Milano, 03 feb. - "Le madri cinesi sono migliori". Sottinteso: le madri cinesi sono migliori di tutte le altre madri del mondo. Provocazione, pazzia, madornale errore o che altro è l'articolo - con questo titolo - della signora Amy Chua, cinese di seconda generazione nonché avvocato a New York, comparso sul Wall Street Journal ai primi di gennaio 2011?
L'articolo propugna la tesi (peraltro sostenuta anche in un libro appena uscito e scritto dalla medesima signora) che le madri "occidentali" (si) sono "rammollite" e non educano i propri figli a soffrire e combattere per raggiungere i migliori risultati e gli obiettivi che ci si è dati. Al contrario le madri cinesi (e di altri paesi asiatici "confuciani" come la Corea, il Vietnam, Singapore, ecc.) – secondo Amy Chua – hanno il coraggio di impartire un'educazione dura per il bene della propria prole.
Questo articolo ha immediatamente avuto risonanza mondiale dividendo immediatamente i lettori in due partiti irriducibilmente avversari: quelli a favore ("i nostri figli devono essere educati alla sofferenza e al sacrificio per raggiungere risultati nella vita") e quelli contro ("l'educazione rigida danneggia la personalità e la creatività dei giovani pargoli"). Fiumi di inchiostro e di post su blog e siti vari sono stati versati in tutto il mondo e su tutti i media, chiarendo poco e forse confondendo ancor più coloro che non hanno preso subito posizione.
E' interessante notare che l'attenzione della maggioranza è stata dedicata a discutere se sia più o meno giusto essere estremamente severi e duri nell'educazione dei propri figli. Ho invece notato pochi commenti sul fatto che in questo modo, nei prossimi decenni, dalla Cina e dagli altri paesi asiatici "confuciani" usciranno schiere di giovani che per numero e per educazione potrebbero "sopraffare" i coetanei occidentali (minori di numero e meno preparati a "combattere") nella "competizione globale". Credo valga invece la pena di interrogarsi più a fondo su alcuni elementi di questa "sfida".
Primo: è proprio vero che le mamme cinesi (d'ora innanzi con "cinese" comprenderò anche quegli altri paesi che - secondo Amy Chua - impartiscono una educazione severa ai propri figli) sono più dure delle occidentali e temprano meglio i propri figli al raggiungimento di obiettivi e risultati? Difficile dare una risposta scientificamente basata su informazioni quantitative: non ho infatti presente dati statistici specifici. I risultati dei test PISA (i test internazionali sulla capacità di comprensione e di ragionamento somministrati ogni tre anni ai quindicenni dei principali paesi industrializzati) ci dicono che gli asiatici (confuciani) vanno consistentemente meglio degli occidentali. È però evidente che questo risultato è dovuto anche alla qualità del sistema scolastico e non solo all'educazione impartita dalla famiglia.
Devo però dire che l'osservazione personale mia e della totalità dei miei conoscenti che, come me, bazzicano in Asia da decenni conferma la sensazione che i ragazzi cinesi siano educati più duramente a soffrire per raggiungere dei risultati. Quindi: sì, secondo me, le mamme (e le famiglie) cinesi educano meglio, da questo punto di vista.
Secondo: è vero che un'educazione dura che insegna a soffrire per raggiungere risultati riduce il livello di creatività dei ragazzi? Credo sia quasi impossibile dare una risposta seria a questa domanda. Io non mi ci proverò, non essendo peraltro un esperto di pedagogia. Posso però fare due considerazioni. A riprova della tesi che l'educazione dura non aiuta la creatività, viene citato il caso Giappone dove (pure lui di cultura confuciana) l'educazione è molto dura. È indubbio che il Giappone sembra esprimere meno creatività e indipendenza di giudizio dei paesi occidentali. Però questo non ha impedito al Giappone di diventare una delle più importanti e più forti economie industriali del pianeta, con una capacità di innovazione "incrementale" (non "radicale", è vero!) - ovvero di miglioramento continuo - impressionante.
