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Artista cinese, testimone d'eccezione scelto dalCommissariato Generale per l'Esposizione Universale 2010 per introdurrel'interno del padiglione italiano "Le Città dell'Uomo", presentato a Shanghainel dicembre scorso.
Nato nel 1935 a Shanghai, Hsiao Chin è un artistacinese, autore di opere esposte nel corso degli anni in quasi 400 mostre. Ha unrapporto particolare col nostro paese: nel 1959 si stabilisce a Milano, dovefrequenta Lucio Fontana, e inizia a insegnare in diversi istituti e scuoled'arte italiane. È lui il testimone d'eccezione scelto dal CommissariatoGenerale per l'Esposizione Universale 2010 per introdurre l'interno delpadiglione italiano "Le Città dell'Uomo", presentato a Shanghai nel dicembrescorso.
D.: Per via della sua lunghissima carriera artisticae della sua esperienza personale lei ha una sorta di punto di vistaprivilegiato: come valuta artisticamente il Padiglione italiano? Ritiene che sisia riusciti, in qualche modo, a fondere due sensibilità così diverse come quellaitaliana e quella cinese?
R.: Il padiglione italiano fonde abbastanza benequesti due mondi, ma sicuramente privilegia quello italiano a quello cinese, edè anche naturale, vista l'importanza dell'Italia nella storia dell'arte. Misembra progettato più che altro per far comprendere quest'importanza aivisitatori internazionali e penso che in questo senso sia molto efficace perchériunisce un po' di tutto. Antico, contemporaneo e squarci di previsioni sulfuturo.
D.: Lei ha insegnato Teoria Visiva all'IstitutoEuropeo del Design di Milano e Anatomia Artistica all'Accademia di Belle Artidi Urbino; più in generale, secondo lei, esistono dei punti di contatto tral'esperienza artistica cinese e quella italiana?
R.: Nella miacarriera artistica e artistica e di insegnante ho sempre cercato soprattutto di adoperare unlinguaggio internazionale e contemporaneo, senza fare cose"provinciali" (cinesi o straniere), dato che già dal Ventesimo Secolosi è assistito a una fusione di diverse esperienze.
D.: Da anni, ormai, si assiste a ondate di artisticinesi che spopolano sui mercati internazionali. Lei è un esponente di unagenerazione precedente: ritiene che all'apertura della Cina ai mercaticorrisponda effettivamente anche una maggiore apertura artistica?
R.: Si, c'è una aperturadel mercato; ma soprattutto dall'Orienteverso l'Occidente e poco dall'Occidente verso l'Oriente. Gli artisti cinesi,inoltre, imitano molto i movimenti occidentali, oppure, quando cercano diinterpretare la tradizione cinese, lo fanno in modo superficiale e con qualche furbizia folcloristica.Un comportamento che sfortunatamente l'Occidente non riconosce come tale o sul quale cercaanche di speculare. Insomma; entrambi, cinesi e occidentali, facciamo i"furbi" e manchiamo diprofondità culturale.
D.: Cosa ne pensa delle quotazioni, in alcuni casiveramente ingenti, raggiunte da alcuni artisti cinesi sui mercatiinternazionali?
R.: Le quotazioni sonomolto manovrabili: gli occidentali lo sanno e i cinesi lo hanno imparatopresto. È uno specularsi vicendevolmente.
D.: L'interesse italiano verso l'arte cinese sembraaumentato negli ultimi anni: ritiene chela cosa sia reciproca e che gli artisti italiani facciano breccia nel cuore deicinesi? La scena artistica italianadovrebbe fare qualcosa in più per farsi conoscere in Cina?
R.: Ai cinesi interessa soprattutto l'esportazione epoco l'importazione di arte dall'estero; una tendenza che emerge bene anche incampo commerciale, e l'arte non fa eccezione. I cinesi pensano a produrre opere d'arte che l'Occidente capiscae trovi interessanti. L'Italia, da parte sua, potrebbe fare di più per capirecosa interessa al pubblico cinese.
D.: Cosa consiglierebbe a un giovane artista ogallerista italiano che vuole farsi conoscere in Cina? E ad un artista cineseche vuole tentare la carta dell'Italia?
R.: Per fare bene laguerra, chi attacca deve sempre capire il nemico che ha di fronte al massimolivello possibile. Questa, credo, è una cosa che i cinesi sanno fare meglio degli italiani.
D.: Il mercato dell'arte ha risentito della crisiglobale o si tratta di un lusso dedicato a certe fasce che non voglionoassolutamente rinunciarvi?
