ARCHITETTO PRESSO LO STUDIO GRAFT A PECHINO
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ARCHITETTO PRESSO LO STUDIO GRAFT A PECHINO
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Sara Bernardi è un giovane architetto classe '79. Dopo le prime esperienze presso piccoli studi di architettura italiani, approda al prestigioso studio Fuksas. Ed è proprio Fuksas a marcare il suo primo contatto con la Cina: Sara Bernardi dirige infatti la squadra di progettazione del nuovo aeroporto internazionale di Shenzen. Da questa esperienza, Sara matura la decisione di restare in Cina dove un architetto – sia esso un archistar o un giovane alle prime esperienze - gode di grande prestigio. Si potrebbe usare una metafora calcistica per spiegare che un architetto noto in Cina è considerato una celebrity. E anche per un architetto straniero meno affermato, la Cina rappresenta un mercato dalle enormi potenzialità in cui poter sperimentare i progetti più avveniristici. Ma non solo. Oggi Sara Bernardi lavora per lo studio internazionale GRAFT a Pechino (http://www.graftlab.com/).

Dopo alcuni anni presso lo studio Fuksas, qual è stato il driver che l'ha spinta a tornare in Cina?

Fuksas è stato probabilmente il vero gancio con la Cina. Mi sono trovata a dirigere il team di progettazione del nuovo aeroporto di Shenzhen (ndr: di cui Fuksas vinse l'appalto nel 2008 superando Foster e altri big internazionali), e questo mi ha consentito di vivere tra l'Italia e la Cina per due anni e conoscere meglio la realtà cinese, diversa dalla nostra non soltanto dal punto di vista architettonico, ma anche per gli aspetti che riguardano il sistema culturale e socio-politico. Mi sono accorta delle enormi potenzialità che la Cina mi offriva, e lo scarto con l'Europa è stato abbastanza evidente: la crisi internazionale ha bloccato in primis gli studi di architettura, che già in condizioni normali hanno enormi difficoltà; i progetti hanno spesso un iter lunghissimo ed è complicato per uno studio andare avanti se non è strutturato a livello internazionale come invece nel caso di Fuksas. E' stata quindi la concomitanza di questi due fattori - la crisi in occidente da un lato, e le enormi opportunità offerte dalla Cina dall'altro - a convincermi che fosse arrivato il momento di iniziare a lavorare stanzialmente in questo paese, non più soltanto come rappresentante dello studio italiano presso la sede cinese.

Esistono opportunità in Cina anche per piccoli studi di architettura o c'è spazio solo per i grandi studi?

E' proprio questa la differenza sostanziale tra l'Europa e la Cina. In Cina il design Made in Italy è oggetto di costante curiosità e grande attenzione; questo fa sì che le opportunità siano aperte a tutti, non solo a nomi noti. Di questa attenzione si avvantaggiano anche i creativi cinesi. Molti tra i miei colleghi locali hanno iniziato a ricevere offerte di lavoro prima ancora di essere laureati, cosa che in Italia è assolutamente impensabile. C'è da dire inoltre che questo paese, oltre alle opportunità, offre tempi di realizzazione dei progetti accelerati. Se, per fare un esempio, il nuovo Centro Congressi dell'Eur, più noto come Nuvola di Fuksas, è un progetto ideato dieci anni fa ma che vedrà la luce sono alla fine del 2010, in Cina, al contrario, si aprono i cantieri quando il design non è ancora chiuso.

In altre parole, i cinesi si portano avanti…

Proprio così. Il tema dell'Expo di Shanghai (dal 1 maggio al 31 ottobre) sarà "Better City, Better Life", uno slogan che testimonia quanto i cinesi stiano puntando sullo sviluppo urbano. Gli architetti sono tenuti in grande considerazione proprio perché sono in grado di materializzare le potenzialità di questo sviluppo. La traduzione cinese dello slogan, "La città migliora la vita", assume un significato diverso, forse più pregnante. L'architettura è uno strumento politico e sociale che consente a Pechino di mostrare al mondo le enormi potenzialità di sviluppo della Cina.