Inoltre l'attuale lunga stagnazione economica di questo paese è sicuramente dovuta molto più a gravi errori di gestione economica e politica che a mancanza di creatività. Infine anche se asiatica e confuciana, la cultura giapponese mi sembra molto più resistente al cambiamento (e quindi in maniera indiretta alla creatività) di quella cinese. Inoltre l'attenzione del governo cinese al tema creatività mi sembra alta: si veda, ad esempio, la costruzione di 75 parchi della creatività (incubatori di piccole aziende specializzate in settori creativi) a Shanghai. Quindi: non lo so, ma non ne sarei così sicuro e inoltre per vincere nella competizione mondiale non è detto che occorra un così alto tasso di creatività. Si pensi, ad esempio, alla performance della Germania rispetto alla nostra, quando noi ci siamo autonominati il popolo (più) creativo per grazia di dio.
Terzo: è utile guardare alla competizione globale come anche confronto tra sistemi politici e culturali (e quindi anche educativi) o solo tra economie (e relative culture) a diverso stadio di sviluppo? Nel primo caso potremmo arrivare a concludere che i nostri sistemi politici, evolutisi dalla democrazia ateniese fino alla rivoluzione francese e americana, hanno bisogno anche loro di una revisione (dopo 200 anni!). Dovrebbero sopratutto tenere conto delle difficoltà decisionali delle democrazie compiute in società affluenti con alto numero di interessi particolari contrapposti. Nel secondo caso potremmo - per estremo - convincerci che la Cina "vincerà" per un po', ma poi "diventerà come noi". Quindi: sinceramente non me la sento di prendere posizione. Però, per un saggio criterio di riduzione del rischio, credo che sia opportuno interrogarsi seriamente sul primo caso. Peraltro, anche fosse vero il secondo caso, mi chiedo per quanto tempo la Cina "vincerà" prima di "diventare come noi"? E come saremo "ridotti" noi a quel momento? E inoltre anche se fosse tutto accettabile, perché non cercare di capire se ha senso migliorare il nostro sistema e renderlo ancor più competitivo?
Che cosa vuol dire allora competizione tra sistemi e su quali leve si può agire per migliorare un sistema? Oggi un sistema paese compete attraverso le sue aziende e le sue istituzioni che - in un'economia globale - sono capaci, più di quelle di altri paesi, di "creare valore" per i propri cittadini producendo prodotti e servizi superiori e attirando investimenti, turisti, lavoratori più dei propri concorrenti. Ma queste aziende e queste istituzioni hanno alle spalle un sistema complesso che stimola l'imprenditorialità e l'intraprendenza e produce la cultura e le risorse ben preparate a far eccellere aziende ed istituzioni. È però anche vero che la cultura di un paese condiziona i meccanismi di funzionamento (sistema politico, istituzioni, leggi, ecc.) dello stesso e viceversa. Noi oggi diamo forse per scontato che tutti i paesi, pur con culture diverse, debbano progressivamente allinearsi al modello "occidentale" anche se magari mantengono peculiarità marginali dovute alle differenze culturali.
Ma questo è proprio vero? Sarà vero anche per la Cina? È sicuramente possibile, ma forse può anche capitare che la Cina sviluppi un sistema diverso. Ha infatti una cultura estremamente diversa da quelle occidentali unita ad una forte tensione ad essere e rimanere "cinese". Ha un sistema politico, con la supremazia del Partito Comunista, che è "consensuale" (con orientamento alla democratizzazione interna), fortemente meritocratico per la dirigenza dello Stato e fortemente paternalistico-autoritario con la popolazione, il tutto innestato da e in una forte tradizione confuciana! Questo sistema può sicuramente convergere, nell'invecchiare, su un sistema "occidentale". Ma se invece evolvesse verso un sistema "aristocratico" (secondo la definizione greca originaria di "governo dei migliori") con caratteristiche cinesi e con gradi di democratizzazione forti solo a livello locale per l'amministrazione delle città? Questo ipotetico sistema, se fosse sostenibile e stabile, quali benefici potrebbe continuare a portare alla Cina e alla sua competitività nel mondo? E noi?
di Paolo Borzatta
Paolo Borzatta è Senior Partner di The European House-Ambrosetti.
La rubrica "La parola all'esperto" ha un aggiornamento settimanale e ospita gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alternano proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Paolo Borzatta cura per AgiChina24 la rubrica di economia
© Riproduzione riservata