R.: Si, il mercato avverte la crisi; ma non nella fascia alta. In Cina,questa fascia non è ancora matura, e stava ancora dedicandosi a speculazioni ditipo economico nel campo dell'arte quando è scoppiata la crisi. Per questo, almomento, ritengo che siano pochissimi gli artisti cinesi che ancora resistonosul mercato. (di Antonio Talia)
Nato nel 1935 a Shanghai, Hsiao Chin è un artistacinese, autore di opere esposte nel corso degli anni in quasi 400 mostre. Ha unrapporto particolare col nostro paese: nel 1959 si stabilisce a Milano, dovefrequenta Lucio Fontana, e inizia a insegnare in diversi istituti e scuoled'arte italiane. È lui il testimone d'eccezione scelto dal CommissariatoGenerale per l'Esposizione Universale 2010 per introdurre l'interno delpadiglione italiano "Le Città dell'Uomo", presentato a Shanghai nel dicembrescorso.
D.: Per via della sua lunghissima carriera artisticae della sua esperienza personale lei ha una sorta di punto di vistaprivilegiato: come valuta artisticamente il Padiglione italiano? Ritiene che sisia riusciti, in qualche modo, a fondere due sensibilità così diverse come quellaitaliana e quella cinese?
R.: Il padiglione italiano fonde abbastanza benequesti due mondi, ma sicuramente privilegia quello italiano a quello cinese, edè anche naturale, vista l'importanza dell'Italia nella storia dell'arte. Misembra progettato più che altro per far comprendere quest'importanza aivisitatori internazionali e penso che in questo senso sia molto efficace perchériunisce un po' di tutto. Antico, contemporaneo e squarci di previsioni sulfuturo.
D.: Lei ha insegnato Teoria Visiva all'IstitutoEuropeo del Design di Milano e Anatomia Artistica all'Accademia di Belle Artidi Urbino; più in generale, secondo lei, esistono dei punti di contatto tral'esperienza artistica cinese e quella italiana?
R.: Nella miacarriera artistica e artistica e di insegnante ho sempre cercato soprattutto di adoperare unlinguaggio internazionale e contemporaneo, senza fare cose"provinciali" (cinesi o straniere), dato che già dal Ventesimo Secolosi è assistito a una fusione di diverse esperienze.
D.: Da anni, ormai, si assiste a ondate di artisticinesi che spopolano sui mercati internazionali. Lei è un esponente di unagenerazione precedente: ritiene che all'apertura della Cina ai mercaticorrisponda effettivamente anche una maggiore apertura artistica?
R.: Si, c'è una aperturadel mercato; ma soprattutto dall'Orienteverso l'Occidente e poco dall'Occidente verso l'Oriente. Gli artisti cinesi,inoltre, imitano molto i movimenti occidentali, oppure, quando cercano diinterpretare la tradizione cinese, lo fanno in modo superficiale e con qualche furbizia folcloristica.Un comportamento che sfortunatamente l'Occidente non riconosce come tale o sul quale cercaanche di speculare. Insomma; entrambi, cinesi e occidentali, facciamo i"furbi" e manchiamo diprofondità culturale.
D.: Cosa ne pensa delle quotazioni, in alcuni casiveramente ingenti, raggiunte da alcuni artisti cinesi sui mercatiinternazionali?
R.: Le quotazioni sonomolto manovrabili: gli occidentali lo sanno e i cinesi lo hanno imparatopresto. È uno specularsi vicendevolmente.
D.: L'interesse italiano verso l'arte cinese sembraaumentato negli ultimi anni: ritiene chela cosa sia reciproca e che gli artisti italiani facciano breccia nel cuore deicinesi? La scena artistica italianadovrebbe fare qualcosa in più per farsi conoscere in Cina?
R.: Ai cinesi interessa soprattutto l'esportazione epoco l'importazione di arte dall'estero; una tendenza che emerge bene anche incampo commerciale, e l'arte non fa eccezione. I cinesi pensano a produrre opere d'arte che l'Occidente capiscae trovi interessanti. L'Italia, da parte sua, potrebbe fare di più per capirecosa interessa al pubblico cinese.
D.: Cosa consiglierebbe a un giovane artista ogallerista italiano che vuole farsi conoscere in Cina? E ad un artista cineseche vuole tentare la carta dell'Italia?
R.: Per fare bene laguerra, chi attacca deve sempre capire il nemico che ha di fronte al massimolivello possibile. Questa, credo, è una cosa che i cinesi sanno fare meglio degli italiani.
D.: Il mercato dell'arte ha risentito della crisiglobale o si tratta di un lusso dedicato a certe fasce che non voglionoassolutamente rinunciarvi?
R.: Si, il mercato avverte la crisi; ma non nella fascia alta. In Cina,questa fascia non è ancora matura, e stava ancora dedicandosi a speculazioni ditipo economico nel campo dell'arte quando è scoppiata la crisi. Per questo, almomento, ritengo che siano pochissimi gli artisti cinesi che ancora resistonosul mercato. (di Antonio Talia)
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