Torino, 14 gen. - Un antico augurio che ci si può aspettare da un cinese all'inizio del nuovo anno è, secondo alcuni, il confuciano "possa tu vivere in tempi interessanti!". In realtà, se da una parte non esiste prova filologica della vera origine di questa frase, dall'altra bisogna sottolineare che si tratterebbe comunque di un auspicio a dir poco ambiguo. Confucio fu, infatti, il filosofo della pace e dell'ordine nella turbolenta epoca feudale delle Primavere e degli Autunni (770-476 a.C.) e, dalle sue labbra, una simile frase avrebbe un sapore tutt'altro che beneaugurante.
Questa ambivalenza coglie al meglio lo stato della Cina all'inizio del nuovo decennio. È noto che Pechino ha ormai concluso la lunga marcia che l'ha condotta dalle umiliazioni del XIX secolo al ritorno in una posizione di centralità politica ed economica. Nel solo 2009 la Cina è stata indicata come potenziale partner unico degli Stati Uniti per la governance mondiale (il fantomatico G2), ha raggiunto e forse superato il PIL del Giappone, ed è emersa come forza trainante per un mondo che vuole uscire da 15 mesi di crisi.
Ma in quali condizioni la Repubblica Popolare Cinese si presenta a questo appuntamento con la Storia? E con quali effetti sul sistema internazionale? Alcuni recenti avvenimenti proiettano ombre significative su una vicenda di sviluppo altrimenti esaltante.
Dopo un anno in stato di arresto, il noto intellettuale e attivista Liu Xiaobo è stato portato in giudizio e condannato – il giorno di Natale – a 11 anni di reclusione per "incitamento alla sovversione dello Stato". Si tratta della pena più lunga comminata per questo reato dalla riforma del diritto penale nel 1997, chiaro segnale dell'indisponibilità del Partito Comunista Cinese a riconoscere alla società civile il ruolo di interlocutore in tema di riforme politiche.
Liu è stato condannato soprattutto per aver contribuito alla redazione della Carta '08, un documento firmato da 303 intellettuali residenti in Cina e reso pubblico il 10 dicembre 2008, anniversario dell'adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (1948) e della firma apposta da Pechino al Patto Internazionale per i Diritti Civili e Politici (1998). Il documento si ispira alla Carta '77, un testo promosso nella Cecoslovacchia comunista da una rete civica informale di dissidenti, che chiedevano maggiori diritti per mezzo dell'effettiva applicazione degli atti sottoscritti dal medesimo Partito Comunista Cecoslovacco, a partire dalla Costituzione e dagli accordi internazionali.
Condannando l'attività di Liu perché "istigatrice alla sovversione della dittatura democratica del popolo", la Corte ha focalizzato il cuore del problema. Nel 1949 Mao aveva chiarito con il suo "Sulla dittatura democratica del popolo" che il senso di questo sistema di governo è dare la democrazia al popolo e imporre la dittatura a quei soggetti che, in quanto reazionari, del popolo non fanno parte. L'involuzione del sistema stigmatizzata dai firmatari della Carta è che, a sessant'anni dalla fondazione della Repubblica Popolare e nonostante la riammissione ai ranghi del "popolo" di imprenditori e intellettuali, la leadership sembra interpretare in modo sempre più restrittivo la componente democratica di quella "dittatura democratica del popolo" che formalmente resta tuttora perno del Programma Generale del PCC.
È improbabile che questa contraddizione sia affrontata in modo risoluto da una dirigenza oggi costretta in una formula di governo per consenso e già impegnata nella preparazione della transizione verso la quinta generazione di leader nel 2012. E tuttavia si tratta di una criticità latente suscettibile di avere importanti ripercussioni interne e internazionali. Tra le prime possiamo immaginare un rafforzamento del campo democratico in vista delle probabili elezioni a Hong Kong, oltre che maggiori difficoltà nel dialogo tra Cina e Taiwan.
In campo internazionale, la condanna di Liu e la repressione che nel 2009 ha colpito il movimento weiquan (costituito da avvocati, intellettuali e cittadini comuni impegnati a difendere i diritti della popolazione pur rimanendo all'interno dell'attuale cornice legale della RPC) non contribuiscono a migliorare l'immagine di una Cina che già appare sempre più auto-consapevole e il cui atteggiamento in occasione della Conferenza ONU sul clima di Copenhagen ha suscitato diffusa ostilità.
Una delle categorie che i politologi internazionalisti hanno visto cadere in disuso negli ultimi vent'anni è quella del grado di omogeneità del sistema internazionale. Il filosofo francese Raymond Aron definiva sistemi omogenei quelli in cui i paesi rispondono alle medesime concezioni politiche. Sono eterogenei, al contrario, i sistemi in cui gli stati risultano organizzati secondo principi differenti e si rifanno a valori compositi.
Un eventuale incremento dell'eterogeneità del sistema internazionale legato all'emergere di una Cina arroccata su posizioni autoritarie sarebbe senz'altro un potenziale preludio a "tempi interessanti".
C'è da augurarsi un decennio molto, molto noioso.
di Giovanni Andornino
Giovanni Andornino è docente di Relazioni Internazionali dell'Asia Orientale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino e la Facoltà di Scienze Linguistiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Dal 2009 è Visiting Professor presso la School of Media and Cross-Cultural Communication, Zhejiang University, Hangzhou (PRC).
Ha conseguito un Master in Global History presso la London School of Economics ed è dottore di ricerca in Rappresentazioni e comportamenti politici (Università Cattolica di Milano). Autore di Dopo la muraglia. La Cina nella politica internazionale del XXI secolo (Vita e Pensiero 2008), ha pubblicato tra l'altro su Teoria Politica, China & World Economy e per i policy briefs di ISPI. Il suo capitolo su "China and Global Governance" sta per uscire nell'ambito del nuovo manuale Routledge A Handbook of Chinese International Relations (2010). Dal 2009 coordina un gruppo di ricerca internazionale sul progetto "Engineering a global framework for Europe's strategic policy-making. 'Effective multilateralism' for the governance of a multipolar world."
Giovanni Andornino è General Editor del portale TheChinaCompanion (www.thechinacompanion.eu), specializzato in politica, relazioni internazionale ed economia politica della Cina contemporanea. Dal 2007 coordina TOChina, l'unità di lavoro sulla Cina attiva presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino (www.to-china.it).
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternerano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Giovanni Andornino cura per AgiChina24 la rubrica di politica internazionale.