Che poi è proprio nelle grandi città che si affrontano i grandi problemi della Cina di oggi, un Paese con ampie sacche di povertà…

Questa è un'altra delle fortissime contraddizioni della Cina che usa strumentalmente lo sviluppo delle grandi città come una vetrina promozionale per l'esterno e un punto di approdo per i cinesi che ce la devono ancora fare.

Pechino è un po' come la Parigi dell'Ottocento? Possiamo parlare di una "operazione Haussmann"? Che fine hanno fatto i poveri di Pechino? Come racconta Renata Pisu nel suo libro "Mille anni a Pechino", a Parigi la demolizione di interi edifici aveva privato di un tetto migliaia di persone; i poveri, un tempo nascosti, ora uscivano dai loro quartieri devastati: la miseria, che una volta era un mistero, diveniva una realtà sotto gli occhi di tutti.  E' vero invece che a Pechino i poveri sono tornati invisibili, seppelliti dai grattacieli in cui non c'è spazio per la miseria? La "famiglia degli occhi" si è dissolta, per usare una definizione cara alla Pisu? Con lo sventramento dei vecchi quartieri, la città si è "socialmente segmentata" e i poveri, sempre più poveri, si incontrano solo nelle zone periferiche?

Il confronto con la Parigi dell'Ottocento è senz'altro calzante. Parigi, come oggi Pechino, si stava trasformando per dare spazio alla nascita della borghesia. Haussmann costruiva nuove strade e nuovi edifici per assecondare le esigenze della borghesia nascente. Anche a Pechino si assiste all'affermazione di una classe media, e quindi la città rispecchia l'esigenza del nuovo ceto che cerca di imitare gli standard occidentali. Ma la miseria non sfugge agli occhi di un architetto: basta andare nei cantieri dove gli operai vivono e dormono per capire quanto sia profonda la divaricazione tra classi agiate e disagiate. E' un peccato osservare la demolizione dei quartieri tradizionali; ma la necessità di salvaguardarne il valore storico si sta per fortuna affermando. Purtroppo non si fa ancora abbastanza per salvaguardare la gente povera costretta ad arrendersi alle ruspe della modernità.

Una breve pausa prima di arrivare alle ultime domande che AgiChina24 ha rivolto a Sara Bernardi. Abbiamo detto che gli architetti stranieri sono considerati in Cina delle celebrity. L'esempio più eclatante può essere facilmente ricondotto all'intervento di chirurgia architettonica che ha subito Pechino in preparazione alle Olimpiadi del 2008. L'hanno chiamata "Beijing's Gang Five Foreign Architect" la cordata di noti architetti di fama internazionale a cui Pechino ha commissionato gran parte della costruzione della Nuova Città, tra cui i tre edifici poi assurti a simbolo del cambiamento pre-olimpionico: Il Nuovo Stadio Nazionale (ribattezzato Nido d'Uccello), la nuova sede della CCTV e il Grande Teatro Nazionale. Chi sono i Mitici Cinque? Rem Koolhaas, Steven Holl, Paul Andreu, Herzog & De Meuron e Norman Foster. In alcuni casi si è realizzato un sodalizio tra architetti stranieri e cinesi, come nel caso del Bird's Nest nato grazie alla progettazione congiunta di Herzog e del famoso designer cinese Ai Weiwei (che in seguito ha ripudiato la sua opera, criticando la tendenza del governo a utilizzare l'espansione culturale come uno strumento di propaganda). Più recenti i progetti Ordos100 (la costruzione di un complesso di ville nella città di Ordos, in Mongolia interna, che vede coinvolti 100 architetti stranieri, da cui il nome del progetto) e "Huaxi Urban Nature" nella città di Guiyang, entrambi promossi dal famoso studio di architettura cinese Mad (www.i-mad.com). In entrambi i casi, si assisterebbe a una sorta di "colonizzazione" delle commesse da parti di architetti internazionali che "realizzano progetti pretenziosi senza rispettare la natura dei luoghi", come ha dichiarato a China.org.cv il noto architetto cinese Peng Peigen (professore della Qinghua University di Pechino): questi i termini con cui il fenomeno sembra essere recepito dalla stampa cinese.

