancora lavorando nel sud della Cina?
Certo!
di Nicoletta Ferro
©Riproduzione riservata