Se in Italia è ancora diffuso il timore che i cinesi ci costringano a chiudere le fabbriche, in Cina gli architetti locali non si sentono allo stesso modo "scippati" dai colleghi stranieri? Dal suo osservatorio, ritiene che in Cina, sia tra gli architetti sia nella società civile, vi sia una sorta di astio crescente nei confronti di un fenomeno che rischia di trasformare la Cina, agli occhi dei cinesi, in un laboratorio sperimentale, quasi anarchico, per gli architetti internazionali?

Sono senz'altro in grado di monitorare lo stato d'animo dei colleghi cinesi, meno quello della società civile che frequento ancora poco (Sara Bernardi vive stabilmente a Pechino da un mese). Non colgo astio o rivalità.  E non esprimo solo un punto di vista italiano: la comunità degli architetti "espatriati" è eterogenea, e sento di poter rappresentare un'opinione condivisa anche dai colleghi europei, giapponesi, etc. Non abbiamo la percezione che vi sia un disappunto crescente da parte degli architetti cinesi, al contrario: l'architettura e il design, come si diceva prima, è uno di quei settori in cui la Cina ha più sete di Made in Italy. I cinesi sono consapevoli di avere un gap culturale, e la possibilità di ricevere formazione presso uno studio internazionale rappresenta per un designer cinese un passaggio fondamentale per arricchire la propria crescita professionale. Quello che invece osserviamo è un maggiore controllo governativo sulla libertà di sperimentazione degli studi cinesi che, come Mad, tendono a diventare dei laboratori in cui gli architetti stranieri e cinesi coabitano liberamente. Il governo ne teme forse una eccessiva espansione culturale ed esercita il suo controllo attraverso la gestione degli appalti delle grandi opere pubbliche. E' una situazione, insomma, di controllo e di interesse: il governo sfrutta i nomi famosi per farsi pubblicità nel resto del mondo ma ne controlla lo sviluppo per orientare lo sviluppo urbano. Quindi da un lato chiamare architetti di fama mondiale a dirigere la progettazione dei nuovi edifici è senz'altro uno strumento di propaganda politica - un modo per dimostrare che Pechino è all'altezza delle metropoli europee-, dall'altro l'attenzione mediatica che si sviluppa attorno a questi progetti fa da volano alla capacità di attrarre nuovi investimenti e orientare la crescita in altri settori. Proprio per questo motivo, ritengo che la polemica riportata dalla stampa cinese possa considerarsi altrettanto strumentale.  Mad è stato fondato da un gruppo di designer cinesi (tra cui Ma Yansong) che oggi è sotto la luce dei riflettori e gode di fama mondiale. Non ho collaborato a Ordos100 ma sono stata coinvolta nel nuovo progetto Ordos 2010 (20+10). Mentre nel primo il coinvolgimento degli architetti internazionali era proporzionalmente maggiore rispetto a quello dei cinesi, nel secondo – forse proprio per la necessità di correggere il tiro in seguito alle polemiche apparse sui giornali che denunciavano una sorta di "concorrenza sleale" che favorirebbe gli stranieri – la proporzione è invertita: 20 rappresenta infatti il numero degli architetti cinesi, e 10 di quelli stranieri. Per uno studio come Mad coinvolgere architetti di fama internazione rientra in una chiara strategia promozionale, un modo per far parlare di sé nel mondo, amplificare la visibilità dei progetti in ambito internazionale, e ovviamente favorire l'incremento degli utili con ritorni pubblicitari.

I fondatori di Mad sono architetti giovani?

Yansong Ma, il fondatore di Mad, ha 35 anni ed oggi è una vera e propria star. La rivista italiana Casa Bella pubblica ogni anno uno speciale dedicato ai giovani architetti emergenti. Ebbene, l'età media dei giovani selezionati da Casa Bella oscilla dai 40 ai 50 anni. Questione di punti di vista? In Cina a 40 anni sei già senior.

di Alessandra Spalletta
alessandra.spalletta @agi.it

La prima parte di questo articolo è una riproduzione autorizzata dell'intervista radiofonica a Sara e Andrea Bernardi realizzata dalla rubrica "Mordere il Mondo – Dillinger.it/AgiChina24.it", trasmessa dagli studi di Radio Radicale il 19 febbraio 2010 alle ore 15.30, a cura di Valeria Manieri, Angela Padrone e Alessandra Spalletta.
http://www.radioradicale.it/scheda/297811
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